Fritz Leiber - Scacco al tempo

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Scacco al tempo: краткое содержание, описание и аннотация

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Carr Mackay ha un lavoro tranquillo, una fidanzata che lo spinge a far carriera e una vita tutto sommato ben pianificata. Ma ecco che un giorno conosce una strana ragazza, bella e alquanto terrorizzata, e da quel momento la sua vita scivola lungo binari diversi. Scopre di possedere un oscuro potere che il mondo attorno a lui sembra aver perduto, e soprattutto si rende conto che il tempo non è uguale per tutti. O meglio, che non tutti sono obbligati a rispettare la sceneggiatura cosmica imposta silenziosamente al genere umano dall’ordine delle cose. Da quel giorno la vita cambia per Carr Mackay, in modo radicale e spaventoso, poiché fra i pupazzi che tutt’intorno continuano la loro recita si nascondono altri ribelli niente affatto amichevoli…

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Poco dopo si addormentò.

Quando tornò a svegliarsi era il tramonto. La stanza era interamente immersa in ombre vellutate. Le tapparelle della finestra parevano lievemente fosforescenti. Si sentiva il volto fresco, come se ci fosse appena passata sopra una spugna.

Subito i suoi pensieri ripresero a galoppare, ma rinfrancati e rinforzati dal sonno, con una prospettiva del tutto nuova.

Aveva sfiorato l’orlo della follia, pensò.

Era caduto vittima d’una terribile illusione.

Doveva sradicarla dalla sua mente il più presto possibile.

Doveva parlare con qualcuno… qualcuno molto vicino a lui e sensibile, e convincersi che era un’illusione.

Marcia…

Lei era reale. Rappresentava il lato pratico, normale delle cose.

A quell’ora doveva essere a casa.

Ma… sì, lui l’aveva malamente insultata l’ultima volta che era stato con lei, lasciandola sola dai Pendleton…

Comunque, Marcia era la persona giusta. L’avrebbe ascoltato. Avrebbe capito. L’avrebbe liberato da quell’ansia ossessiva.

Si alzò in piedi e s’infilò rapidamente scarpe e cappotto. Cercò d’impedire ai suoi pensieri di vagare, come pure alle sue orrende emozioni. Il suo scopo era di arrivare a Marcia prima di perdere quella sensazione di sicurezza con la quale si era svegliato: la convinzione salvatrice che tutte le sue orrende delusioni fossero soltanto fantasie di un incubo.

Non incontrò nessuno lungo le scale, salvo la sua sgusciante immagine allo specchio. Anche l’atrio, in basso, era vuoto e buio. Poi aprì la porta e uscì in quella che, come assicurò a se stesso, non era una città di automi. Un uomo stava passando ai piedi della breve gradinata, un vecchietto con un cappotto e un cappello marroni, gli occhi profondamente incassati che guardavano accigliati davanti a sé e le labbra che si muovevano quasi come se stessero borbottando qualcosa tra i denti.

Carr ebbe l’impulso di chiamarlo per intavolare una conversazione con lui… per accertarsi subito della falsità della sua illusione.

Ma talvolta gli estranei v’ignoravano quando gli parlavate. Specialmente quelli che avevano un aspetto alienato.

No, doveva trattarsi di qualcuno di più intimo. Di qualcuno che non poteva ignorarlo.

Marcia…

Camminò in fretta. Il cielo era quasi scuro e alcune stelle erano già visibili. Il morbido chiarore che usciva dalle finestre degli appartamenti creava ombre grottesche. Gli stretti passaggi fra gli edifici erano nere fessure verticali, salvo là dove le finestre laterali riversavano la loro illuminazione sulle pareti di mattoni a pochi metri dirimpetto. Piccoli arbusti si rannicchiavano a ridosso dei muri degli scantinati.

C’era molta quiete. Poche figure passavano per la strada. Cercò con poco successo di evitare di guardare negli occhi quelli che passavano.

Ma la gente era così in città, ricordò a se stesso. Vi passavano accanto a meno d’una quarantina di centimetri, e non tradivano d’esser coscienti della vostra esistenza neanche col più piccolo guizzo degli occhi.

Questa era Chicago si disse. Più di tre milioni di abitanti. Una metropoli in continuo movimento. Solo che stanotte tutto era molto tranquillo.

