Fritz Leiber - Scacco al tempo

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Scacco al tempo: краткое содержание, описание и аннотация

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Carr Mackay ha un lavoro tranquillo, una fidanzata che lo spinge a far carriera e una vita tutto sommato ben pianificata. Ma ecco che un giorno conosce una strana ragazza, bella e alquanto terrorizzata, e da quel momento la sua vita scivola lungo binari diversi. Scopre di possedere un oscuro potere che il mondo attorno a lui sembra aver perduto, e soprattutto si rende conto che il tempo non è uguale per tutti. O meglio, che non tutti sono obbligati a rispettare la sceneggiatura cosmica imposta silenziosamente al genere umano dall’ordine delle cose. Da quel giorno la vita cambia per Carr Mackay, in modo radicale e spaventoso, poiché fra i pupazzi che tutt’intorno continuano la loro recita si nascondono altri ribelli niente affatto amichevoli…

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La bionda faceva compiere al pupazzo alcuni movimenti trotterellanti, e il grassone stava dicendo: — Peter scoprì che la bionda viveva proprio accanto a una fabbrica di mobili. Peter non amava affatto le fabbriche di mobili poiché una volta aveva evitato per un soffio di diventare parte d’un tavolo stile Sheraton. Lo stridio delle seghe e il picchiare dei martelli… — Eseguì dei trilli acuti e un ritmico pestare d’incudini — …terrorizzavano Peter. Gli pareva che ogni singolo chiodo venisse conficcato dritto nel suo plesso solare di legno, che la sega ululante stesse tagliando via spietatamente le sue piccole preziose parti di legno!

Jane adesso era in piedi accanto alla bionda. Carr riuscì finalmente ad attirare la sua attenzione. Gli parve di leggere sul volto di lei il suo stesso miscuglio di pietà e di ripugnanza per quell’orda rumorosa e senza cervello cieca davanti alla bellezza.

Le fece cenno di venire giù, ma lei si limitò a sorridere. Lentamente slacciò i bottoni dorati del cappotto e lo lasciò cadere sul pavimento.

— Finalmente, vinto il suo terrore, Peter passò di corsa davanti alla fabbrica di mobili e sfrecciò su per il vialetto fino alla casa della bionda… pink-pink-pink-pink !

Con freddi e meccanici movimenti Jane aveva cominciato a sbottonarsi la camicetta bianca.

Arrossendo, Carr cercò di spingersi in avanti facendo nel contempo cenni disperati. Lei non gli badò per niente. Fece per urlarle qualcosa, ma proprio allora si rese conto d’un fatto stranissimo, e la constatazione lo lasciò senza parole.

La folla non reagiva. Chiacchieravano come prima.

Erano ciechi. Erano senza cervello. Non potevano entrare in contatto con niente che fosse al di fuori del loro ritmo meccanico.

Ma era ridicolo.

E che Jane fosse in realtà una ballerina di strip-tease che lavorava al Goldie’s Casablanca… anche questo era ridicolo. O che dovesse essere talmente ubriaca da…

— Peter seguì la bionda su per le scale… trip-trip-trip… e dentro la sua camera da letto. Sentì la linfa scorrergli come impazzita su per le gambe e dentro il suo piccolo legnoso… pancino.

Jane lasciò cadere la camicetta. Rimase solamente in gonna e sottoveste.

Carr si sollevò, premendo un ginocchio contro il tavolo davanti a lui, ondeggiando, la mano sollevata come un vigile ubriaco addetto al traffico che stesse ordinando al mondo intero di fermarsi.

— Poi, con la gola secca come segatura a causa dell’eccitazione, Peter saltò nel letto con la bionda! — Le mani grassocce corsero su e giù per la tastiera, traendone accordi laceranti. — E la bionda guardò Peter e gli disse: “E adesso, omettino di legno?”.

Jane guardò Carr e abbassò le spalline, lasciando cadere la sottoveste.

Carr deglutì. Le lacrime gli bruciavano gli occhi. Il seno di Jane pareva molto più bello di quanto la carne avrebbe dovuto essere.

Ma anche adesso non vi fu nessuna reazione da parte della folla, ma soltanto il fantasma di essa.

Gli improvvisi silenzi, alle feste, sono cosa comune. Prima, tutti parlano. Poi, d’un tratto, le conversazioni si fermano. Vi guardate intorno scioccamente. Pensate vagamente, a seconda della vostra predisposizione mentale, alla matematica delle coincidenze, o a uno spirito invisibile passato di là in quell’istante, oppure a qualche stimolo chimico o fisico come a esempio un debole odore o uno strano suono percepiti a stento, capaci di aver effetto su chiunque ma troppo tenui per essere registrati con chiarezza dalla coscienza di tutti.

Poi, qualcuno scoppia a ridere, e tutti vi rimettete a parlare come prima.

