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Fritz Leiber: Scacco al tempo

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Fritz Leiber Scacco al tempo

Scacco al tempo: краткое содержание, описание и аннотация

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Carr Mackay ha un lavoro tranquillo, una fidanzata che lo spinge a far carriera e una vita tutto sommato ben pianificata. Ma ecco che un giorno conosce una strana ragazza, bella e alquanto terrorizzata, e da quel momento la sua vita scivola lungo binari diversi. Scopre di possedere un oscuro potere che il mondo attorno a lui sembra aver perduto, e soprattutto si rende conto che il tempo non è uguale per tutti. O meglio, che non tutti sono obbligati a rispettare la sceneggiatura cosmica imposta silenziosamente al genere umano dall’ordine delle cose. Da quel giorno la vita cambia per Carr Mackay, in modo radicale e spaventoso, poiché fra i pupazzi che tutt’intorno continuano la loro recita si nascondono altri ribelli niente affatto amichevoli…

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— Penso di sì. Un poco, comunque. Come lo sono gli animali. Non aveva paura. Era soltanto sconcertata dapprima. Poi è parso che la ragazzina provasse una strana estasi convulsa. Ma non era qualcosa di suo. Era quella di Fred che si rifletteva in lei. E non era semplicemente un’estasi fisica pervertita che può essere compresa, pur se aborrita, ma una cosa mentale, una cruda perversione della mente, sì. La perversione del potere…

— E la ragazza dell’appartamento. Cosa mi dici di lei?

— Pareva inconsapevole di venir… amata. Amata fisicamente da qualcuno. Ma aveva sul volto un’espressione malignamente estatica, come se stesse sognando una qualche abissale malvagità.

— Uhm… un tipo simpatico!

— Cerca di capire — proseguì lei in fretta. — Il resto di lui era proprio a posto: la più cameratesca sensibilità, gli ideali più nobili. Credo che avesse perfino la donchisciottesca idea di non essere degno di me fino a quando non mi avesse in qualche modo messo in salvo, riportandomi alla mia esistenza sicura.

— Ma è impossibile — replicò Carr fissando Jane scoraggiato. — Una volta che sei uscito dallo schema… — (mentre pronunciava queste parole, sentì nascere dentro di sé la nostalgia di un uomo vivo per un mondo un tempo pieno di significato, adesso privo di significato per sempre) — …come potresti tornare indietro?

— Oh, ma si può fare — ribatté prontamente Jane. — Tu eri rientrato nello schema, consapevole ma parte di esso, dal momento in cui ti ho dato quelle polverine fino a quando sei scappato dalla festa. È si può fare anche senza droghe. Si nasce con un senso del ritmo della vita così come lo vuole la macchina. S’impara a percepirlo. Si fa e si dice automaticamente quello che si suppone tu debba dire. Si può…

Il telefono squillò. Per un attimo rimasero seduti completamente immobili. Carr guardò Jane. Poi allungò lentamente la mano e sollevò il ricevitore dalla forcella. Mentre lo faceva, la familiarità di quel gesto prese possesso di lui, attirandolo di nuovo. Senza che lui se ne rendesse conto, verso lo schema della sua vecchia vita.

— Sei tu Carr?

— Sì.

— Sono Tom.

— Ciao, Tom.

— Senti, hai niente in programma per dopodomani sera?

— Be’… no. — Carr trattenne il fiato per la sorpresa. Soltanto adesso si rendeva conto di aver risposto automaticamente. Stai parlando a una macchina ricordò a se stesso: una macchina per la quale le date e le ragazze e le parole e tutto il resto erano soltanto una funzione meccanica.

— Oh, magnifico. Che ne dici di venire a ballare con noi tre?

— Cosa vuoi dire? — (Ancora una volta, con grande stupore di Carr, le risposte gli uscivano di bocca quasi senza la sua volontà).

— Sai, quell’amica di Midge.

— L’amica di Midge?

— Ma certo che lo sai, te ne ho parlato almeno una mezza dozzina di volte.

— Sì, mi ricordo — disse Carr.

— Insomma, vieni? — (D’un tratto quella voce che gli arrivava attraverso il telefono parve la stessa cosa del fruscio d’un disco, dello scoppiettio d’un motore…). Carr esitò: — Non… non lo so. — (Come avrebbe dovuto rispondere? si chiese).

— Oh per l’amor di Dio! — (ancora una volta lo scoppiettio di un motore).

Carr esitò ancora, dolorosamente. Poi: — Va bene. D’accordo — disse. (Questa era la risposta che sembrava più giusta).

— Non mi sembri molto entusiasta. — (Era stata la risposta giusta!)

— No. Va benissimo. Verrò.

— Magnifico. Verremo a prenderti alle sette.

Perplesso, Carr corrugò la fronte mentre metteva giù il telefono.

