Fritz Leiber - L'alba delle tenebre

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L’alba delle tenebre

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Suo fratello era la pietra angolare della sua esistenza. Era così legato a lui, che a volte aveva l’impressione di non essere nient’altro che un prolungamento della sua personalità. E questa impressione aveva un preciso fondamento. Attraverso gli ormoni presenti nel sangue dello stregone, Dickon faceva proprie anche le sue emozioni (e infatti, quando chiacchieravano fra di loro, i piccoli demoni parlavano di “sangue spaventato”, “sangue arrabbiato”, “sangue innamorato” e così via); anche se, a onor del vero, quelle emozioni erano estremamente fugaci e non turbavano in modo significativo l’uniforme tenore dei suoi pensieri.

Ma il vero motivo dello stretto legame che li univa era che, in ogni sua parte, Dickon era una versione semplificata di suo fratello. In breve era, a tutti gli effetti, gemello vero dell’Uomo Nero, in quanto si era sviluppato da una cellula del suo organismo grazie a una procedura chiamata “spoliazione cromosomica”. Si trattava di una tecnica messa a punto dai microbiologi dell’Età dell’Oro, e poi presumibilmente dimenticata, mediante la quale dai cromosomi di un essere umano venivano eliminati i determinanti del sesso, dell’alimentazione e di molte altre funzioni; ma fatta salva la perdita di questi caratteri, le creature come Dickon erano in tutto e per tutto identici ai loro fratelli o alle loro sorelle; e questo spiegava la loro capacità di comunicazione telepatica.

Quando gli scienziati della Civiltà dell’Alba avevano scoperto l’esistenza delle onde cerebrali, si erano resi conto che se la telepatia esisteva, era assai più probabile che si manifestasse fra gemelli monozigotici; infatti, l’uguaglianza delle strutture cerebrali implicava un’analoga uguaglianza delle onde cerebrali, grazie alla quale le due menti potevano entrare in sintonia. Ma questa ipotesi non aveva trovato alcun riscontro se non verso la fine dell’Età dell’Oro, quando si era scoperto che la comunicazione telepatica poteva avvenire soltanto quando una delle due stazioni era di struttura molto più semplice dell’altra; era, questa, una condizione indispensabile per eliminare interferenze altrimenti insormontabili.

La produzione, attraverso la tecnica della spoliazione cromosomica, di gemelli monozigotici simbiotici aveva permesso di risolvere il problema. In breve, l’Età dell’Oro aveva accarezzato il sogno di prolungare la personalità di ogni singolo individuo fornendogli un compagno simbiotico. Poi, in rapida successione, erano arrivati i tempi bui, la fine della ricerca scientifica, il caos in tutto il mondo e la fondazione della Gerarchia. Fino al giorno in cui, la Nuova Stregoneria era nata da poco, erano giunte dettagliate istruzioni da Asmodeo per l’istituzione di un luogo di cova e la creazione di gemelli monozigotici simbiotici, su imitazione dei demoni inviati da Satana al servizio delle antiche streghe.

Fin dalla nascita, dal momento stesso in cui era stato prelevato dalla gabbia di cova, Dickon era stato proiettato nel mondo di suo fratello, cosicché, in un certo senso non aveva avuto infanzia, ma aveva subito cominciato a pensare come un adulto. Il contatto diretto con la mente di suo fratello gli aveva permesso di raggiungere la piena maturità intellettuale nell’arco di poche ore, e di capire cose che il suo semplice sistema nervoso da solo non gli avrebbe mai consentito di afferrare. Di grande importanza per il suo sviluppo era stata anche la frequentazione degli altri demoni, suoi simili, con i quali, però, aveva contatti telepatici di intensità e portata minori.

Ma a suo fratello era molto più legato che a chiunque di loro. E così, mentre lo cercava, divorando con le agili zampe i rami tenebrosi dei condotti dell’aerazione, Dickon giunse assai vicino, vicino quanto può giùngervi una creatura priva di un sistema ghiandolare, a provare un’emozione tutta sua.

Ancora cinque rami al massimo, disse a se stesso, dopodiché avrebbe dovuto fermarsi. In quell’istante, la vaga traccia di un’immagine apparve sulla lavagna vuota della sua mente.

