Fritz Leiber - Scacco al tempo

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Scacco al tempo: краткое содержание, описание и аннотация

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Carr Mackay ha un lavoro tranquillo, una fidanzata che lo spinge a far carriera e una vita tutto sommato ben pianificata. Ma ecco che un giorno conosce una strana ragazza, bella e alquanto terrorizzata, e da quel momento la sua vita scivola lungo binari diversi. Scopre di possedere un oscuro potere che il mondo attorno a lui sembra aver perduto, e soprattutto si rende conto che il tempo non è uguale per tutti. O meglio, che non tutti sono obbligati a rispettare la sceneggiatura cosmica imposta silenziosamente al genere umano dall’ordine delle cose. Da quel giorno la vita cambia per Carr Mackay, in modo radicale e spaventoso, poiché fra i pupazzi che tutt’intorno continuano la loro recita si nascondono altri ribelli niente affatto amichevoli…

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— Guardate cos’ha mandato Hugo! — gli gridò. — Non può venire. Trattenuto al consolato. — Agitò l’orchidea in direzione di Marcia e della ragazza inglese. Mie care, avete un aspetto splendido. Venite con me. — Porse la scatola di cellophane al fattorino. — Nessuna risposta, grazie. — Poi, in fretta, rivolta a Carr e all’altro uomo con una smorfia gioviale: — Mona vi farà strada — e riattraversando la porta rivelò una cameriera negra dal volto aguzzo che fino a un attimo prima aveva eclissato con la sua mole.

Entrando, Carr constatò che effettivamente l’appartamento dei Pendleton aveva la disposizione d’un transatlantico. Stanze che si aprivano su entrambi i lati di due corridoi centrali paralleli. La grande veranda in ombra, con le porte scure visibili al di là delle coppie danzanti, avrebbe potuto rappresentare il ponte. Poi veniva l’immenso soggiorno, ovvero il salone principale. E poi ancora un piccolo studio dall’aspetto arcigno con grandi ritratti scuri alle pareti: la cabina del capitano. Poi ancora una biblioteca: il secondo salone. E per finire i lussuosi locali per le cerimonie. La sala da pranzo e la cambusa si trovavano presumibilmente a poppa.

La cameriera, un indigena delle Indie Occidentali, mostrò a Carr un letto stracolmo di cappotti e di cappelli ai quali lui aggiunse i propri. Tornato in corridoio vide Marcia indaffarata a parlare con un ometto che indossava una camicia bianca floscia sotto lo smoking. Carr si arrestò di colpo, avvertendo un gelo inquietante che saliva dentro di lui.

L’ometto aveva assunto una posizione estremamente rilassata, con le braccia penzoloni mentre i suoi lineamenti sottili erano stanchi e afflosciati. Ma quell’aspetto era ingannevole. Aveva un tic. Tutte le volte che i muscoli della sua guancia entravano in convulsione, i suoi occhi cerchiati di scuro lanciavano un’occhiata critica, penetrante, e le sue dita si arricciavano. Era come se fosse in agguato dietro una tenda che lievi sbuffi di vento continuavano a scostare.

Marcia sollevò le sopracciglia in direzione di Carr. Lui le si avvicinò rassegnato, sapendo che quello doveva essere Keaton Fisher.

Ma la presentazione non era ancora conclusa — gli occhi cerchiati avevano appena cominciato a raggelare Carr, le dita flaccide non avevano ancora completato una stretta di mano che assomigliava più che altro al tentativo di contare i battiti del polso da parte di un medico (e d’un tratto il tic rese spasmodica la stretta) — quando Kathy Pendleton, che stava applicando con uno spillone l’orchidea verde a una testarossa che era sul punto di protestare, li interruppe: — Oh, signor Fisher, ho promesso di presentarvi ai Wenzel. Voi ci scuserete certamente…

Marcia a sua volta sfiorò il braccio di Carr: — A più tardi. — E si allontanò a rapidi passi.

Rimasto solo e momentaneamente sollevato, Carr si servì un cocktail, e si lasciò andare alla deriva fino alla biblioteca, dove erano in corso un certo numero di animate discussioni. Carr riconobbe parecchie persone, ma esitò a decidere a quale gruppo unirsi, e le conversazioni procedevano talmente in fretta che le sue intelligenti osservazioni arrivavano sempre in ritardo. Si sentiva come una ragazza impacciata che stesse raccogliendo il coraggio per il momento in cui avrebbe dovuto cominciare a saltare la corda.

La sua inquietudine stava raggiungendo rapidamente un apice in cui avrebbe potuto sbottar fuori con un qualunque tipo di osservazione soltanto per farsi notare, quando Marcia arrivò e gli annunciò che voleva ballare.

Non appena Carr le ebbe messo un braccio intorno alla vita, si rese conto che lei era l’unica persona con la quale poteva parlare.

