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Connie Willis: Il sogno di Lincoln

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Connie Willis Il sogno di Lincoln

Il sogno di Lincoln: краткое содержание, описание и аннотация

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Vincitore del John W. Campbell Memorial Award, ambito premio statunitense riservato agli autori più promettenti, (1987) è il primo romanzo importante di Conie Willis, un’autrice che si è poi segnalata con opere di tutto rispetto. Che accadrebbe se una donna dei nostri tempi scoprisse di poter viaggiare nel tempo grazie ai suoi poteri mentali, in particolare a una specie di ponte psichico stabilito con il generale Robert Lee, il grande sconfitto della guerra civile? Da questa premessa parte un romanzo appassionante, una cruda e realistica ricostruzione della guerra civile americana e del suo mondo, ma anche un’avventura ricca di imprevisti: per esempio; che ruolo ha nella vicenda il cavallo di Lee, Traveller? E perché un uomo dei nostri glomi sembra inspiegabilmente identificarsi con lui? Lo scoprirete con Connie Willis.

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Lei scostò i corti capelli dalla fronte e sorrise. — Raccontami dei soldati — disse.

— I soldati, eh? Bene, per la maggior parte si trattava di ragazzi di campagna, senza istruzione. E molto giovani. L’età media dei soldati della Guerra Civile era di ventitré anni.

— Io ho ventitré anni.

— Non credo che ti saresti dovuta preoccupare più di tanto. Non arruolavano le donne nella Guerra Civile — dissi — anche se probabilmente presto ci sarebbero dovuti arrivare, se solo la guerra fosse andata avanti ancora un po’. L’esercito della Confederazione era ridotto a vecchi e ragazzini di tredici anni. Se ti interessano i soldati, ce ne sono centinaia sepolti ad Arlington — dissi. — Vuoi venire con me, laggiù, domani?

Prese in mano un altro vaso di violette e seguì con le dita le nervature pelose delle foglie. — Ad Arlington? — fece.

Richard e io eravamo stati compagni di stanza al Duke per quattro anni, e io non avevo mai nemmeno guardato nessuna delle sue ragazze, e questa sera mi ritrovavo a occuparmi di una di loro. — Arlington è un posto interessante da visitare — dissi, come se non avessi passato gli ultimi tre giorni a vivere di pillole per tenermi sveglio e di caffè, desiderando solo di tornare a casa a dormire fino a primavera. Come se lei non fosse stata la donna del mio vecchio compagno di stanza. — Vi sono un sacco di persone famose sepolte laggiù, e la casa è aperta al pubblico.

— La casa? — disse lei, piegandosi su un’altra delle violette.

— La casa di Robert Lee — spiegai. — Era la sua tenuta prima della guerra. Poi l’Unione la occupò. Seppellirono i soldati dell’Unione nel prato, per essere sicuri che lui non la riprendesse mai più indietro, e lui non la riprese. Nel 1864 la trasformarono in cimitero nazionale. Ho fatto molte ricerche su Robert Lee, ultimamente.

Lei mi stava fissando, e aveva infilato la mano nel vaso delle violette. — Possedeva un gatto? — disse.

Mi girai a guardare verso la porta, pensando che il siamese di Broun fosse entrato per sfuggire ai rumori del ricevimento, ma non ve n’era traccia. — Che cosa? — chiesi, guardando la sua mano.

— Robert Lee possedeva un gatto? Quando viveva ad Arlington?

Ero troppo stanco, ecco tutto. Se solo avessi potuto dormire, invece di cercare Willie Lincoln e parlare con i giornalisti, sarei stato in grado di capire il senso di tutto ciò: io che le chiedevo di uscire con me mentre era la ragazza di Richard, lei che mi chiedeva se Lee avesse un gatto mentre affondava le dita nella terra del vaso come se stesse scavando una tomba.

— Che specie di gatto? — dissi.

Aveva strappato la violetta dalle radici e la stringeva fra le dita. — Non so. Un gatto rosso. Con strisce più scure. Nel sogno era laggiù.

Dissi — Quale sogno? — e la guardai lasciar cadere il vaso vuoto, che si infranse ai suoi piedi.

— Ho continuato a fare questo sogno — rispose. — Sono nella mia casa, in piedi nel porticato, cercando di vedere il gatto. C’è neve, una neve pesante di primavera, e mi viene l’idea che sia rimasto sepolto nella neve, ma poi lo vedo nel frutteto, che avanza fra la neve con piccoli, buffi saltelli.

Non mi rendevo conto di ciò che stava succedendo, ma alla parola “frutteto” mi sedetti sul bracciolo del divano, gettando uno sguardo ansioso alle mie spalle per paura che Richard e Broun stessero arrivando. Ma le scale erano deserte.

