Quando si svegliò, Carr si trovò a constatare di non essersi mai sentito più deliziosamente sobrio durante tutta la sua vita, pur concedendo che la realtà avrebbe potuto cambiare un po’ se avesse fatto un movimento improvviso. Dal punto in cui si trovava poteva vedere Jane allo specchio. Si era buttata addosso una vestaglia e stava preparando un cocktail per loro. Un rubinetto gorgogliò per un attimo. Poi lei tornò indietro e lui si girò, sollevandosi su un gomito.
— Ecco — gli disse lei, porgendogli un bicchiere.
Carr rise. — Non sono sicuro dell’effetto che avrà su di me. La mia mente è in una situazione delicata.
— Solo un pochino — lo sollecitò lei. — Alla nostra salute.
— Alla nostra salute. — Fecero tintinnare i bicchieri. Seguendo l’esempio di Jane, lui vuotò il suo. Jane si sedette sul letto e lo guardò.
— Ciao tesoro — le disse lui.
— Ciao.
— Ti senti bene?
— Meravigliosamente.
— Non c’è niente che ti preoccupa?
— Certamente no. Cosa te lo fa chiedere?
— Non so. Mi sembri triste, in un certo senso.
Lei sorrise dolcemente. — Non è forse giusto che l’amore ti rattristi?
— Suppongo di sì, in un certo senso.
— Ti rende triste perché quando hai amato sei vuoto e la tua guardia è abbassata. E sei un po’ spaventato perché proprio là, davanti a te, c’è colui che ami, così tenero e così facilmente vulnerabile… perché anche la sua guardia è abbassata.
— Ma poi la gioia dovrebbe seguire alla tristezza, prima ancora di aver la possibilità di ricominciare. — Le toccò il braccio, le tirò con delicatezza la vestaglia, ma lei continuò a sorridergli e dopo un po’ lui tolse la mano.
— Sei sicura di non essere preoccupata di niente? — le chiese lui.
— Oh tesoro — e parve a Carr che le lacrime le affiorassero negli occhi facendoli luccicare — questa è la notte più felice della mia vita. Qualunque cosa accada, voglio che tu sappia che ti amo… ti amo nel modo più completo e assoluto.
Lui si sollevò a metà. — Non succederà niente.
— Certo che no. Ma volevo che tu lo sapessi.
— Oh sicuro. — Si sollevò ancora di più così da guardarla. — Ma adesso che hai parlato di ciò che ci accadrà, io… noi…
La sua voce ebbe un tremito, incerta. Gli parve che una nebbia scura avesse invaso la stanza. Si sfregò gli occhi. Quando scostò la mano, la stanza ondeggiava.
— Non sapevo di essere così ubriaco — mormorò. — Non avrei mai creduto che un solo bicchierino in più…
Gettò una rapida occhiata a Jane. Non si era mossa. Pareva ancora sorridere, con molta tenerezza, quasi con pietà. Girò la testa, stranamente pesante, verso il comodino accanto al letto. Con uno sforzo mise a fuoco la confusa chiazza marrone. La superficie del comodino era vuota.
— Le polverine! — disse ed ebbe difficoltà ad articolare le parole. — Le hai sciolte nel mio bicchiere?
Lei non rispose.
— Maledizione a te — farfugliò spingendosi verso l’immagine indistinta di lei. — Devi…
Sentì le mani di Jane sulle spalle che lo spingevano indietro.
— Starai bene. Hai soltanto bisogno di un po’ di sonno. — La sua voce pareva provenire dal soffitto. Cercò di lottare contro di lei, ma non riuscì neppure a sollevare le mani. L’oscurità stava guadagnando rapidamente terreno.
— No, non starò bene — protestò. — Jane… per favore…
— Soltanto un po’ di riposo.
— Non mi dimenticherò di te — gracidò infelice. — Non mi dimen… non…
Jane si era chinata su di lui. Per qualche istante la sua visione si schiarì e scorse il suo volto rigato di lacrime, e il suo collo bianco, la vestaglia aperta e il suo seno. Poi l’oscurità si strinse intorno a lei e si chiuse come il diaframma di una macchina fotografica.