Doveva attraversare ancora una strada prima di arrivare all’appartamento di Marcia: quell’angolo appena davanti a lui dove spiccava un piccolo gruppo d’insegne illuminate. Su questo lato, un ristorante e una lavanderia, quest’ultima chiusa, entrambi parte di un residence. Sull’altro lato, alla sua destra, dalla parte opposta della strada, un bar con l’insegna smerlettata da piccole luci colorate. Non era neanche a quindici metri dall’angolo (in effetti, era quasi entrato nella chiazza di luce sotto l’ultimo lampione) quando vide Marcia. Indossava un abito scuro con un disegno a fiori bianchi. Aveva una borsetta nera quadrata. Svoltò a nord, verso il proprio appartamento.

Carr rimase immobile. Là c’era la persona che bramava maggiormente vedere, ma adesso che l’aveva trovata, esitò. Proprio come con il vecchietto che era passato davanti ai gradini del suo appartamento, qualcosa lo trattenne dal fare quella mossa, dal pronunciare le parole che l’avrebbero rincuorato.

Seguì con lo sguardo Marcia che attraversava la strada, che entrava in una chiazza di luce, ne usciva…

Esitò ancora. Provò una crescente agitazione. Si guardò intorno, indeciso.

Il suo sguardo incontrò una figura in piedi sull’altro lato della strada, un profilo magro da studente universitario, i capelli tagliati a spazzola, disegnato dal bagliore delle luci del bar, il volto immerso nell’ombra. Quell’uomo aveva qualche cosa di familiare. Carr lo fissò istintivamente, cercando di ricordare dove l’avesse già visto prima.

L’uomo lanciò una lunga occhiata dietro di sé, quasi ad assicurarsi che Carr non stesse fissando qualcun altro. Poi tornò a girarsi. Un fugace lampo bianco balenò nella parte inferiore del suo volto in ombra, come se avesse esibito la dentatura in un sorriso. Agitò bruscamente una mano in direzione di Carr.

Mentre lo faceva, Carr si rese conto di voler essere con Marcia, camminando al suo fianco: il posto giusto per lui, giustificato, non più così solo in quella città orrendamente vuota.

Soltanto per un brevissimo istante il metallo d’un uncino sbucò fuori dal polsino, sull’altro lato della strada.

Ogni cosa si stagliò nitida davanti agli occhi di Carr come in un’incisione. Sapeva, senza bisogno di contarle, che c’erano sedici lampadine sopra e sotto l’insegna del bar, che all’interno del bar c’erano pareti decorate con figure di ninfe e satiri, tre ninfe e due satiri in ciascun pannello… che l’ampio marciapiede davanti al bar era diviso trasversalmente a blocchi di tre.

L’uomo senza una mano cominciò a venire verso di lui, sollecitandolo ad aspettarlo con un altro allegro cenno della mano.

Carr fece finta di non vedere. Si voltò e girò verso nord. Marcia era una piccola sagoma scura a un quarto di miglio di distanza. Cominciò a seguirla con passo energico, cercando di apparire naturale.

— Aspettate un momento per favore! — gli gridò l’uomo con una mano sola. La voce suonò piuttosto alta, ma calma e gradevole, con un accento della costa orientale. Carr sapeva che non doveva rispondere. Una volta fornita loro la prova che lui era vivo… Finse di non sentire. Raggiunse il bordo del marciapiede opposto, grato che l’approssimarsi d’una automobile gli avesse dato il pretesto di accelerare ulteriormente il passo.

— Fermatevi un momento per favore! — gridò l’uomo senza una mano. — C’è qualcosa che voglio dirvi.

Lo sguardo di Carr rimase incollato al vestito a fiori bianchi di Marcia. Grazie a Dio la ragazza camminava lentamente. Eseguì una pantomima per dare a vedere di averla riconosciuta, giustificando così l’ulteriore accelerazione della sua andatura.

— Per favore fermatevi — lo chiamò ancora l’uomo senza una mano. — Sono sicuro di conoscervi.

Era un tratto molto buio. L’edificio davanti al quale Carr stava passando era fiancheggiato da una siepe. Una fila di macchine parcheggiate, luccicanti ma piene di tenebre, formavano una compatta barriera.

I passi dietro di lui saltavano guadagnando terreno. Marcia era ancora a qualche distanza. Carr lottò per trattenersi dal correre.

— Non siete molto gentile — gridò l’uomo senza una mano. — Dopotutto sono menomato, anche se questo non mi costringe a rallentare.

Adesso i passi erano ancora più vicini. Malgrado Marcia fosse soltanto a sei metri, parve a Carr che avrebbe potuto esserci benissimo una fossa grande come il mondo fra loro due.

I passi ormai erano appena dietro le sue spalle. La punta d’un piede balenò entro l’orlo inferiore del suo campo visivo. Una voce gli disse all’orecchio: — Fermatevi, adesso. — E si sentì sfiorare la spalla da qualcosa di simile a un artiglio.

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