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Fritz Leiber: Scacco al tempo

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Fritz Leiber Scacco al tempo

Scacco al tempo: краткое содержание, описание и аннотация

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Carr Mackay ha un lavoro tranquillo, una fidanzata che lo spinge a far carriera e una vita tutto sommato ben pianificata. Ma ecco che un giorno conosce una strana ragazza, bella e alquanto terrorizzata, e da quel momento la sua vita scivola lungo binari diversi. Scopre di possedere un oscuro potere che il mondo attorno a lui sembra aver perduto, e soprattutto si rende conto che il tempo non è uguale per tutti. O meglio, che non tutti sono obbligati a rispettare la sceneggiatura cosmica imposta silenziosamente al genere umano dall’ordine delle cose. Da quel giorno la vita cambia per Carr Mackay, in modo radicale e spaventoso, poiché fra i pupazzi che tutt’intorno continuano la loro recita si nascondono altri ribelli niente affatto amichevoli…

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“Fui certa, allora, di ciò che avevo semiintuito da qualche tempo: la maggior parte della gente non era realmente viva, ma erano soltanto macchine più piccole in una macchina più grande. Non potevano capirti. Non potevano aiutarti. Se lo schema aveva previsto che dormissero, dormivano, e non potevi farci niente.

“Talvolta penso che perfino senza il ringhio di avvertimento di Gigolò e il rumore dei passi che si affrettavano attraverso il bagno mi sarei precipitata di corsa fuori dall’appartamento piuttosto che rimanere un momento di più con quei due cadaveri viventi che mi avevano messo al mondo.”

La sua voce si stava facendo via via più acuta.

— Sfrecciai giù per le scale, fuori della porta d’ingresso, finendo tra le braccia di altre due persone che mi stavano aspettando laggiù. Tu li conosci, Carr: la signorina Hackman e il signor Wilson. Ma c’era qualcosa con cui non avevano fatto i conti. Gigolò era corso giù per le scale con me e con un furibondo miagolio schizzò fra le mie gambe balzando loro addosso, dando quasi l’impressione di volare nel buio! Questo deve averli scossi parecchio, poiché balzarono indietro e io riuscii a sfrecciare tra loro e a fuggir via lungo la strada. Feci parecchi isolati di corsa, svoltando angoli e tagliando attraverso i prati prima che osassi fermarmi. In effetti mi fermai soltanto perché non ce la facevo più a correre. Ma bastò. Li avevo seminati.

“Ma cosa dovevo fare? Ero là, in mezzo alla strada, con soltanto la camicia da notte addosso. Faceva freddo. Le finestre occhieggiavano intorno a me. I lampioni sussurravano. Le ombre sembravano accarezzarmi vogliose. E c’era sempre qualcuno che attraversava la strada girando un angolo a due isolati di distanza… Pensai alla mia amica più intima, una ragazza che comunque era più vicina a me delle altre, che si chiamava Margaret e studiava all’accademia. Qualche volta ero uscita con lei e con il suo ragazzo. Margaret mi avrebbe accolto, mi dissi, e certamente Margaret sarebbe stata viva.

“Viveva in un edificio bifamiliare a pochi isolati soltanto dal nostro appartamento. Tenendomi lontana quanto più potevo dalla luce dei lampioni, mi affrettai a raggiungere il suo indirizzo.

“La finestra della sua camera da letto era aperta. Gettai alcuni ciottoli contro di essa, ma non successe nulla. Non mi piaceva suonare il campanello nel cuore della notte. Alla fine, arrampicandomi sulla veranda, riuscii a passare da questa alla sua finestra e a calarmi dentro la stanza. Margaret era addormentata.

“Fino a quel momento avevo cercato di convincermi che mio padre e mia madre erano stati drogati, come parte di un piano per rapirmi. Ma qui la speranza finì giacché, vedi, non mi riuscì di svegliare Margaret più di quanto non mi fosse riuscito con i miei genitori.

“Prelevai alcuni suoi indumenti e con essi mi rivestii, tornai ad arrampicarmi fuori della finestra e girai per le strade fino all’alba.

“Quando spuntò il sole feci ritorno a casa, ma usando ogni cautela, guardandomi intorno, e questa fu una fortuna poiché, seduto in un’auto parcheggiata a non più di mezzo isolato dalla nostra porta, c’era il signor Wilson. Andai allora all’accademia, e qui vidi la signorina Hackman in cima alla scala. Andai al parco e lì, dove il mio ometto dalla pelle scura era solito aspettarmi, c’era Dris.

“È tutto. Da allora sono vissuta come sai.”

Jane si afflosciò sul letto, respirando affannosamente e continuando ad aggrovigliare le dita.

