Clifford Simak - La strada dell'eternità

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La strada dell'eternità: краткое содержание, описание и аннотация

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Jay Corcoran e Tom Boone sono amici da anni e in certe occasioni formano una coppia perfetta. Jay è un esperto nel raccogliere informazioni su chiunque, e Tom sa girare dietro gli angoli anche quando non ci sono. La scoperta di una stanza che non esiste sarà solo il punto di partenza ideale per un viaggio destinato a scaraventare i due amici in un'avventura ambientata nel più lontano passato e nel più remoto futuro. Incontreranno così una strana famiglia di esiliati che include il bizzarro Henry, detto anche Fantasma (ma non fatevi sentire a chiamarlo in questo modo dagli altri membri della famiglia), il Popolo dell'arcobaleno, che possiede oscure risposte ad ancora più oscure domande, l'ambigua figura nota come Cappello, messaggero di forze sconosciute e al tempo stesso giocattolo di un lupo preistorico, e soprattutto gli Infiniti, che vogliono tramutare l'uomo in una intelligenza priva di corpo. Il tutto, fra robot che vogliono essere utili all'uomo, e lungo quella che è chiamata la Strada dell'eternità.

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Nella sua mente si formò un'immagine che proveniva dall'esterno. Era l'immagine di una struttura incredibilmente complessa, costituita di linee colorate. Pareva che queste linee si sorreggessero l'una con l'altra. Le linee erano sottili ed erano elegantemente disposte, ma l'intera struttura sembrava alquanto vasta, anche se Enid non poteva vederla bene perché era troppo grande. Enid aveva l'impressione di trovarsi proprio nel centro, e che la struttura si stendesse a una tale distanza, tutt'intorno a lei, che era impossibile vederne la fine.

— Ed ecco il punto — disse l'invisibile Faccia Di Cavallo, parlandole nella mente — ecco dove è necessario mettere il dito.

— Dove? — domandò Enid.

— Qui — disse l'alieno, ed Enid vide chiaramente il punto e vi appoggiò il dito, premendo forte, come se avesse davvero voluto tenere fermo un pezzo di cordino attorno a un pacchetto.

Non successe niente. Enid non si accorse di niente. Ma, per motivi che non sarebbe riuscita spiegare, le parve che la struttura fosse diventata più rigida, e che il vento fosse cessato. Non osò distogliere lo sguardo dal dito, per paura che le scivolasse via dal polpastrello l'inesistente cordino.

Muso di Cavallo le disse, questa volta a voce, e non nella sua mente: — Benissimo. Il lavoro è fatto. Potete togliere il dito.

Lei si guardò attorno, e scorse nuovamente la figura dell'alieno. Era a poca distanza da lei, e si arrampicava sulle sbarre della struttura come se fosse stata una scala a pioli. Udì un grido proveniente dal basso e guardò in quella direzione. La processione si era fermata e tutta la gente guardava verso l'alto, gridando e agitando le braccia in preda a un grande stupore.

Spaventata dall'altezza a cui si trovava, Enid allungò la mano e si afferrò a una delle sbarre colorate che componevano la struttura. La sbarra a cui si afferrò era di colore lavanda ed era collegata ad altre due sbarre, una gialla come un limone e l'altra di un caldo color prugna.

Al tatto, la sbarra sembrava piena e robusta. Chiedendosi dove aveva i piedi, Enid abbassò gli occhi e vide che stavano su una sbarra rossa, altrettanto robusta quanto quella color lavanda che impugnava. Intorno a lei, in tutte le direzioni, c'erano altre sbarre: la struttura la circondava completamente. Dietro la struttura si scorgeva la forma delle colline e delle valli: la collinetta dove si erano radunati coloro che partecipavano alla processione era soltanto una piccola parte del paesaggio che giaceva sotto di lei.

La struttura s'inclinò lateralmente, ed Enid si trovò sospesa a grande altezza, a braccia e gambe larghe. Rimase senza fiato per la paura di cadere, ma dopo qualche istante si tranquillizzò. La posizione in cui si trovava era altrettanto comoda quanto la precedente. Il suo orientamento, comprese, rimaneva fisso rispetto alla struttura, non al terreno. Si guardò attorno, rapidamente, per vedere dove fosse il viaggiatore, ma non riuscì a scorgerlo.

La struttura si mosse di nuovo, ritornando nella posizione iniziale. Enid vide che cominciavano a spuntare nuovi tubi in tutte le direzioni, senza alcuno schema apparente. Muso di Cavallo si stava avvicinando a lei, come un goffo ragno lungo la rete. Quando arrivò alla sua altezza, le si fermò davanti e la fissò.

— Che cosa ve ne pare? — domandò. — Bella vero?

