Clifford Simak - La strada dell'eternità

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La strada dell'eternità: краткое содержание, описание и аннотация

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Jay Corcoran e Tom Boone sono amici da anni e in certe occasioni formano una coppia perfetta. Jay è un esperto nel raccogliere informazioni su chiunque, e Tom sa girare dietro gli angoli anche quando non ci sono. La scoperta di una stanza che non esiste sarà solo il punto di partenza ideale per un viaggio destinato a scaraventare i due amici in un'avventura ambientata nel più lontano passato e nel più remoto futuro. Incontreranno così una strana famiglia di esiliati che include il bizzarro Henry, detto anche Fantasma (ma non fatevi sentire a chiamarlo in questo modo dagli altri membri della famiglia), il Popolo dell'arcobaleno, che possiede oscure risposte ad ancora più oscure domande, l'ambigua figura nota come Cappello, messaggero di forze sconosciute e al tempo stesso giocattolo di un lupo preistorico, e soprattutto gli Infiniti, che vogliono tramutare l'uomo in una intelligenza priva di corpo. Il tutto, fra robot che vogliono essere utili all'uomo, e lungo quella che è chiamata la Strada dell'eternità.

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Enid uscì dal viaggiatore e venne accanto a lui, senza parlare.

— È tutto nostro — disse Boone. — Il viaggiatore ha scelto bene. A parte qualche deserto non avrebbe potuto scegliere un posto altrettanto fuori mano.

— Il viaggiatore non c'entra — disse lei. — È stato tutto un caso.

Il sole era a tre quarti del suo corso. Almeno, Boone si disse che doveva essere a tre quarti, e non a un quarto. Era convinto che fosse pomeriggio. Il motivo di questa convinzione gli sfuggiva.

Nel cielo volteggiava un uccello solitario, che non muoveva le ali e che si lasciava trasportare dalle correnti d'aria; un becchino alla ricerca del pasto. Qua e là spuntava qualche grosso masso. Da uno di essi si affacciò una creatura che strisciava. Strisciò sulla sabbia ai piedi del masso e si allontanò da loro.

— Da lui e dai suoi compagni dobbiamo guardarci — disse Boone.

— È un serpente? Di che razza?

— Sonagli. Velenoso.

— Non li conosco. Le mie conoscenze sui serpenti sono molto limitate. Penso di averne visti solo due o tre in tutta la mia vita.

— Alcuni possono essere pericolosi. Non dico mortali, ma pericolosi sì.

— E il serpente a sonagli?

— Molto pericoloso. Quasi letale. Ma avverte sempre la vittima con il suono del sonaglio che ha sulla coda. Almeno, se non sempre, gran parte delle volte.

— Avete chiesto cosa dobbiamo fare. E io ho detto di non averne idea. Voi, invece, ne avete?

— È ancora presto — disse Boone. — Siamo appena arrivati. Con la vostra azione ci avete messo a disposizione un po' di tempo.

— Intendete rimanere qui?

— Non per molto. Qui non c'è niente che ci trattenga: anzi, non c'è niente, e basta. Ma possiamo fermarci tranquillamente per un po'; per raccogliere i nostri pensieri e per esaminare tutta la situazione. Nel frattempo possiamo guardarci attorno.

Si avviò lungo la base della collinetta. Enid lo seguì.

— Che cosa cercate?

— Niente di preciso, a dire il vero. Voglio solo controllare l'aspetto generale della zona, per avere un'idea della regione in cui ci troviamo e di ciò che possiamo trovare. È possibile che ai piedi di questa collinetta ci sia una sorgente. Un po' più in alto c'è dell'arenaria, che è una roccia permeabile. A volte, se incontra uno strato meno poroso, l'acqua sgorga all'aperto.

— Conoscete le cose più strane.

— Semplici conoscenze da boy scout. Ho imparato come funziona la natura.

— Siete un barbaro, Boone.

Lui rise. — Certo, sono un barbaro. Che cosa vi aspettavate?

— Anche i miei familiari erano dei barbari, nella nostra epoca d'origine. Ma barbari diversi da voi. Avevamo già perso il contatto con quella che voi chiamate natura. Alla nostra epoca, la natura che rimane è molto poca. Natura selvaggia, intendo dire.

Dal fianco della collinetta sporgeva uno spezzone tagliente di roccia calcarea. Quando si avvicinarono, da dietro la roccia balzò fuori un animale grigio, che corse per una quindicina di metri e poi si fermò, voltandosi nella loro direzione per guardarli.

Boone rise. — Un lupo! — esclamò. — Uno dei grandi lupi delle praterie. È perplesso, non capisce cosa siamo.

E il lupo aveva davvero un'aria perplessa. Si allontanò da loro con cautela, danzando una sorta di balletto bizzarro, e poi, accertatosi evidentemente che non rappresentavano un pericolo, si sedette con molto sussiego, avvolgendosi comodamente la coda sulle zampe. Sorvegliandoli attentamente, sollevò il labbro superiore, come per ringhiare, ma poi lo riabbassò, nascondendo nuovamente le zanne.