Gli altri suoi impulsi erano stati soltanto un camuffamento. Perché mai, dal momento che qualcosa di fantasticamente strano e terrificante gli era accaduto, doveva sprecar tempo e pensieri con quel branco d’individui chiassosi? D’un tratto gli venne in mente che la cosa più naturale sarebbe stata parlare a Marcia dei suoi misteriosi attacchi di amnesia. Cos’era mai l’amore se non veniva condiviso? Quando passarono davanti alle raggianti facce brune dei musicisti era pronto a dirle tutto.

— È bene che Kathy si sia intromessa — gli bisbigliò rapidamente Marcia a bassa voce. — Quello non era il momento giusto per la tua conversazione con Keaton. Ho parlato con lui e ho organizzato tutto.

Carr annuì. — Marcia… — cominciò a dire con difficoltà.

— Adesso ascoltami attentamente, Carr — l’interruppe Marcia. — Tra circa dieci minuti Keaton lascerà la biblioteca e andrà nello studio. Farò in modo che sia solo. Non perderlo di vista e assicurati di non essere impegnato con qualcuno. Qualche istante dopo, seguilo.

— D’accordo — disse — Ma prima Marcia, c’è qualcosa…

La musica terminò con un ghirigoro sui toni acuti. Marcia gli diede una piccola spinta. — Adesso corri a tener d’occhio Keaton — gli disse. — Oh ciao, Guy… — e l’attimo successivo gli aveva girato la schiena e stava parlando con lo stempiato e allampanato signor Pendleton.

Avvilito, Carr tornò in biblioteca. Di passaggio, si prese un altro cocktail. Le discussioni stavano ancora marciando a pieno ritmo. Adesso Keaton Fisher dominava una di queste, sincronizzando le sue argomentazioni con il tic.

Carr vagò da un gruppo all’altro, sempre tenendosene ai bordi, sorridendo e approvando con un cenno del capo alcune delle osservazioni che venivano fatte, ma in apparenza solo quel tanto che bastava per farsi accettare senza essere veramente notato. Tutti parevano aver concluso che lui era un tipo solitario che voleva soltanto andarsene in giro centellinando un drink. Divenne conscio di un muro sempre più alto fra lui e gli altri. Un muro di vetro, forse, poiché gli pareva di non poter più sentire tanto bene ciò che veniva detto: ne sentiva solo il ronzio.

Proprio allora notò Keaton Fisher che si eclissava nel corridoio. Come per magia la sua ansia scomparve e sentì tornargli il controllo di sé. Proprio come poco prima si era sentito colmare di sollievo all’allontanarsi di Keaton Fisher, adesso si sentiva pazzo di gioia alla prospettiva di tornare da lui: qualunque cosa, purché gli venisse data la possibilità di fare qualcosa di preciso.

Per un attimo deviò verso il tavolo dei cocktail, ma si controllò e andò diritto verso lo studio, dove sostò fuori della porta. Keaton Fisher era dentro e non c’era nessuno con lui. Aveva in mano una rivista e ne stava studiando il sommario. Era rivolto verso un punto un po’ discosto da quello dove si trovava Carr. Era immobile, se si eccettua il tic. A Carr venne in mente un infantile gioco di parole: Keaton Fisher aveva un tic. Perciò Keaton Fisher ticchettava. Come un orologio.

Cupi ritratti di uomini barbuti vestiti in foggia ottocentesca guardavano Keaton dall’alto. Uomini mascherati come lui che astutamente guardavano ai profitti attraverso i fori degli occhi dei loro volti. Carr provò un improvviso rigurgito di ansietà.

Fissando immobile sempre la stessa pagina della rivista, Keaton Fisher continuava a ticchettare.

Immobile, eppure, tutt’a un tratto Carr parve che raddoppiasse d’altezza, che diventasse una figura terrificante nella quale era concentrata la quintessenza di tutte le qualità più sfrontate e predatorie del mondo chiassoso intorno a loro: il mondo delle truffe e degli imbrogli, degli abusi e delle uccisioni, di annunci pubblicitari e titoli a caratteri di scatola, soperchierie e violenza, il mondo dei robot d’affari superintelligenti, dei moderni uomini-macchina superefficienti.

Keaton Fisher continuò a ticchettare.

Per il momento ogni altra cosa fu spazzata via dalla mente di Carr, salvo per la questione se dovesse o no entrare in quella stanza. Sapeva di trovarsi davanti a una decisione che avrebbe influenzato tutta la sua vita futura. Sapeva che, come capita troppo spesso con simili decisioni, non era lui in realtà a prenderla: essa veniva presa per lui da forze molto più potenti di qualunque altra cosa la sua consapevolezza potesse evocare, ma che tuttavia veniva presa.

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