— Gli ho dato una di quelle scatolette di panna per il caffè, stamattina — fece lei. — E un pochino di pancetta. Sembrava affamato — aggiunse con tono difensivo.
— Tutti i gatti sembrano sempre affamati — dissi, cercando con gli occhi i segnali stradali. Non volevo girare a ovest prima di superare Spotsylvania. — Ora ti renderai conto che sei legata a lui per tutta la vita. O almeno fino a che per lui non arrivi qualcosa di meglio. Diserterebbe le tue pancetta in un attimo per qualcuno che gli offrisse una sardina.
— Diserterebbe — ripeté lei, guardando fuori dal finestrino. Stavamo passando un campo con un mucchio di fieno. — I disertori venivano fucilati, vero? Durante la guerra.
Ed eccoci qui, di nuovo in mezzo a una guerra che lei non chiamava nemmeno più Guerra Civile, tanto le era ormai familiare; ne combatteva le battaglie ogni notte.
— Non sempre — risposi. — Molti disertori riuscirono a cavarsela. In California. E a proposito di California, Broun si trova ora a San Diego e vi rimarrà per alcuni giorni ancora, mentre il veterinario non potrà dirci nulla fino a lunedì. Perché non andiamo fino a Shenandoah questo pomeriggio?A vedere le Blue Ridge Mountains? Si dice che a Luray ci sia un posto dove hanno il pollo fritto migliore dell’Est. Sarebbe una buona alternativa alla caffetteria. Non ci sono motivi per rimanere ancora a Fredericksburg.
Andando ancora un po’ verso nord rischiavamo di rientrare sulla interstatale. Girai a sinistra nella strada susseguente. Era la statale 208. La strada per Spotsylvania. Girai ancora a nord su una strada sterrata, poi svoltai altre tre volte, a nord e a ovest, tentando di allontanarmi il più possibile da Fredericksburg.
— E come facciamo con Il Legame del Dovere ? — chiese lei.
— Le bozze? Le possiamo terminare io e Broun quando lui tornerà dalla California.
— Io penso che dovremmo finirle — disse. — Mi piacerebbe sapere come va a finire.
— Bene. Allora le finiremo quando torneremo in albergo. — La strada su cui ci trovavamo in quel momento serpeggiava verso nord e finiva in una superstrada a quattro corsie. Sperai che non fosse di nuovo la interstatale. Non lo era. Si trattava della US 3, con le due alternative chiaramente segnalate dai cartelli: Wilderness da una parte, Chancellorsville dall’altra. Bella scelta.
— Forse è una buona idea — fece Annie, guardando i cartelli. — Andiamo via.
— Ottimo — dissi. Attraversai la superstrada e andai a ovest alla svolta seguente. — Prenderemo un bel po’ d’aria fresca e mangeremo pollo fritto. Ci sono sentieri di tutti i tipi per esercitarsi nel trekking.
— E nessun campo di battaglia — disse lei piano.
— E sai che cosa c’è d’altro in quella culla di boschi? Monticello. La tenuta di Thomas Jefferson. Potremmo passare la notte a Luray e poi andare lungo la Skyline Drive, domani mattina, a vedere Monticello.
Avremmo potuto arrivare a Monticello e mentre eravamo laggiù il fronte di bufera si sarebbe avvicinato, costringendoci a scendere ancora nel Nord Carolina e poi in Georgia e finalmente in Florida, dove la Guerra Civile non era mai arrivata.
— Monticello è un posto stupendo — dissi, girando ancora su quella che sembrava una strada asfaltata. Dopo il primo miglio l’asfalto divenne un fondo sassoso. — Jefferson fece un grande orologio con le palle di cannone. E le tende — aggiunsi precipitosamente. — Jefferson fece da sé le proprie tende. — La ghiaia divenne terra e la strada divenne così piena di buche che le sospensioni dell’auto non riuscivano a reggere. Dovetti invertire la marcia.
La strada era molto stretta e feci fatica a girarla. Da una parte i cespugli e le erbacce circondavano un fossato, dall’altra una fila di pini molto fitti impediva di guadagnare anche pochi centimetri. Appoggiai il braccio sullo schienale del sedile di Annie e iniziai a fare marcia indietro, molto lentamente.