— Qui attorno — disse Boone — ce ne devono essere altri. Di solito i lupi non viaggiano da soli.

— E sono pericolosi?

— Se sono affamati, suppongo di sì. Ma questo sembra ben nutrito.

— Lupi e serpenti a sonagli — commentò Enid. — Non sono certa che il posto mi piaccia.

Quando giunsero all'estremità dello spuntone di roccia, Boone sì fermò di scatto, ed Enid, che lo seguiva a un passo di distanza, gli finì contro la schiena.

Lo spuntone faceva una curva verso l'interno della collinetta, e poi si protendeva di nuovo verso l'esterno, formando una sorta di nicchia. All'interno della rientranza c'era una bestia enorme.

Una grande testa nera, pelosa, con due corna massicce che misuravano almeno un metro e mezzo da punta a punta: questo fu ciò che Boone scorse. La testa era piegata verso il basso. Una lunga barba che spuntava dalla mandibola strisciava sul terreno.

Boone prese Enid per il braccio e indietreggiò lentamente. In mezzo ai ciuffi intricati dei peli, gli occhi della bestia, bordati di rosso, li fissavano minacciosi.

— State calma — avvertì Boone. — Niente mosse brusche. Potrebbe gettarsi alla carica su di noi. I lupi lo hanno inferocito. È un animale vecchio e disperato.

Raggiunto lo spuntone di roccia da cui iniziava la rientranza, Boone si fermò. Lasciò Enid e sollevò i fucile, senza prendere la mira.

— Un bufalo — disse. — Un bisonte. Gli americani lo chiamano bufalo.

— È enorme!

— Un vecchio maschio. Peserà una tonnellata, forse più. Non è il bisonte del ventesimo secolo. È una razza più antica. Forse è il Latifrons. Non so.

— Avete parlato dei lupi. Ma i lupi non possono essere una minaccia per lui.

— È vecchio, e probabilmente è malato. Alla fine, i lupi riusciranno a stancarlo. I lupi sono pazienti, sanno attendere. Ormai il bisonte è con le spalle al muro, e questa è la sua ultima linea di resistenza.

— Dietro di lui ci sono un paio di lupi. Un altro è salito sulla collinetta.

— Ve l'ho detto — disse Boone. — Cacciano in gruppo.

— Povero bisonte — disse Enid. — Non possiamo fare niente per aiutarlo?

— Il miglior favore che possiamo fargli è quello di ucciderlo, ma adesso non posso farlo. Può avere ancora una possibilità di cavarsela, anche se ne dubito. Vedete quell'uccello, lassù in alto?

— L'ho visto prima. Vola in cerchio.

— Sta aspettando. Sa già quale sarà la conclusione. Quando i lupi avranno finito, resterà ancora qualcosa per lui. Andiamo via. Cercheremo l'acqua da qualche altra parte.

Poco più tardi riuscirono a trovare l'acqua, un piccolo rigagnolo che usciva da uno strato di arenaria. L'acqua sgorgava e non andava lontano: presto veniva assorbita dal terreno asciutto; formava una piccola macchia umida che spariva nel suolo. Boone scavò una pozza che le permettesse di raccogliersi, poi fece ritorno con Enid al viaggiatore per procurarsi un recipiente. L'unica cosa che riuscirono a trovare fu un secchio. Quando fecero ritorno al foro, l'acqua che si era raccolta era sufficiente per riempire il secchio.

Boone guardò il sole ed ebbe la conferma delle sue supposizioni. Era pomeriggio. L'astro si era notevolmente abbassato sull'orizzonte.

— Tra quegli alberi di ginepro ci sarà certo della legna da ardere — disse. — Ci occorrerà un fuoco.

— Purtroppo non abbiamo un'ascia — disse Enid. — Ho controllato l'equipaggiamento lasciato nel viaggiatore da Horace. Cibo, coperte, il secchio, una padella, un accendino, ma non un'ascia.

— Cercheremo di farne a meno — disse Boone.

Con un paio di viaggi fino alla macchia di ginepro si procurarono legna a sufficienza per le esigenze di una notte. Verso il tramonto Boone accese il fuoco, mentre Enid frugava nello zaino per prendere il cibo.

— Penso che possiamo mangiare il prosciutto — disse Enid. — C'è anche del pane. Cosa ne dite?

— Ottimo, direi — disse Boone.

Seduti accanto al fuoco, mangiarono pane e prosciutto mentre si faceva buio. In un punto indeterminato, vicino a loro, un lupo alzava il suo lamento, e da zone più lontane giungevano altri suoni che Boone non riusciva a riconoscere. Quando l'oscurità divenne più profonda spuntarono le stelle, e Boone, sollevando lo sguardo al cielo, cercò di capire se ci fossero stati cambiamenti nelle costellazioni. In un paio di casi gli parve di scorgerne, ma le sue conoscenze di astronomia erano troppo limitate per averne la certezza. Dietro il fuoco, a una certa distanza, si scorgevano macchie di luce, vicine tra loro a due a due.

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