Mi chinai sulla carta. Non c’erano alternative da Fredericksburg. Verso sud, Sayler’s Creek ci bloccava la via per Richmond; verso nord avremmo dovuto attraversare il campo di Antietam. Chancellorsville e Wilderness stavano fra noi e Shenandoah, sulla US 3. Ma se fossimo andati verso sud, non fino a Spotsylvania ma percorrendo invece strade secondarie per tagliare fuori, a est, Culpepper, dov’era stata combattuta la battaglia di Cedar Mountain, avremmo potuto farcela.
— C’è qualcosa che posso fare per lei? — chiese il ranger con premura. — C’è una visita guidata alle undici.
— No, grazie. — Ripiegai la carta. — Quanti soldati senza nome sono stati sepolti, in tutto?
— Qui, intende dire? Ci sono dodicimilasettecentosettanta corpi nel Cimitero Nazionale di Fredericksburg — disse, come se fosse motivo d’orgoglio. — Sono tutti soldati dell’Unione, naturalmente.
— Quanti in tutto? In tutta la guerra?
— In tutta la guerra? Non ne ho idea. E non credo neanche che si possa… — Prese una matita dal taschino e iniziò a scrivere sul dépliant. — Bene. Ce ne sono dodicimilasettecentosettanta qui, e ci sono millecentosettanta Confederati sconosciuti nel Cimitero Confederato, e poi Spotsylvania. — Scrisse una cifra e poi prese da sotto il banco un’altra serie di dépliant. — I militi ignoti del Civil War Memorial ad Arlington sono duemilacentoundici… — Frugò fra i dépliant, ne aprì uno. — Ce ne sono quattromilacentodieci a Petersburg. A Gettysburg novecentosettantanove nel cimitero, ma altri nel campo di battaglia. La maggior parte dei morti Confederati furono portati a Richmond e Savannah e Charleston dopo la guerra e sepolti là in fosse comuni.
Frugò di nuovo fra i dépliant. — Dipendeva tutto da chi vinceva le battaglie, naturalmente. Per chi perdeva, più dell’ottanta per cento dei caduti di quella battaglia rimaneva sconosciuto. — Iniziò a sommare le cifre. — Direi fra i cento e i duecentocinquantamila caduti senza nome, in tutto, ma se vuole un calcolo più preciso…
— Va bene così — dissi, e uscii per prendere la macchina e tornare da Annie.
Traveller sbagliò una volta sola. Fu durante la marcia nel Maryland, appena prima di Antietam. Lee era seduto su un tronco e teneva le redini di Traveller in mano, distrattamente. Stava piovendo e Lee indossava un poncho e stivali di gomma. Qualcuno gridò “Cavalieri yankee!” e Traveller diede un balzo. Lee si alzò di scatto per afferrare le briglie e inciampò nel poncho. Cadde sulle mani, si ruppe un polso e si slogò l’altro. Ad Antietam le sue mani erano ancora fasciate.
Annie non era in albergo né nella caffetteria. La cameriera dai capelli rossi, con aria di disapprovazione, mi disse che l’aveva pregata di riferirmi che l’avrei trovata in biblioteca. La ringraziai con un sollievo così evidente che lei dovette certo pensare che si trattava di una lite fra fidanzati.
Annie era nella sezione consultazione, con i volumi L delle enciclopedie sparsi attorno a lei, la maggior parte aperti sul ritratto di uno stanco Lincoln. Ma lei non li stava guardando. Fissava invece gli scaffali arancioni di fronte a sé, senza vederli, pensando intensamente a qualcosa. Sperai che quel qualcosa non fosse Gettysburg.
— Buon giorno — dissi, e mi sembrò di essere lo stupido ranger del parco. — Non pensavo che ti saresti alzata così presto.
Istintivamente fece il gesto di nascondere la pagina aperta di fronte a sé, poi chiuse il libro prima che potessi vederla.
— Vorrei andare a incontrare il veterinario — dissi. — Forse ha potuto parlare con sua sorella.
— Va bene. — Chiuse gli altri volumi e li mise su quello che aveva di fronte. — Lasciami solo sistemare questi.
— Ti aiuto — feci, e afferrai gli ultimi tre prima che potesse metterci sopra anche gli altri. I primi due erano enciclopedie. Il terzo era il manuale di medicina che avevo usato per cercare il Thorazine. — Che cosa stavi cercando in questo? — le chiesi. — Stai bene? Non hai effetti collaterali a causa del Thorazine, vero?