— Tutti i sogni contengono un messaggio — disse Annie.
— Cosa? — feci, irritato con quel sentiero sconnesso che le aveva fatto tornare in mente quel che desideravo dimenticasse, almeno per un poco. Non riuscivo a strapparla alla Guerra Civile più di quanto riuscissi ad allontanarla dal circuito di cimiteri attorno a Fredericksburg. Tentai di ripartire in seconda e il motore si spense.
— Stavo pensando a quello che il dottor Barton ci ha raccontato sugli egiziani. Loro credevano che i sogni fossero messaggi inviati dai morti.
— Pensavo che per oggi non parlassimo più di sogni — dissi. Tentai di rimettere in moto ma il motore si ingolfò.
— Sapevi che Abramo Lincoln aveva sognato Willie dopo la sua morte? — chiese lei. Girai di nuovo la chiavetta, ma Annie allungò una mano e la posò sulla mia. — Il viso di Willie tornò a confortarlo in sogno, diceva il libro. Penso che lui sia morto, Jeff. Penso che i miei sogni siano messaggi inviati da chi non c’è più.
Lasciai la chiavetta. Non era stata la stradetta sconnessa, né quel paesaggio infelice.
— Penso che tu abbia ragione, che Lee abbia fatto quei sogni durante la Guerra Civile e che in qualche modo essi giungano attraverso il tempo fino a me; ieri, quando ho visto la cartolina della sua tomba a Lexington, ho capito che lui era morto. — Mi stava fissando seria, la sua mano ancora appoggiata sul mio braccio. — Richard mi ha detto che i sogni ci aiutano a elaborare le cose che ci sono successe, che sono una specie di meccanismo di guarigione che ci aiuta a superare il dolore e a venire a patti con il senso di colpa che altrimenti non riusciremmo a sopportare; però, se il senso di colpa è troppo grande, i sogni non ce la fanno. Questo è quello che sta succedendo a te, mi aveva detto. Può succedere che una persona abbia dentro di sé così tanta colpa e dolore da continuare a sognare anche dopo la propria morte?
Quanti sogni ci sarebbero voluti per guarire Lee da Fredericksburg? Dodicimilasettecentosettanta? I sogni di Lee non erano un “meccanismo di guarigione”, erano una lista di sepolture, e quanti sogni ci sarebbero voluti per seppellire tutti quei ragazzi della divisione di Pickett che a Gettysburg erano venuti a morirgli sui piedi, quanti sogni per seppellire tutti i ragazzi che stavano nei meandri insanguinati della memoria di Lee? Duecentocinquantottomila? Cento anni di tempo?
— Mi hai detto che Lee era un uomo buono — continuò Annie, — e lo è davvero, Jeff, però dovette mandare tutti quei ragazzi in battaglia, senza scarpe e senza munizioni. Sapeva che sarebbero stati uccisi, ma dovette mandarli. Dovette mandare anche suo figlio Rob. Come poté sopportarlo, tutti quei ragazzi uccisi e nessuno che potesse nemmeno identificare i corpi? Penso che lo perseguitino ancora, anche dopo tutti questi anni, anche dopo la sua morte.
— E così lui perseguita te.
— No. Non è così. Io penso che stia cercando di espiare.
— Infliggendo a te i suoi incubi?
— Non li sta infliggendo a me. Non funziona così. In qualche modo, io sto aiutandolo a dormire. Anche se lui è morto.
— E nel frattempo che cosa stanno facendo i sogni a te?
Non rispose.
— Te lo dirò io, che cosa ti stanno facendo. I sogni stanno peggiorando, e continueranno a peggiorare finché non riusciremo a fare qualcosa. — Lei iniziò a protestare. — Ascolta, può darsi che tu abbia ragione. Lee sta sognando nella sua tomba e tu fai in modo che riesca ad avere un po’ di riposo, dandogli il cambio. In questo caso non importa dove andiamo, i sogni ci seguiranno sempre. Ma può anche darsi di no. Può darsi che sia la vicinanza del campo di battaglia ad aggravare i sogni, e se noi ci allontaneremo forse i sogni smetteranno. Il punto è che tu non stai più dormendo, che non stai mangiando, e che bene potrai fare a Lee se una notte finirai a testa in giù da un piano di scale?
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