Dalle sue labbra giunse un borbottio che divenne sempre più forte. Era, Carr se ne rese conto con un’ulteriore ventata d’orrore, esattamente come il farfugliare dell’uomo basso e grasso.
O meglio — l’immagine balzò alla mente di Carr mentre fuggiva verso la porta — come i suoni privi di significato prodotti da un disco che girava all’incontrano.
Carr alzò lo sguardo sui giganteschi ingrandimenti fotografici di donne in reggiseno e mutandine offuscati da una visibilissima grana e stampati in vivace arancione. Un’insegna berciava: — Ragazze e ancora Ragazze!
Intorno a lui, solitarie e desolate figure di uomini bighellonavano sui marciapiedi senza una meta.
Si rese conto di trovarsi nella South State Street e di aver cercato Jane Gregg attraverso gli incubi di Chicago e della propria mente sin dall’istante in cui se l’era squagliata alla chetichella dall’appartamento di Marcia, alcune ore prima.
Per lui, adesso, Jane era la sola persona al mondo. La sola persona che gli avrebbe risposto quando lui le avesse parlato. La sola persona dietro alla cui fronte vi fosse una luce interiore.
Salvo per pochi altri ai quali era meglio non pensare.
Era stato, uno dopo l’altro, in tutti i luoghi che lui e Jane avevano visitato, ma senza risultato. Adesso era venuto in un posto che le aveva sentito citare.
Intorno a lui, la luce delle insegne feriva gli occhi, la musica da ballo riempiva l’aria di miagolii, gli automi vagavano sperduti attraverso sudice ombre. Chicago, città di morte, metropoli senza cervello, popolata da milioni di macchine di carne e ossa che camminavano e lavoravano e articolavano parole come tanti dischi… e si arrugginivano e finivano nel mucchio dei rottami.
Città morta in un universo morto. Città morta attraverso la quale lui era condannato a cercare per sempre, futilmente.
Era contento che l’incubo della sua mente l’avesse aiutato a escluderla. Per un fugace momento ebbe una visione del volto di Marcia come l’aveva vista l’ultima volta. Si aspettava che quanto si trovava dietro la fronte della sua visione colasse fuori dagli occhi sotto forma di nere lacrime.
Passò davanti a un negozio che pareva una fessura da quanto era angusto e la cui insegna diceva TATUAGGI, seguito da una vetrina piena di cianfrusaglie. Davanti a essa oziavano due figure d’uomo avvolte in impermeabili scuri. Per qualche motivo, spiccavano fra gli altri desolati automi.
Mentre attraversava la strada, un tassi si fermò accanto a lui di fronte a un emporio dalla vetrina sciatta. La figura grassa del conducente si spremette fuori e si tuffò nell’emporio. Quando Carr passò davanti alla vetrina, lo vide intento a fare un numero al telefono pubblico.
Il bordo d’un colletto alquanto sudicio e strapazzato risaltava tra le spalle voluminose rivestite da un cappotto unto e un collo rosso, straripante. Sentì il motore dell’auto che borbottava sommesso. Davanti a lui le luci si diradarono, i marciapiedi divennero più vuoti man mano che la South State si avvicinava allo sfondo nero dei cantieri della ferrovia. Superò una figura di donna. Il volto era all’ombra d’un tendone, ma scorse i capelli che le arrivavano fino alle spalle, l’abito attillato d’un nero lucido che le aderiva strettamente ai fianchi e alle cosce, e le lunghe gambe nude.
Passò davanti a un’insegna che diceva: FOTO-TESSERA A TUTTE LE ORE. Passò davanti a un locale della vetrina oscurata con un’insegna che proclamava: SPETTACOLO CONTINUATO.
Pensò: cercherò Jane per sempre e non la troverò mai. Cercherò Jane…
Si fermò.
…cercherò Jane…
Si voltò.
No, non può essere, pensò. I capelli di quella donna erano biondi e i fianchi ondeggiavano in maniera troppo appariscente in quel vestito nero attillato.
Ma a prescindere da quei due particolari…
I capelli erano d’un biondo irregolare. Potevano essere… anzi, lo erano certamente… ossigenati.
