“In effetti, stava cercando di planare, per così dire, accanto a una parte del mio schema di vita, intruso sconosciuto, mentre io dovevo essere la fanciulla dei suoi sogni, o il suo sogno d’amore, potresti dire, che lui aveva destato, pur lasciandomi irretita nello schema della mia vecchia vita, senza che fosse cambiata veramente.
“Ma non riuscì a farlo. Non per molto. Come risultò poi, le cose dovevano cambiare. Per quanto si ostinasse a tentare, non poteva nascondermi che c’era qualcosa di orribilmente importante dietro a ciò che pareva svolgersi in maniera così futile. Percepivo dentro di lui una tensione muta e terribile. Perfino quando la sua voce era più gentile e impersonale, potevo sentire quel fiume d’energia imprigionato, frustrato, vanificato. Alla fine cominciò a filtrare a poco a poco dentro di me. Camminavamo lentamente, e senza nessun motivo il mio cuore accelerava i battiti. Riuscivo a stento a respirare, le orecchie mi fischiavano, e un lieve spasimo di tensione correva su e giù dentro di me. E per tutto il tempo lui continuava a parlare, sempre con estrema calma. Era orribile.
“Forse, se avesse fatto all’amore con me… Anche se questo, naturalmente, avrebbe guastato tutti i suoi piani e, da quel punto di vista, mi avrebbe esposto a pericoli che lui non sentiva di avere il diritto di farmi condividere. Però, forse, se mi avesse parlato con franchezza, se mi avesse detto esattamente come stavano le cose, se mi avesse chiesto di condividere la sua esistenza infelice e ossessionata, sarebbe stato meglio.
“Ma non lo fece. E poi le cose cominciarono ad andare molto peggio.”
Carr le diede un altro drink. — Cosa vuoi dire?
Jane alzò lo sguardo su di lui. Adesso che si era immedesimata nella sua storia, pareva più giovane che mai, e quei capelli così irregolarmente biondi, lo spesso strato di rossetto, e l’abitino nero attillato, apparivano ridicoli, come se si fosse acconciata in quel modo per uno scherzo fra adolescenti.
— Eravamo incastrati, ecco qual era la situazione, e cominciavamo a marcire. Immagino che questo sia il significato della decadenza: non nasce mai dall’azione, ma dall’evitarla. Comunque, tutte quelle cose che mi diceva, che a tutta prima mi avevano deliziata poiché si accordavano con i miei pensieri, adesso cominciavano a terrorizzarmi. Poiché, vedi, io avevo creduto che quei bizzarri pensieri fossero soltanto fisime della mia mente, e che condividendoli con qualcuno me ne sarei sbarazzata. Continuavo ad aspettare che lui mi dicesse quant’erano stupidi e privi di fondamento, ma non lo fece mai. Invece, incominciai ad accorgermi, dal modo in cui parlava, che i miei bizzarri pensieri non erano affatto illusioni, ma la verità definitiva sul mondo vero. Niente aveva significato… un qualche significato. Il russare era in effetti una specie di motore sbuffante e la parola stampata non aveva più significato reale di quanto ne avessero le tracce lasciate dal vento sulla sabbia. L’altra gente non era viva, realmente viva, come lo eri tu, salvo forse poche anime gemelle simili a fantasmi. Si era del tutto soli.
“Capisci: avevo scoperto questo grande segreto malgrado tutti i suoi tentativi di nascondermelo. Anche se non gli rivelai che lo sapevo.
“Adesso quelle passeggiate nel parco avevano cominciato ad avere effetto sul resto della mia vita. Non tanto da cambiarne lo schema, naturalmente, ma sui suoi umori. Per tutto il giorno sprofondavo nella tristezza. Mio padre e mia madre mi parevano a un milione di miglia di distanza, le mie lezioni all’accademia la più insopportabile stupidità del mondo. Non riuscivo più a leggere i libri malgrado non ne avessi mai studiato le parole con tanta cura come in quei giorni. Non capivo nessuna delle cose che dicevo, la sola apparizione d’un edificio o d’una strada potevano spaventarmi, e talvolta, nel bel mezzo dei miei esercizi al pianoforte, toglievo di scatto le mani dalla tastiera come se i tasti mi avessero morso. Anche se, come ho detto, questo non cambiò lo schema della mia vita, e naturalmente nessuno se ne accorse (e come avrebbero potuto farlo le parti di un mondo-macchina?) salvo per Gigolò, il mio gatto.”
