— Non potete esserne sicura — bisbigliò il signor Wilson. — Tanta gente sembra uguale. Siamo stati ingannati altre volte. Cosa ne dite, Dris?
— Che lui sia l’uomo non ci sono dubbi — bisbigliò in risposta la voce dell’uomo senza una mano. — Ma l’ho seguito per un po’ questa sera, e penso che sia a posto.
— Ma se è lo stesso uomo… — obiettò la signorina Hackman. — Ricordatevi che l’ho visto, io in persona, insieme alla ragazza all’agenzia di collocamento.
— Sì — rispose il signor Wilson — e abbiamo deciso che in quella circostanza eravamo stati tratti in inganno, e che lui non era affatto un complice. Il che dovrebbe indicare che questa non è la ragazza.
Carr percepiva i bisbigli ricadere tutt’intorno a loro come una ragnatela. Rivolto a Jane disse ad alta voce: — Hai un aspetto splendido, piccola.
— Non siete tanto male neanche voi — rispose lei.
Carr spostò il braccio intorno alla sua vita, sfiorandole i fianchi nel farlo. Ma i suoi occhi stavano esplorando la strada davanti a loro. La scena non era cambiata. I meccanismi dell’effimero funzionavano a pieno regime. Ai due uomini con l’impermeabile scuro, sul lato opposto della strada se n’erano aggiunti altri due. Il tassi davanti all’emporio borbottava ancora. Sui bordi del suo campo di visione, su entrambi i lati, c’erano porzioni confuse e sussultanti del panama del signor Wilson e del suo pancione a strisce, della camicetta di gabardine verde della signorina Hackman e delle sue gambe avvolte nelle calze di nylon.
— Siete d’accordo con me sulla ragazza, Dris? — chiese il signor Wilson.
— Penso di sì. — Ma questa volta nella voce dell’uomo senza una mano mancava la certezza. — Ma non posso esserne sicuro, siccome… insomma, non sono del tutto sicuro dell’uomo. È anche possibile che mi abbia ingannato.
La signorina Hackman prese la palla al balzo. — Esattamente. E credo che stiano ancora fingendo. Lasciate che li metta alla prova.
Attraverso l’abito succinto, Carr sentì Jane tremare.
— Mettételo via! — intimò, brusco, il signor Wilson.
— No — ribatté la signorina Hackman.
Erano giunti quasi all’angolo. Stavano oltrepassando la decappottabile nera. La figura di un uomo dagli occhi velati, con indosso una camicia azzurra sbiadita, salì sul marciapiede barcollando e cominciò ad attraversarlo con passo incerto. Carr tirò via Jane dalla sua strada.
— Disgustoso — disse Jane.
— L’avrei preso a botte se ti avesse urtata.
— Oh, ma è ubriaco — replicò Jane.
— L’avrei preso a botte lo stesso — ribadì Carr, ma non la stava più guardando. Il conducente del tassi stava uscendo in tutta fretta dall’emporio.
— Vieni, piccola — disse Carr d’un tratto, facendo un mezzo balzo in avanti e trascinando Jane con sé. — È qui che cominciamo a viaggiare in fretta.
— Oh, magnifico — sussurrò Jane. I suoi occhi si spalancarono quando fissò il tassi. Si affrettarono verso di esso.
Dietro l’angolo, gli uomini dall’impermeabile scuro lasciarono la vetrina del banco dei pegni e puntarono verso di loro.
Il breve bisbiglio della signorina Hackman era quasi un gemito: — Stanno scappando. Dovete lasciare che li metta alla prova.
Il conducente del tassi abbassò la testa per entrare nella macchina. Nel medesimo istante la mano di Carr si allungò verso la portiera.
— Potrebbe esser meglio… — giunse la voce di Dris.
Con la freddezza del ghiaccio, Carr tenne aperta la portiera per Jane. Con la coda dell’occhio vide la mano della signorina Hackman. Stringeva fra le dita uno di quegli spilloni simili a stiletti che le adornavano il cappello.
— Be’… — cominciò a dire il signor Wilson. Poi, con un tono di voce del tutto diverso, quasi bisbigliando, ma questa volta con viva agitazione e sorpresa: — No! Guardate! Presto, dobbiamo andarcene da qui!
