Fritz Leiber - L'alba delle tenebre

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L’alba delle tenebre

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Finalmente, a mezzogiorno in punto, nel bel mezzo dello scampanio più gioioso e assordante che fosse risuonato fino a quel momento, il carillon si fermò, e centinaia di migliaia di cittadini ammutoliti trattennero il respiro, mentre sulla piazza calava un silenzio sepolcrale e gravido di tensione. Poi, dal Santuario provennero le gravi note d’organo di una marcia solenne, cupa e rimbombante, ma al tempo stesso piena di mistero, di maestosità e di potenza, come l’eco armoniosa di un tuono lontano. Una musica simile doveva aver riempito il cielo anche il giorno in cui il Grande Dio aveva imposto la sua volontà sul caos e aveva creato la terra.

Lentamente, in armonia con il ritmo di quella melodia titanica, la tribuna, che era stata eretta durante la notte accanto alla Cattedrale, cominciò a riempirsi di sacerdoti che indossavano vesti scarlatte intessute d’oro. I cittadini più vicini riconobbero lo stemma che spiccava sul loro petto, un triangolo al cui vertice risplendeva un grande gioiello, e, di bocca in bocca, corse la voce appena sussurrata che l’ufficio della Grande Rinascita sarebbe stato presieduto niente meno che dagli arcipreti del Sommo Concilio in persona!

I popolani che potevano vantare di aver visto in vita propria un arciprete erano pochissimi e, perciò, vedere in un colpo solo l’intero Concilio equivaleva a dare una sbirciatina in Paradiso.

A poco a poco, lo stupore ebbe la meglio sulla rabbia collettiva. La musica accelerò. Le grandi porte della Cattedrale si aprirono e, in una processione che incarnava tutta la magnificenza e il potere della Gerarchia, sfilarono, in fila per quattro, i sacerdoti di tutti i circoli: uomini imponenti, belli come semi-dei. I preti descrissero un cerchio nello spazio che i diaconi avevano tenuto sgombro, e infine si disposero in file ordinate davanti alla tribuna.

E, mentre i sacerdoti marciavano, e le note dell’organo si rincorrevano in un crescendo di ricchezza e di calore che, come il sole, raggiungeva la sommità del cielo, ai cittadini comuni sembrava che calpestassero sotto i piedi tutto il male, tutta la tenebra, tutta la ribellione, in breve ogni cosa che osasse alzare la testa contro la Gerarchia.

Sulla tribuna, Goniface arricciò il naso e si rivolse a uno dei sacerdoti del suo seguito.

— Donde viene questo odore? — domandò.

Non era più possibile ignorarlo. Mescolate alla fin troppo dolce fragranza che apposite apparecchiature diffondevano sulla Piazza, provenivano zaffate sempre più intense di un acre puzzo di letame.

Il giovane sacerdote gli rispose che avrebbe immediatamente provveduto a scoprirne l’origine. Sporgendosi lievemente in avanti, Goniface lanciò un’occhiata corrucciata ai due sacerdoti che agitavano i turiboli. Ma li conosceva entrambi: uno era un fidato Realista e l’altro un arcigno Fanatico.

Premette un pulsante sul televisore portatile collocato dinanzi a sé e immediatamente comparve il profilo del direttore tecnico del Centro di Controllo della Cattedrale.

— No, suprema eminenza, non c’è possibilità alcuna che la Stregoneria riesca a manomettere qualche nostra apparecchiatura — disse questi, rispondendo alla domanda del Sommo Gerarca. — Abbiamo installato sistemi di controllo sensibilissimi in grado di avvertirci immediatamente qualora pennelli di forza o altri campi di energia venissero introdotti nella Piazza. E le contromisure necessarie per neutralizzarli sono già pronte. Come vostra eminenza sa, lo scudo telesolidografico risponde pienamente alla bisogna. In breve, la Grande Piazza, la Cattedrale e un’ampia area attorno, sono isolate. Di questo potete essere certo.

— La puzza? Ah, sì, ne siamo già al corrente. Un guasto, sfortunato quanto imprevedibile, a uno dei diffusori odorosi. Abbiamo già provveduto alla riparazione.