— Vedi — gli disse Jane. — Adesso fai parte dello schema, ci sei rientrato in pieno, e le risposte ti sono venute naturali. A proposito, hai preso appuntamento con me.

Carr girò di scatto la testa. — Che cosa?

Jane annuì. — Proprio così. La ragazza di Tom, Midge, è quella Margaret di cui ti ho parlato. Il che fa di me l’amica di Midge. È così che sono venuta a sapere dell’Agenzia Generale di Collocamento, ed è per questo che sono corsa là dentro quando stavo cercando d’ingannare la signorina Hackman. Sarei andata alla scrivania di Tom, soltanto che si è dato il caso che fossi tu quello che non era impegnato con un candidato e così, venendo da te, avrei potuto far credere alla signorina Hackman che ero nello schema. Ma poi è risultato che tu non facevi parte dello schema e mi hai aiutato lo stesso.

Carr la guardò perplesso. Una grande quiete li avvolgeva.

— Vorrei che potessimo rispettare quell’appuntamento che hai preso — disse ancora Jane. — E vorrei che potessimo ritornare alla nostra vita, adesso che il nostro incontro fa parte dello schema.

— Perché non possiamo? — le chiese Carr d’un tratto. Si sporse in avanti e le prese una mano. — Hai detto che è possibile sviluppare un sesto senso per lo schema, vivere secondo lo schema anche se si è consci.

— Ti stai dimenticando gli altri — gli ricordò lei. — Loro conoscono il mio posto nello schema. Spero di no, ma potrebbero aver indovinato il tuo. Ci stanno sorvegliando. Se io tornassi indietro, lo saprebbero subito. E allora mi ucciderebbero, giacché niente li soddisferà mai, fino a quando…

In quell’istante udirono un rumore di passi sulle scale.

Carr fece piombare la stanza nel buio. Jane gli si avvicinò e rimasero stretti l’uno all’altra in silenzio. La lampadina bruciata fuori nel corridoio non era stata sostituita.

I passi si fecero più vicini. Una fioca luce in movimento cominciò a filtrare attraverso le fessure.

È spaventevole trovarsi in una casa abbandonata. Anche se all’esterno vi fosse stata una foresta, essa avrebbe comunque fatto aleggiare la promessa di altre vite che le mura della casa abbandonata tagliavano fuori.

Ma trovarsi in quella casa e sentire un rumore di passi alieni, e sapere che fuori di essa si stendeva una città abbandonata, nella quale uomini e donne potevano essere niente più che statue di cera, in quanto all’aiuto che avrebbero potuto darvi, e sapere che al di là della città abbandonata si stendeva un mondo ugualmente abbandonato, e un universo abbandonato…

I passi si arrestarono fuori della porta. Vi fu un sommesso bussare. Le mani di Carr si strinsero su quelle di Jane. Una pausa. I colpi vennero ripetuti, più forti. Un’altra pausa. Altri colpi, più forti ancora. Una pausa più lunga. Poi un debole raschiare, che durò per qualche secondo. Infine, un breve frusciare.

Quindi i passi e il bagliore luminoso si allontanarono. Lungo il corridoio. Giù per le scale. Silenzio.

Carr e Jane barcollarono. Il loro respiro usciva a rantoli. Carr andò alla finestra. Tirò anche le tende, così da formare una seconda barriera dietro alle tapparelle. Poi accese un fiammifero tenendolo all’interno delle mani chiuse a coppa. Il fiammifero avvampò rosso, poi giallo.

Infilato sotto la porta c’era un foglio di carta piegato in due. Carr lo raccolse. Accese un altro fiammifero. Lessero le poche parole scribacchiate in fretta:

Mio rabbioso Passeggero,

se vi è possibile, incontriamoci domani sera alle sette davanti alla Biblioteca Pubblica. Portate Jane, se sapete dove si trova. Ho fatto una scoperta molto importante.

Il Vostro Folle Autista

13

Da dietro le turrite, nere muraglie dei depositi, dei montacarichi, dei ponti e delle gru che s’innalzavano verso occidente, il sole calante proiettava giganteschi spruzzi d’un rosso cupo infuocato che inondavano l’immensità del cielo sopra il fiume Chicago. Bordava di sangue le immani spalle dei grattacieli che si affollavano intorno al ponte della Michigan Avenue come una mandria di grigi mammuth in sosta accanto al fiume per la notte. Sfavillava sulle finestre simili a occhi multisfaccettati che guardavano a ovest ma lasciavano nel buio quelle rivolte a oriente: le piccole, malignamente intelligenti finestre-occhi che esprimevano i duri pensieri alieni guizzanti nei labirinti di tutte le grandi città sin dai tempi di Ur, Alessandria e Roma. Gli sprazzi trasformavano le piastrelle bianche della Wrigley Tower in un delicato rosa salmone e le finiture dorate del palazzo della Carbon and Carbide in un rame rosato.

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