Si fermò. L’immagine cominciò a svanire. Si spostò in avanti. L’immagine si dileguò. Allora ritornò sui propri passi e attese. Dopo un po’ cominciò a prendere forma un’altra visione, simile a una fotografia in fase di sviluppo… una fotografia che si muoveva e cambiava mentre prendeva vita. Un sentimento che, se Dickon fosse stato capace di provare emozioni, sarebbe stato molto simile alla paura, riempì la piccola stanza dietro i suoi occhi. Non aveva mai visto un simile paesaggio mentale prima di allora. Eppure era certo che si trattasse della mente di suo fratello.

Senza alcun preavviso l’immagine svanì. Lesto, il piccolo Dickon che stava dietro i suoi occhi, corse alla lavagna e vi scrisse sopra un messaggio. — Dickon è qui, fratello. Dickon scrive nella tua mente.

Anche il suo messaggio svanì e subito dopo la lavagna fu invasa da un tale marasma di pensieri che Dickon capì che suo fratello doveva essere profondamente turbato e in preda a una grande agitazione. Quei pensieri avevano una sfumatura che gli era del tutto aliena. Ma scomparvero quasi subito, come se suo fratello si fosse reso conto che erano troppo confusi per essere di qualche utilità e, al loro posto, apparve una domanda semplice e breve.

— Riesci a sentirmi chiaramente Dickon? Il contatto è sufficiente?

— Sì, ma i tuoi pensieri sono strani. E alcuni sembrano feriti. Qualcuno ha ferito i tuoi pensieri, fratello?

— Un po’, ma adesso non ho tempo di spiegarti. — A questo punto Dickon vide un’immagine fuggevole e frammentaria di Fratello Dhomas e del suo laboratorio nelle cripte. — A parte la stranezza, il contatto è sufficiente? — proseguì l’Uomo Nero.

— Sì, ma Dickon vorrebbe venire da te. Aiuterai Dickon a trovare la strada?

— Mi dispiace, Dickon, ma non è possibile. Hanno rinchiuso tuo fratello in una stanza in cui non può entrare nessuno. Hai trasmesso il mio messaggio?

— No. Dickon non ha potuto. Ha trovato le cose molto diverse da come sarebbero dovute essere. Ha molte notizie per te.

— Su, racconta.

A quel punto, il piccolo Dickon che si trovava dietro ai suoi occhi aprì le scatole dei ricordi.

— Dopo che Dickon ti ha lasciato nella stanza della malattia… Hai ancora quello strano cuore esterno, fratello?

— No. Adesso sto meglio. Sono passati quattro giorni da quando ci siamo lasciati. Va’ avanti.

— Dickon ha attraversato le gallerie. Prima quelle piccole, poi, attraverso uno stretto cunicolo quelle grandi, poi di nuovo quelle piccole. Ma non ha trovato Drick, né suo fratello, nel luogo in cui Drick avrebbe dovuto essere. Così Dickon si è diretto verso la Camera del Convegno. Ma nella gallerie sotto la Camera ha trovato molti demoni, fra cui il fratello di Drick, Jock, Meg, Mysie, Jill, Seth e tanti altri. Loro hanno detto a Dickon che non doveva andare nella Camera perché c’erano i preti. C’era stata una riunione, hanno detto, e le Persone Grandi erano state tradite. I diaconi avevano fatto irruzione nella Camera e avevano catturato le Persone Grandi. I demoni stavano male. Avevano perso il contatto con i loro fratelli e non sapevano che cosa fare. Molti avevano bisogno di sangue.

“Allora Dickon si è ricordato che nel Luogo di Cova c’erano riserve di sangue per gli embrioni. Così ha riunito i demoni in gruppo, invitando i più forti ad aiutare i più deboli e li ha condotti giù giù fino al Luogo di Cova. È stato un viaggio tanto faticoso. Verso la fine molti hanno dovuto essere trasportati a braccia. E se non avessero saputo che stavano ritornando al loro luogo di nascita penso che non ce l’avrebbero fatta.

“Quando finalmente Dickon e gli altri sono arrivati al Luogo di Cova non hanno trovato nemmeno lì le Persone Grandi. Era deserto. Gli altri demoni volevano precipitarsi verso le prime ampolle di sangue che capitavano, ma Dickon li ha trattenuti e gli ha impedito di bere fino a quando non ha trovato la cassetta dove c’è il sangue-che-tutti-possono-bere-senza-pericolo.

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