— Ma io non lo so — obbiettò Carr.

— Sai abbastanza. Ho rubato per mangiare. Ho rubato altre cose. Vuoi che ti descriva i miei taccheggi nei negozi? Taccheggi per necessità. Taccheggi per divertimento. E taccheggi giusto per evitare d’impazzire. Ho rubato anche nei posti dove vado a dormire. Ricordi quella casa con le finestre sbarrate dalle assi dove ti ho condotto la prima notte? A volte ho dormito là. Mi sono fatta una specie di appartamento al secondo piano. E poi ho un secondo edificio più a sud, qualcosa di simile a un vecchio castello progettato da qualche milionario pazzo, con torrette di cemento e giardini sprofondati tra le erbacce, e iscrizioni teosofiche e ornamenti in ferro battuto d’ispirazione mistica, il tutto abbandonato a metà costruzione e recintato con fil di ferro arrugginito. E a volte ho dormito tra gli scaffali della biblioteca o in altri posti del genere. Ridotta a un paria, a una derelitta nella macchina della vita. Oh, Carr, non riesci a immaginare… sì, forse adesso puoi… quanto mi sentissi terribilmente sola.

Carr annuì. — Tuttavia c’era almeno una persona — disse lentamente. — L’ometto dalla pelle scura.

— Sì. C’era Fred. Capitò che c’incontrassimo di nuovo.

Suppongo che abbiate vissuto insieme — le chiese Carr con voce sommessa.

Lei lo guardò. — No. Non l’abbiamo fatto. Mi aiutava a trovare i posti dove vivere e c’incontravamo qua e là. Mi ha insegnato a giocare a scacchi, abbiamo giocato per ore e ore. Ma non ho mai vissuto con lui.

Carr esitò. — Ma certamente deve aver cercato di far l’amore con te — insisté. — So quello che mi hai detto di lui, ma dopo che tu sei fuggita di casa eravate voi due soli, insieme come paria, derelitti…

Jane guardò il pavimento. — Hai ragione — ammise a disagio. — Ha cercato di fare all’amore con me.

— E tu l’hai contraccambiato?

— No.

— Non arrabbiarti, Jane, ma viste le circostanze la cosa mi sembra strana. Dopotutto, potevate avervi soltanto fra voi due.

Lei se ne uscì in una risata infelice.

— Oh l’avrei anche contraccambiato — replicò — salvo per una cosa… qualcosa che ho scoperto su di lui. Non mi piace parlarne ma suppongo che sia meglio. Poche settimane dopo che ero fuggita di casa, c’incontrammo di nuovo. Adesso conoscevamo entrambi la nostra posizione e c’eravamo dati appuntamento in un altro parco. Arrivai senza che lui si accorgesse di me, e lo trovai che stringeva fra le braccia una ragazzina. Lei non pareva conscia della sua presenza. Se ne stava là, in piedi, rossa in viso per il gran correre, gli occhi sfavillanti rivolti ai suoi compagni di gioco, sul punto di precipitarsi a raggiungerli, e lui era seduto sulla panchina dietro di lei, e le teneva le braccia strette intorno, accarezzandola teneramente, ma con un’espressione negli occhi come se non fosse altro che un pezzo di legno. Legno sacro forse, ma pur sempre legno. — Jane tirò un profondo sospiro. — Un’altra volta l’ho osservato sulla scala esterna d’un appartamento, di notte. C’era una giovane donna accanto a lui, una ragazza vestita in maniera piuttosto appariscente. Avrei dovuto incontrarmi con lui, ma ero arrivata in ritardo. Non mi vide. L’osservai dall’ombra. Aveva una mano sul suo seno. Un attimo dopo lei entrò e lui la seguì. Ma durante tutto quel tempo non aveva mai guardato una sola volta il suo viso, e la sua mano aveva continuato lentamente a muoversi…

“Dopo di ciò non riuscii più a sopportare che mi toccasse. Malgrado la sua gentilezza, la sua cortesia, la comprensione, c’era una parte di lui che voleva approfittare della macchina della vita per la sua privata, gelida soddisfazione, approfittare di quegli sventurati meccanismi morti soltanto perché lui era consapevole e loro no, approfittarsi nella medesima maniera in cui gli ‘altri’ se ne approfittano. L’hai visto nei loro occhi Carr, in quelli della signorina Hackman, di Dris, del signor Wilson, quel desiderio di degradare, di giocare agli dèi (ai diavoli, piuttosto) con le povere marionette della terra. Be’, c’era una piccola parte di Fred che era come loro. — Esitò. — Perfino allora avrei potuto cedere, se non mi avesse avvicinato in maniera così colpevole.”

— Aspetta. Quella bambina nel parco… era consapevole di lui?

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