Enid inghiottì a vuoto. — È questa — domandò — la cosa che volevate fare?

— Certo — disse lui. — Pensavo che l'aveste capito.

— Che cos'è? — domandò lei. — Ditemelo, per piacere.

— È una rete per pescare l'universo — disse Muso di Cavallo.

Enid socchiuse gli occhi, fissando la struttura che l'alieno chiamava una rete. Era una struttura esile, priva di forma.

— Non penso — disse lei — che intendiate pescare l'universo con una rete così piccola.

— Il tempo non significa niente per la rete — disse Muso di Cavallo. — E neppure lo spazio. Non dipende né dal tempo né dallo spazio, a parte il fatto di servirsene.

— Come fate a conoscere tante cose dell'universo? — domandò Enid. L'alieno non aveva l'aria di una creatura molto sapiente. — Avete studiato? Non su questa terra, naturalmente, ma…

— Ho studiato al ginocchio della tribù — disse Muso di Cavallo. — Storie antiche e leggende ancora più antiche.

— Per una cosa come questa, non ci si può basare soltanto sulle leggende. Occorre avere conoscenze scientifiche, conoscere la teoria e le sue proprietà fondamentali…

— Sono riuscito a farla, no? Non vi ho detto dove mettere il dito sul filo?

Enid disse, debolmente: — Sì.

La struttura cambiava forma sotto i suoi occhi. Perdeva parte della sua leggerezza, acquistava forma e sostanza, anche se per il momento conservava ancora in parte la levità. Le aste che erano spuntate per prime si erano pian piano coperte di altri oggetti: quelle che sembravano decorazioni erano divenute parti che avevano un ben determinato rapporto con l'intera struttura. Muso di Cavallo diceva che era una rete, ma Enid non capiva che rapporto potesse esserci tra le due cose. Tra una rete e quella struttura non c'era alcuna somiglianza.

— La useremo per viaggiare — disse Muso di Cavallo. — Da un pianeta all'altro, senza un battito di tempo, senza un tocco di spazio.

— Non possiamo usarla per attraversare lo spazio — disse Enid. — Non ci offre alcuna protezione. Il freddo e il vuoto ci uccideranno. E in ogni caso, arriveremo in qualche pianeta sconosciuto, con un'atmosfera mortale: soffocante o ribollente…

— No — disse l'alieno. — Conosceremo ogni volta la nostra destinazione. Non c'è bisogno di tuffarsi nell'ignoto. Possiamo seguire delle carte.

— Da dove vengono quelle carte?

— Da un passato remoto, da molto lontano.

— Le avete viste? Le avete adesso con voi?

— Non c'è bisogno di possederle fisicamente o di vederle. Fanno parte della mia mente, sono una mia componente genetica, che mi è stata trasmessa dai miei padri.

— Vi riferite alla memoria ancestrale?

— Sì, certo — disse l'alieno. — Pensavo che lo capiste. Memoria ancestrale, intelligenza e conoscenze ancestrali, la conoscenza di ciò che è entrato nella rete, o che deve entrarci…

— E voi affermate che questa vostra rete può fare molte cose meravigliose?

— Le meraviglie che può fare — disse l'alieno — non le conosco neppure io. Tempo e spazio non significano niente per la rete…

— Il tempo — ricordò Enid. — A questo volevo arrivare. Ho perso un amico nella corrente del tempo. Conosco il fattore temporale, ma non quello spaziale.

— Non è un problema — disse Muso di Cavallo. — È una questione molto semplice.

— Ma vi dico che non conosco…

— Voi credete di non conoscerlo — la rassicurò l'alieno. — Ma è probabile che lo conosciate. Sarà sufficiente che parliate alla rete. Permettetele di spiare in voi. Può trovare ciò che avete dimenticato.

— Ma come posso parlare alla rete? — domandò Enid.

— Voi non potete parlare alla rete. È la rete che parla con voi.

— E per farle sapere che voglio comunicare con lei? Per essere sicura che ci sia comunicazione tra me e la rete?

— Voi avete pensato verso di me, anche se temevate di non essere in grado di farlo, e avete pensato verso il nodo…

— Adesso che la cosa è fatta, e che avete la vostra amata rete, potete spiegarmi che cosa ho fatto? Non c'era nessun nodo, e non c'era nessun dito.

— Mia cara — disse l'alieno — non ho modo di spiegarvelo. Se potessi farlo, vi spiegherei tutto, ma davvero non posso. Probabilmente avete fatto entrare in gioco un'abilità che non sapevate di possedere, e che io stesso non ero sicuro di trovare in voi. Quando ho parlato di appoggiare il dito, non ero del tutto certo che la cosa funzionasse. Speravo che potesse funzionare.

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