— Lo chiamai, ma lui non mi diede retta, così andai a prenderlo. — Teneva le violette come se si trattasse di un mazzo, davanti a lei, e ne lacerava le foglie con movimenti assenti e disperati. — Arrivai agli alberi e tentai di prenderlo in braccio, ma lui mi sfuggì, allora feci per seguirlo e sentii qualche cosa sotto al piede… — Aveva ormai distrutto le foglie e stava iniziando con i fiori. — Era un soldato dell’Unione. Riuscii a vedere il braccio coperto dalla manica azzurra, che spuntava dalla neve. Stringeva ancora il fucile, e c’era un pezzo di carta appuntato sulla manica. Qualcuno l’aveva sepolto nel frutteto, ma non abbastanza profondo, e ora che la neve iniziava a sciogliersi era apparso il braccio. Mi chinai a prendere il foglio di carta, ma quando lo guardai mi accorsi che non c’era scritto nulla. Avevo pensato che potesse essere una sorta di messaggio, e così mi spaventai. Feci un passo indietro, e sotto il mio peso il terreno cedette.

Della violetta non rimaneva nulla se non le radici, coperte di terra, e lei le schiacciò nel pugno. — Era il berretto di un altro soldato. Non gli avevo calpestato la testa, ma potevo vederla, là dove la neve si era sciolta, giacere a faccia in giù. Aveva i capelli gialli, e il fucile era sotto di lui. Il gatto fece un salto in avanti e prese a leccargli il viso, proprio come faceva con me per svegliarmi.

“Chiunque fosse stato a seppellirli, aveva semplicemente gettato poche badilate di terra sui loro corpi, senza spostarli dal luogo dov’erano caduti, e poi la neve li aveva nascosti. Ma ora la neve si stava sciogliendo. Non riuscivo ancora a vederli, solo un piede o una mano qua e là, e non volevo calpestarli, ma ovunque camminassi sentivo i loro corpi sotto di me. E il gatto saltellava su di loro, tranquillamente. — Aveva lasciato cadere ciò che restava della violetta e fissava la porta oltre di me. — Erano sepolti lungo tutto il frutteto e il prato, fino ai gradini della casa.”

Udii qualcuno chiacchierare mentre scendeva le scale e per la prima volta nella serata mi mossi come se fossi perfettamente lucido. Balzai accanto ad Annie e spazzai con le mani il mucchietto di terra e di foglie lacere. Quando Richard entrò, il cappotto sul braccio, eravamo entrambi chini a raccogliere i pezzi di vaso, le teste vicine, e le mie mani erano sporche di terra quanto le sue.

Mi rialzai con in mano la terra e il vaso spezzato. — Avete scoperto che cosa provocava i sogni di Lincoln? — chiesi.

— No. Ti avevo detto che non sarei stato in grado di aiutarlo — rispose Richard. Guardò oltre di me, cercando Annie. — Dobbiamo andare. Prendi il cappotto.

— Lo prendo io — dissi, e mi diressi nell’atrio.

Broun stava scendendo le scale di corsa. — È ancora lì?

Indicai la veranda. Lui si affrettò a entrare e io lo seguii con il cappotto di Annie. — Sono davvero spiacente, dottor Madison — disse. — Quella dannata giornalista di People mi ha bloccato sulle scale. Ciò che intendevo dire…

— Mi ha chiesto un’opinione e io l’ho espressa — fece rigido Richard.

— È vero — disse subito Broun — e di questo la ringrazio. E può darsi che lei abbia ragione, e che Lincoln stesse per avere una crisi psicotica, ma deve ricordare che c’erano già stati parecchi attentati alla sua vita, così mi sembrerebbe normale che lui…

Richard strinse le spalle mentre si infilava il cappotto. — Vuole sentirmi dire che quei sogni erano normali. Bene, non è possibile. Un sogno come quello è chiaramente sintomo di una preoccupante nevrosi.

Guardai Annie. Non si era mossa. Era in piedi al mio fianco, le mani piene di terra e pezzi di vaso, con un’espressione sul viso che mi fece capire come quella frase non fosse nuova per lei.

— Lincoln avrebbe avuto bisogno di un aiuto immediato e adeguato — proseguì Richard — e lei non mi può indurre ad acconsentire a nessun’altra teoria. È mio dovere come medico di aiutare…

— Penso che Lincoln sia al di là di ogni aiuto, perfino per un dottore — disse Broun.

— Dobbiamo andare — fece Richard irritato, abbottonandosi il cappotto.

— Bene, anche se non siamo d’accordo, sono contento che sia venuto — fece Broun, mettendo il braccio attorno alle spalle di Richard. — Mi dispiace solo che non vi possiate fermare a cena. Quelle tartine di gamberetti sono davvero eccezionali. — E guidò Richard verso l’ingresso.

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