Quel modo di camminare poteva essere esagerato a bella posta.
Cominciava a credere che fosse davvero Jane.
Proprio allora il suo sguardo superò per un attimo i capelli biondi che le ricadevano sulle spalle.
La lunga decappottabile nera si fermò accanto al marciapiede vicino al tassi, parcheggiando sul lato sbagliato della strada. Ne scese l’uomo senza una mano.
Sul lato opposto della strada, alla stessa altezza della ragazza in nero, c’era la signorina Hackman. Indossava un abito sportivo e inalberava un cappello entrambi verdi. Carr lanciò rapide occhiate a destra e a sinistra, poi cominciò ad attraversare la strada.
Il signor Wilson sbucò da una porta buia giusto a metà strada fra Carr e la ragazza in nero.
Carr provò una violenta stretta al cuore. Questo era il colpo finale, pensò. La fine della lunga, spaventevole fuga di Jane. L’uccisione.
A meno che…
I tre inseguitori le si avvicinarono lentamente, sicuri di sé. La ragazza in nero non si girò né si voltò, ma parve rallentare un po’.
A meno che non accadesse qualcosa a convincerli che lui e Jane erano automi, come tutti gli altri. A meno che lui e Jane non fossero riusciti a organizzare una messa in scena che li ingannasse.
Poteva esser fatto. Avevano sempre avuto dei dubbi su Jane.
Ma non poteva farlo da sola. Non poteva recitare da sola. Ma con lui…
Le tre figure continuarono ad avvicinarsi. La signorina Hackman sorrideva…
Carr s’inumidì le labbra e fischiò due volte, con un lungo svolazzo di apprezzamento alla fine di ciascun fischio.
La ragazza in nero si fermò.
Carr si affrettò verso di lei.
La ragazza in nero si girò. Carr vide il volto bianco di Jane, incorniciato da quei ridicoli capelli biondi.
— Ciao, piccola — la chiamò, salutandola con un cenno delle dita.
— Ciao — gli rispose lei. La sua bocca, coperta da uno spesso strato di rossetto, sorrise. Continuò leggermente ad ancheggiare mentre l’aspettava.
Carr la raggiunse, superando il signor Wilson… un attimo prima che lo facessero gli altri. Non li guardò, ma li sentì avvicinarsi alle loro spalle, formando un tenebroso semicerchio.
— Niente da fare, stasera? — chiese a Jane.
Il suo mento tracciò un piccolo cerchio, che non era proprio un assenso. Lei lo studiò dall’alto in basso. — Forse.
— Stanno fingendo! — Il bisbiglio della signorina Hackman era quasi inaudibile. Parve staccarsi dalle sue labbra e planare verso il suo orecchio come un insetto.
— Non lo credo — udì sussurrare in risposta al signor Wilson. — A me pare un adescamento come mille altri.
Una sensazione di gelo fece venire la pelle d’oca a Carr.
— Che ne direste se lo facessimo insieme? — chiese a Jane, fingendo di non aver udito nessun bisbiglio, di non essersi accorto di nessuna presenza alle spalle, costringendosi a continuare la parte che aveva scelto.
Jane parve aver completato un calcolo. — Perché no — disse alzando lo sguardo su di lui con un improvviso sorriso privo di ambiguità.
— Adescamento! — Il bisbiglio della signorina Hackman suonò quasi impercettibile come prima e altrettanto sprezzante. — Non ho mai visto niente di più dilettantesco. È come una recita scolastica.
Carr fece scivolare il braccio intorno alla vita di Jane, le prese la mano. S’incamminò con lei lungo la strada, verso le luci più intense. Sentì il rumore dei passi dei tre che li seguivano dappresso.
— Ma è ovvio che si tratta della ragazza! — Il bisbiglio della signorina Hackman era un po’ più forte. — Si è soltanto ossigenata i capelli e sta cercando di farsi passare per una puttana.
Come se temesse che Carr potesse voltarsi, la mano di Jane si strinse spasmodicamente sulla sua.
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