— Annie non aveva i sogni di Lincoln — dissi con voce calma, argomentativa, tenendo d’occhio la linea sullo schermo. — Erano i sogni di Lee.
— Nel 1901 misero di nuovo Lincoln nella tomba. In tutto lo spostarono quattro volte, senza contare il treno del funerale. — Lo schermo si riempì di picchi pericolosi. — E se quei pazzi di Sognilandia avessero ragione e tutto quel movimento davvero l’ha svegliato?
— Non erano i sogni di Lincoln — ripetei — erano i sogni di Lee.
— Può darsi — disse lui, sedendosi con un movimento che mandò i picchi fuori dallo schermo. — Vorrei che mi portassi dei libri.
Chiese libri per tutti e tre i giorni seguenti e alla fine della settimana metà della sua libreria stava nella stanza d’ospedale. — Ho ricostruito tutto — mi annunciò. Era ormai in grado di sedersi senza sconvolgere l’ECG. — Erano i sogni di Lincoln.
Aveva ricostruito tutto, in effetti. Mi spiegò che era stato Lincoln a sognare, non Lee, e i loro sogni in un certo modo si rassomigliavano. Entrambi avevano certo sognato Gettysburg e Appomattox. Lincoln aveva saputo dell’Ordine Speciale 191 prima ancora di Lee, e il gatto non doveva per forza essere Tom Tita. Avrebbe potuto essere uno dei gattini di Lincoln. Lincoln amava i gattini. Aveva ricostruito tutto.
— E anche se fossero stati i sogni di Lincoln, cosa cambierebbe? — esclamai quando non ce la feci più. — Che cosa proverebbe?
— Lincoln tentò di salvare il pony di Willie dalle stalle incendiate. Ecco che cos’è in realtà la casa in fiamme, non Chancellorsville.
— Non erano i sogni di Lincoln, dannazione — gridai. — Erano i sogni di Lee.
— Lo so — fece lui piano, e la linea del’ECG sopra la sua testa uscì dallo schermo. — Lo so che non erano i sogni di Lincoln.
— E allora perché hai fatto tutto questo?
— Perché allora lei sarebbe stata a posto. Se fossero stati avvertimenti mandati da Lincoln, avrebbero preso la forma di barche, e non di frutteti di mele. Ho pensato che se fossi riuscito a dimostrare che erano i sogni di Lincoln, avrei anche dimostrato che lei ora sta bene.
— Non bisogna farlo agitare — disse il dottore di Broun, trascinadomi di nuovo fuori dalla stanza e dentro uno studio vuoto. L’ECO aveva gettato l’allarme nella postazione delle infermiere e tutti si erano messi a correre.
— Lo so — dissi.
— Tu comunque non hai un aspetto migliore del suo — aggiunse. — Come dormi?
— Non dormo — risposi. Quando dormivo sognavo di Annie. Era sotto al porticato di Arlington, con le braccia attorno al mio collo, e piangeva, e io ripetevo — Non voglio che tu vada via.
— Vuoi che ti prescriva qualcosa per dormire?
— Sì, magari del Thorazine?
Non capì lo scherzo. Tirò fuori il blocchetto delle prescrizioni. — Chi è il tuo medico abituale?
— Non ce l’ho. Vuoi dire il mio medico di famiglia? È nel Connecticut.
— Non mi piace scrivere medicinali senza vedere la cartella del paziente. — Scrisse in fretta qualcosa. — Per ora ti darò qualcosa di leggero e poi aspetterò di vedere la tua cartella prima di passare ad altro. Hai qualche disturbo cronico, come diabete o soffio cardiaco?
— No. — Gli diedi il nome del mio medico. — Quanto ci vorrà perché arrivi la cartella?
— Dipende. Se è sul computer solo pochi giorni. Altrimenti, anche alcune settimane. Perché? Non riesci a dormire proprio per nulla?