Mentre lo rimproverava aspramente, Goniface studiò i volti degli altri sacerdoti del Centro di Controllo. Tutti fedeli Realisti, a eccezione di due fisici del Quinto Circolo, che erano Fanatici. Tutto bene quindi.

— Sì suprema eminenza — lo rassicurò il direttore tecnico in risposta alla sua ultima domanda. — In qualunque momento lo desideriate, siamo in grado di generare immediatamente una cupola di repulsione sopra la tribuna. E lo squadrone di angeli che avete chiesto di tener pronto può entrare in azione quasi con la medesima rapidità.

Ampiamente, se non proprio del tutto, soddisfatto, Goniface spense il televisore. Come aveva detto il direttore tecnico, in effetti il fetore insopportabile di pochi istanti prima era quasi svanito, anche se in mezzo alla folla qualcuno arricciava ancora il naso. In quel momento gli sarebbe piaciuto avere al proprio fianco Cugino Deth, ma il piccolo diacono aveva il delicato compito di proseguire la caccia alle streghe. In ogni caso, Jarles era un valido sostituto.

La marcia si era concluso con una grandiosa, trionfale esplosione di suoni, che sembrava evocare l’ultimo e più importante atto della creazione divina, quando, dopo il catastrofico esperimento dell’Età dell’Oro, il Grande Dio aveva dato vita alla gloria perfetta della Gerarchia.

La folla, impaziente per le lunghe ore di attesa, ma placata dalle stimolazioni parasimpatiche, si lasciò guidare docilmente dai predicatori revivalistici, le cui voci, enormemente amplificate, tuonavano una dopo l’altra nella Piazza. Brani di una musica più dolce della marcia che aveva accompagnato il corteo dei sacerdoti, accentuavano la cadenza delle orazioni che i predicatori intonavano con grande fervore, mentre le radiazioni parasimpatiche, intercalate di tanto in tanto a quelle simpatiche, venivano abilmente calibrate per accrescere l’effetto delle loro esortazioni.

A poco a poco, la folla abbandonò qualsiasi resistenza emotiva e alcuni gruppi di cittadini presero a oscillare ritmicamente da una parte all’altra, finché il movimento si estese a tutti i convenuti, comprese le persone ammassate sui tetti e tutta la Piazza ondeggiò come un unico grande organismo. E allora da centinaia di migliaia di gole si levò un suono inarticolato che rafforzava l’enfasi ritmata dei predicatori: un suono animalesco, profondamente emozionante e al tempo stesso disgustoso, un suono che vacillava fra un grugnito di piacere e un singhiozzo.

Qui e là vi erano segni evidenti di un più marcato cedimento emotivo: gemiti d’estasi, grida, braccia che si agitavano convulsamente, improvvise soluzioni di continuità nel mare ondeggiante della folla là dove alcuni cittadini erano caduti in ginocchio. Sarebbe stato facile, a quel punto, indurre il popolo a un più folle e totale abbandono, ma non era quella l’intenzione della Gerarchia. Anzi, tenuta unita da quel movimento oscillante e da quella nenia monocorde, la folla riusciva a contrastare e a riassorbire ogni eccesso che sarebbe potuto sfociare in un comportamento più violento.

— Grande Dio, sconfiggi Satanas, sconfiggi il Dio del Male! — Flusso e riflusso grugnente dell’onda umana. — Ci ha teso molte trappole ma noi lo abbiamo combattuto! Flusso e riflusso grugnente dell’onda umana. — Ha riempito la notte di terrore, ma noi abbiamo invocato il tuo aiuto! — Flusso e riflusso grugnente dell’onda umana. — Ha inviato contro di noi i suoi orrori, ma noi ci siamo aggrappati alla nostra fede! — Flusso e riflusso grugnente dell’onda umana. — Ricaccialo all’Inferno, rimandalo dai suoi peccatori! — Flusso e riflusso grugnente dell’onda umana. — Fa’ che affondi nella sozzura, fa che banchetti insieme ai dannati! — Flusso e riflusso grugnente dell’onda umana…

Quindi, dimostrando una sconcertante capacità di dominio sulla folla, l’ultimo e il più abile dei predicatori ne placò l’ondeggiamento e ne zittì il brontolio, trasformandolo in uno stato di immota tensione, di attesa così trepidante da essere quasi insostenibile.

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