Carr Mackay sfregò il viso sul cuscino, rotolò sull’altro lato, socchiuse appena gli occhi e fissò con una smorfia la stretta striscia luminosa che filtrava da sotto le tapparelle.
Aspettò con impazienza che la sveglia smettesse di suonare. Quando finalmente l’ultimo trillo si esaurì, la sua mente tornò a tuffarsi avida dentro il corpo e si smarrì in innumerevoli vaghe consapevolezze di peso e di tensione muscolare: piccoli piaceri dolorosi.
Poi, quando gli parve che inesorabilmente sarebbe ripiombato nel sonno, balzò fuori impetuosamente dal letto, infilò i piedi nelle pantofole, andò alla finestra, sollevò le tapparelle e guardò in strada, annusò l’aria con un raschiamento di catarro in gola e andò nel bagno.
Un ampio asciugamano, intriso d’acqua il più possibile bollente, strizzato e premuto contro il mento e le guance, suscitò in lui il primo sorriso del mattino; anche la schiuma da barba ebbe un piacevole effetto. Se la distribuì pensoso sul viso, cercando di ottenere uno strato spesso e uniforme come di crema su di una torta di meringhe.
Quand’ebbe completato quel lavoro con sua soddisfazione, prese il rasoio di sicurezza, lo sbirciò per assicurarsi che fosse pulito, avvitò il manico fin quando la lametta non ebbe la giusta tensione e si guardò allo specchio. Le sue narici si contrassero con amichevole disgusto.
— Sei uno sciocco Carr Mackay — si disse gentilmente mentre si passava il rasoio lungo la mascella. — Trentanove anni e fai l’intervistatore in un’agenzia di collocamento. È la misura delle tue capacità in questo mondo prosaico! — Terminò la guancia con piccole, rapide rifiniture, tenne la lama sotto il rubinetto dell’acqua calda, poi cominciò l’altra guancia. La prima, ampia passata, era anche la più soddisfacente, come spalare la neve. — Oh, ma il tuo lavoro è soltanto un gradino, no? Ne farai di strada a partire da qui. Fra un mese, diciamo, sarai Mackay della Fisher e Mackay, consulenti editoriali, un piccolo pezzo grosso, no? — Stringendo il labbro superiore fra i denti, si cacciò il rasoio sotto il naso e lo mosse con massima cautela verso il basso.
— Ascolta Mackay: a chi credi di darla a bere? Perché non ammettere che te ne districherai alla prima occasione, anche se hai fatto una solenne promessa a Marcia? Tu sai benissimo che odii qualunque nuovo lavoro e che detesti doppiamente un lavoro col quale dovresti incantare il tuo prossimo. E anche se tu dovessi accettarlo per placare Marcia, la conclusione scontata è che finiresti per fare il fattorino del signor Fisher. Per giunta, l’intera faccenda è un’ampia illusione. — Invertendo il rasoio, falciò il labbro inferiore. — Oh, ma arriverà qualcosa di molto diverso, no? Qualche avvenimento totalmente inaspettato che esploderà nel bel mezzo del monotono ciclo della tua vita e ti spalancherà un nuovo mondo di mistero e di delizie. Mackay, amico mio, abbiamo ascoltato quel tuo strano concetto e cominciamo a esserne praticamente stufi. — Aggredì con ferocia il proprio mento. Era l’erba selvatica nel prato della sua barba.
— Mettiamola così: anche senza volerlo hai raggiunto un equilibrio nella vita. È piuttosto difficile che tu possa farti strada ancora più verso l’alto e non vuoi farlo. E non è così facile… ah! Ecco dove sta la paura: la paura di scivolare in basso. — Cominciò con il collo. Poiché non era mai riuscito a stabilire da che parte crescessero i peli in quel punto, si rase con una buona dose d’incertezza.
Mentre tornava a scaldare l’asciugamano si studiò il volto rasato. Strano, malgrado stesse pensando a Marcia, ciò non gli faceva più provare quella sensazione di avidità frustrata come invece gli succedeva di solito di primo mattino. Quella mattina aveva l’impressione d’essere una macchinetta bene oliata sulla cui capacità di funzionare indefinitamente senza cacciarsi in nessun guaio (o in qualunque altra cosa) si poteva fare affidamento. Rassicurante, ma anche deprimente.
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