Un attimo di silenzio di quel tipo era piombato sul Goldie’s Casablanca. Perfino le disinvolte frasi del grassone parvero ammosciarsi e sbiadire, come il disco d’un fonografo giunto alla fine. Le sue mani grassocce rallentarono, rimasero come sospese fra un accordo e l’altro. Mentre i gesti e le espressioni pietrificate della gente seduta ai tavoli indicavano tutti parole cristallizzate sul punto di venir pronunciate. E parve a Carr, mentre fissava Jane, che teste e occhi si voltassero verso la piattaforma, ma con estrema lentezza e difficoltà, come se tutta quella gente stesse sognando e si fosse svegliata soltanto a metà dai suoi sogni, oppure come se, morti, provassero un fievole, quasi doloroso incresparsi di vita. Parevano vedere e allo stesso tempo non vedere il seno nudo di Jane, cominciando a dimenticarsene nello stesso istante in cui ne erano diventati consapevoli.

E malgrado sapesse che era ridicolo e che la sua mente era annebbiata dall’alcol, Carr sentì che Jane si stava mostrando a lui soltanto, e che quel pubblico inebetito era soltanto bestiame che si girava a guardare verso una sorta di richiamo provando un breve e pigro barlume di consapevolezza per riprendere subito dopo il loro ruminare e quell’esistenza interiore priva di parole.

Poi tutt’a un tratto la folla ripiombò nel cicaleccio di prima, il grassone a cinguettare ed esibire gli assalti di un pupazzo follemente innamorato mentre Jane correva fra i tavoli, le braccia strette contro i fianchi per sorreggere la sottoveste, il cappotto e la camicetta penzolanti da una mano. Mentre gli si avvicinava, parve a Carr che ogni altra cosa si fondesse in lei, diventando indefinita e non importante.

Non appena ebbe spremuto il corpo per superare la barriera dell’ultimo tavolo, Carr le afferrò la mano. Non dissero niente. Se ne occuparono i loro occhi. Carr l’aiutò ad infilarsi il cappotto. Mentre correvano su per la scala e uscivano dalla porta a vetri, sentirono spegnersi in distanza la recita del grassone, come lo sbuffare d’un motore nero e unto. — E cosa credete che la piccola Alice abbia trovato, quando è salita nella stanza dei bambini? Il suo pupazzo Peter e la bambola francese Riccioli d’Oro in una posizione molto, molto compromettente, oh, sì, molto…

L’appartamento di Carr distava cinque isolati. Le strade erano vuote. Una gelida brezza proveniente dal lago aveva soffiato via il fumo dal cielo e le stelle luccicavano fino in fondo alle trincee formate dagli edifici. L’oscurità che si appiccicava alle pareti di mattoni e assediava i lampioni parve a Carr un composto di eccitazione, di terrore e di desiderio, in un miscuglio che sfidava ogni analisi. Lui e Jane proseguirono di corsa, tenendosi per mano. L’atrio era buio. Carr entrò senza far rumore e salirono le scale in punta di piedi. Giunti nella sua stanza, abbassò le tapparelle e accese la luce. Una Jane offuscata era in piedi accanto alla porta, intenta a togliersi il soprabito. Per un attimo Carr ebbe paura di aver bevuto troppo. Si affrettò verso di lei. Poi Jane gli sorrise, la sua immagine si schiarì e lui capì di non essere troppo ubriaco. Si mise quasi a piangere quando le strinse le braccia al collo.

Com’era strana la cosa. Ciò che lei aveva fatto al Goldie’s Casablanca non era stato esibirsi, ma nascondersi da loro. Aveva assunto una colorazione protettiva. Carr si sentiva sicuro che Jane si era rivelata veramente a lui e a lui soltanto. Ed era questa rivelazione che adesso lo stuzzicava, lo provocava.

Sì era tolta il soprabito e la camicetta. D’un tratto, quasi con innocenza, anche la sottoveste, ultima barriera fra loro, cadde. Quella era la vera Jane. La Jane tentatrice. Deliziosa, rosa con le sue piccole mammelle dai grossi capezzoli, le grandi areole, e avorio nell’area rasata del suo triangolo di Venere. Assaporò prima con le mani quella palpitante carne curvilinea, poi con le labbra avide. Man mano che il desiderio sprizzava caldo dentro di lui, in risposta cresceva anche in lei. Jane gli cedette completamente una liscia porzione di lei dopo l’altra (davvero così liscia!), eppure non fu soltanto un cedere ma anche un prendere. Abbeverandosi a lui come lui si abbeverava a lei. Dapprima con lentezza, sensualmente. Poi con velocità sempre crescente, fino a quando il loro fu il rapido e bruciante palpito dell’apice amoroso, culminante in un’estasi cocente al di là di qualunque cosa avessero entrambi provato finora… per poi diminuire, diminuire proprio come l’onda crestata di schiuma s’infrange e diminuisce, soltanto per rinnovarsi e levarsi in un nuovo picco di beatitudine.

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