— Sto bene — disse lei, voltandosi per rimettere le enciclopedie sugli scaffali. — Volevo vedere se il Thorazine poteva provocarmi il mal di testa che ho avuto ultimamente, ma non è così. Sei andato al campo di battaglia stamattina?
— Sì — dissi, tentando di parlare con voce noncurante come stava facendo lei. — Hanno una biblioteca di consultazione sulla Guerra, laggiù. Ecco perché questa è così poco fornita. Pronta? Forse riusciamo a incontrare il veterinario prima che cominci il giro.
Arrivammo in macchina dal veterinario. Era di nuovo nella stalla e stava dando da mangiare ai cavalli che aveva in cura. — Temo di non avere le informazioni che mi ha chiesto — disse, inforcando del fieno. — Non sono ancora riuscito a mettermi in contatto con mia sorella, ma domani devo andare a un incontro sulle malattie dei cavalli, a Richmond, e dovrei riuscire a fare un salto da lei e parlarle direttamente.
Avevo contato sul fatto che lui le avesse già parlato, così avrei potuto dire ad Annie “Bene, abbiamo fatto quello che dovevamo. Non c’è più motivo di rimanere qui”.
— Quando sarà di ritorno? — chiesi.
Si fermò un attimo a pensare. — La conferanza durerà tutto il fine settimana. Probabilmente tornerò il lunedì. Sarete ancora qui?
— Se non ci saremo, la chiamerò per telefono. — Annie mi stava guardando. — Altrimenti saremo ancora all’albergo. Le ho dato il numero, vero?
— Sì. Mi dispiace che siate venuti fin qui per niente. — Riempì le tinozze di acqua fresca. — Ho guardato le cose che mio padre aveva conservato su Akhenaten. Non c’è niente sui sogni. Però papà aveva un libro sui sogni e sulle interpretazioni che ne davano gli egiziani. Essi credevano che i sogni fossero messaggi inviati dagli dei oppure dai morti.
— Messaggi? — intervenne Annie. — Che tipo di messaggi?
— Di tutti i tipi. Consigli, ammonimenti, benedizioni. Gli dei ti dicevano chi avresti sposato, se potevi intraprendere un viaggio, se stavi per ammalarti e di che cosa. Se stava per venirti la febbre sognavi una cosa, per il raffreddore un’altra. E tutto era scritto in questo libro, tutto ciò che le varie cose significavano.
La moglie venne sulla porta per avvertirlo che lo desideravano al telefono.
— La chiamerò quando tornerà dalla conferanza — gli dissi.
— Sta bene la cavalla? — chiese Annie. — Non aveva il tetano, vero?
— Quale cavalla? Ah, la puledra che era qui l’altro giorno. Sta bene. Un piede ammaccato, come pensavo.
— Bene — disse Annie. — Sono contenta.
Riprendemmo la stessa strada che avevamo fatto venendo, ma alla prima biforcazione voltai a sinistra. Annie non sembrò accorgersene. Aveva abbassato il finestrino a metà e appoggiato il capo contro lo schienale. L’aria che entrava le arruffava i capelli, mentre il suo viso conservava la stessa espressione seria, quasi malinconica che aveva assunto in biblioteca.
La strada che stavamo percorrendo non era piacevole come l’altra. Era al contrario fiancheggiata dai rifiuti che di solito una città confina ai propri limiti: materiale da imballaggio, rottami di auto, vecchi rimorchi imbullonati e persino una cabina di trasporto cavalli.
— Affascinanti questi paraggi, non ti pare? — dissi, tanto per rompere il silenzio, per strappare la sua mente dal campo di battaglia su cui si trovava. — La cameriera ha detto che dovrebbe arrivare un fronte di maltempo, ma io non vedo nulla.
Svoltai ancora verso sud e presi la strada statale.
— Siamo venuti da questa parte? — chiese Annie quando la strada a sei corsie si spiegò di fronte a noi.
— Pensavo di prendere una via di ritorno più pittoresca — dissi ignorando il segnale per la I-95 e tagliando verso la US 1. — Ho visto il gatto, stamattina. Era seduto di fronte alla caffetteria e credo che ti stesse aspettando. Gli avevi per caso dato da mangiare?
Читать дальше