— No — dissi, e misi in tasca la ricetta senza guardarla. Ma Annie aveva avuto seri problemi a dormire. Tanto seri che Richard le aveva dato immediatamente l’Elavil. Non aveva fatto nessun ECG. Mi aveva detto in quel messaggio sulla segreteria che l’ECG era appena arrivato dal laboratorio, ma gli elettrocardiogrammi non sono esami da laboratorio. Il medico di Broun li leggeva immediatamente, appena fuori dalla macchina. Aveva detto che gli esami di Annie mostravano un soffio cardiaco funzionale, ma come aveva potuto vederli, se ci voleva quasi un mese perché arrivassero? Annie aveva detto che lui le aveva prescritto l’Elavil immediatamente. Richard non aveva fatto nessun ECG e non aveva aspettato la cartella clinica dal medico di famiglia. L’Elavil aveva fatto peggiorare i sogni, ma lui non l’aveva sospeso a quel punto. L’aveva sospeso quando era arrivata la cartella, quando aveva visto che lei soffriva di disturbi cardiaci e che lui aveva fatto un errore a farle prendere l’Elavil immediatamente.
Era stato preso dal panico e mi aveva chiamato, ma io non ero a casa. Ero nel West Virginia. Che sarebbe successo se io invece ci fossi stato? Mi avrebbe detto la verità, che era stato così impaziente e preoccupato che aveva fatto uno sbaglio terribile, che quando aveva saputo dei sogni e ciò che stavano facendo ad Annie tutto ciò a cui era riuscito a pensare era stato fermarli, e come diavolo avrebbe potuto attendere la cartella clinica quando ci poteva mettere anche un mese ad arrivare? Oppure avrebbe usato la sua voce da Buon Psichiatra anche con me, anche in quel momento?
Perché le aveva somministrato il Thorazine? Per tentare di fermare i sogni? Il Thorazine avrebbe potuto fermare un treno, e non era controindicato. (Nota: sono stati riferiti casi di morte improvvisa apparentemente dovuta ad arresto cardiaco, ma non ci sono prove sufficienti per stabilire collegamenti tra le morti e l’assunzione del medicinale). Oppure glielo aveva somministrato per impedirle di ritornare all’Istituto, dove avrebbe potuto riferire al dottor Stone di aver preso una medicina esplicitamente controindicata per pazienti con disturbi cardiaci? Perché Longstreet non aveva mandato le sue truppe in appoggio a Pickett?
Lee non disse mai nulla, dopo la guerra, che potesse far capire che lui considerava il comportamento di Longstreet a Gettysburg nient’altro che “l’errore di un bravo soldato”. Ma appena dopo la battaglia, quando il colonnello Venable aveva detto amaramente: — Vi ho udito ordinare al generale Longstreet di mandare la divisione di Hood — anche Lee l’aveva biasimato. E io biasimavo Richard. Sto facendo solo il mio dovere di medico. È per il tuo bene.
Presi la mia ricetta dalla tasca e la guardai. Il medico di Broun mi aveva prescritto l’Elavil.
A luglio finalmente Broun lasciò che gli eseguissero il by-pass che finora aveva rifiutato. Ne uscì benissimo, felice perché non gli avevano tagliato la barba mentre era sotto anestesia, ma non mostrò alcun interesse a riprendere il lavoro sul libro di Lincoln.
Mi mandò a Springfield, sostenendo che non poteva andare avanti con il libro finché non avesse saputo dov’era stato sepolto Willie Lincoln. Passai quasi un mese laggiù tentando di scoprirlo, poi tornai e iniziai a controllare tutti i registri dei cimiteri del Dipartimento di Columbia. Avevo usato la ricetta per l’Elavil mentre mi trovavo a Springfield. I sogni erano completamente scomparsi e l’Elavil aveva bloccato il sonno REM come da indicazioni.
Broun ancora non stava lavorando al libro, nonostante il problema della sepoltura di Willie fosse un dettaglio che avrebbe potuto aggiungere in un secondo tempo. Mi fece fare un mucchio di ricerche che poi non guardò nemmeno e in autunno iniziò ad avere di nuovo dolori al petto.
In ottobre insistette perché lo portassi al Lincoln Memorial. — Non credo che sia una buona idea — dissi. — Ci sono molti gradini. E sai che devi andarci piano con i gradini.
Salì le scale disdegnando il mio aiuto ed entrò nel memoriale per guardare la statua di Lincoln. — Lo sai qual è la cosa a cui nessuno ha pensato in tutto quel girovagare per la California? — mi disse guardando Lincoln che sedeva sulla grande poltrona di marmo con le sue orecchie troppo grandi e il naso largo e le gambe troppo lunghe, le mani troppo grandi posate sui braccioli freddi. — Che lui stava mentendo riguardo ai sogni.
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