Fissò stranamente Carr. — Sì, alcuni animali sono davvero vivi, sai, proprio come certa gente. Forse sono quelle persone a contagiarli. Ti guardano quando sei fuori dallo schema… e allora lo sai.
— Lo so — annuì Carr. — Una volta Gigolò mi ha guardato.
— E non soltanto i gatti — aggiunse Jane.
— Cosa vuoi dire? — le domandò Carr a disagio. Si era ricordato di quando la signorina Hackman aveva ripetutamente accennato alla “bestia”.
— Niente di particolare — rispose Jane. — Gigolò lo sapeva. Talvolta si mostrava spaventato e mi soffiava contro, altre volte invece veniva da me ronfando e si faceva accarezzare nella maniera più affettuosa che si possa immaginare. A volte restava a guardare le finestre e le porte per ore e ore, come se fosse di guardia. Ero smarrita, senza un’anima che cercasse di salvarmi, neppure il mio uomo del parco. Lui, in un certo senso, meno di tutti, poiché penso che si rendesse conto del mutamento che stava avvenendo dentro di me, ma voleva a tutti costi salvare il suo gradevole sogno.
Accettò un altro drink e si rilassò contro lo schienale. — E poi, un giorno di autunno, con le nuvole basse e le foglie cadute che scricchiolavano sotto i nostri piedi, e noi avevamo camminato insieme più a lungo di quanto avessimo fatto prima… in effetti, per una volta tanto mi aveva accompagnato per un po’ fuori del parco, ed io ne ero contenta… insomma, proprio allora capitò che guardassi il lato opposto della strada, e qui mi accorsi d’un giovanotto tutto azzimato che ci fissava. Anche questo mi fece contenta, poiché era la prima volta che qualcuno, per quanto ricordavo, dava l’impressione di guardarci quand’eravamo insieme, e adesso speravo sempre che qualcosa ci piombasse addosso e ci disincagliasse. Richiamai l’attenzione del mio amico sul giovanotto. Si voltò e lo sbirciò attraverso le sue grosse lenti.
“Un attimo dopo mi aveva afferrato saldamente sopra il gomito, spingendomi in avanti quasi a passo di corsa. Non parlò fino a quando non avemmo svoltato l’angolo. Poi disse, con una voce che non gli avevo mai sentito prima: ‘Ci hanno visti. Tornatevene a casa’.
“Accennai a fargli delle domande, ma lui si limitò ad aggiungere: ‘Non parlate. Proseguite in fretta. Non voltatevi a guardare’. Me lo disse con tale veemenza che mi spaventai e gli obbedii.
“Nelle ore che seguirono, la mia paura crebbe. Mi immaginavo ‘loro’ in mille modi orribili… Se soltanto mi avesse detto qualcosa di quella singola parola! Sentivo vagamente di aver violato un’orrenda barriera e provavo un tremendo senso di colpa. Andai a dormire pregando di non rivedere mai più l’ometto dalla pelle scura, e che mi venisse concesso, d’ora in poi, di vivere la mia vecchia, stupida vita come avevo avuto intenzione di viverla.
“Era da un po’ passata mezzanotte quando mi svegliai col cuore che mi balzava in petto, e Gigolò era là, in piedi sul letto, intento a soffiare in direzione della finestra. Accesi di scatto la lampada e alla sua luce vidi, premuto contro il riquadro scuro, il volto sorridente del giovane che quel pomeriggio si era trovato sul lato opposto della strada. Tu lo conosci, Carr. Quello che chiamano Dris. Driscoll Aimes. Allora aveva due mani, e se ne servì per aprire la finestra.”
Carr si sporse istintivamente in avanti.
— Balzai in piedi — proseguì Jane — e corsi nella camera dei miei genitori. Li chiamai perché si svegliassero, li scossi. E allora provai il trauma più orribile della mia vita. Non volevano svegliarsi, non importa quello che facevo. Salvo che per il fatto che respiravano, avrebbero potuto essere morti. Ricordo di aver picchiato il petto di mio padre e di avergli conficcato le unghie nelle braccia.
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