Carr salì dietro a Jane, sbatté la portiera, si lasciò cadere sul sedile. Il tassi partì con un sobbalzo, ma dietro di loro udì un motore più potente mettersi in moto con un rombo. Azzardò una rapida occhiata alle sue spalle.
La decappottabile nera stava accelerando lungo la South State, allontanandosi da loro.
Sul marciapiede che avevano appena lasciato c’era un crocchio di uomini vestiti con impermeabili scuri.
Carr aprì la porta che dava sulla sua stanza, corse alla finestra, tirò giù le tapparelle, tornò alla porta e guardò lungo il corridoio buio, ascoltò per qualche istante e alla fine chiuse a chiave la porta e tirò il catenaccio.
Soltanto allora accese la luce.
— Credi davvero che qui saremo al sicuro? — gli chiese Jane. Incorniciata da quei capelli dilettantescamente ossigenati il suo volto appariva minuto e sbarazzino.
— Sempre più al sicuro che altrove — rispose lui. — Non credo che conoscano ancora il mio indirizzo. — Corrugò la fronte. — Cosa credi che li abbia tanto spaventati alla fine?
— Non mi sono accorta che fossero spaventati per qualcosa — rispose Jane.
— C’erano quegli uomini in impermeabile — lui le spiegò mentre lo sguardo di Jane andava istintivamente alla porta chiusa con il catenaccio.
— Preparo qualcosa da bere — disse Carr.
In bagno, mentre aggiungeva acqua al Whisky, ricordò la testa e il collo taurini, immobili, della creatura che aveva guidato il tassi quand’erano sgusciati fuori ad un semaforo rosso all’incrocio fra La Salle e Grand. Ogni cosa intorno a lui stava assumendo un aspetto distorto e orribilmente compatto. Gli pareva impossibile, in un universo di meccanismi recalcitranti, di essere in grado di svitare senza difficoltà il tappo d’una bottiglia di whisky, di aprire e chiudere un rubinetto, perfino di riuscire a spingere da parte quell’aria così densa mentre, con lo squallido pavimento bianco che pareva oscillargli sotto i piedi, lottava in preda alle vertigini per uscire dal bagno e rientrare in camera da letto.
Jane si precipitò verso di lui.
— È tutto impossibile — dichiarò lui rantolando. — Siamo pazzi tutti e due.
Lei gli afferrò con una energica stretta il braccio sopra il gomito. — L’ho detto molte volte a Fred — replico impietosa. — E a me stessa.
Carr strizzò le palpebre. Il pavimento si stabilizzò sotto di lui: Jane gli prese uno dei bicchieri colmi. Lui ingurgitò una sorsata dall’altro.
— Una folle illusione potrebbe venir condivisa… — cominciò.
Lei si limitò a guardarlo.
— Ma se non siamo pazzi — continuò lui tormentandosi — cos’è che ha creato il mondo in questo modo? Sono state forse le macchine a contagiare gli uomini trasformandoli in cose simili a loro? Oppure il credo dell’uomo in un universo completamente materialistico l’ha ridotto così? Oppure… — esitò — il mondo è sempre stato così: un insignificante giocattolo meccanico?
Jane scrollò le spalle.
— Ma perché dovremmo essere noi quelli che si sono svegliati? — proseguì Carr con crescente agitazione. — Perché, fra tanti miliardi, dovremmo essere stati noi a sviluppare una mente e a diventare consapevoli?
— Non lo so — lei rispose.
— Se soltanto sapessimo com’è accaduto a noi, potremmo avere qualche idea… — Carr la guardò. — Jane — disse — a te com’è successo? Qual è stata la prima volta che l’hai scoperto?
— È una lunga storia…
— Raccontamela.
— …e non sono sicura che spieghi qualcosa.
Lei lo guardò pensierosa. — D’accordo — annuì con voce sommessa. Si sedette sull’orlo del letto, con una sorta di gesto perentorio, e sorseggiò il suo bicchiere. — Devi pensare alla mia infanzia — cominciò — come a una educazione vuota, iperprotettiva, da classe media, in un appartamento in città. Devi pensarmi infelice, spaventata e sola, con poche amiche che giudicavo sciocche e ignoranti e allo stesso tempo più in gamba di me.
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