Connie Willis - Il sogno di Lincoln

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Vincitore del John W. Campbell Memorial Award, ambito premio statunitense riservato agli autori più promettenti,
(1987) è il primo romanzo importante di Conie Willis, un’autrice che si è poi segnalata con opere di tutto rispetto.
Che accadrebbe se una donna dei nostri tempi scoprisse di poter viaggiare nel tempo grazie ai suoi poteri mentali, in particolare a una specie di ponte psichico stabilito con il generale Robert Lee, il grande sconfitto della guerra civile? Da questa premessa parte un romanzo appassionante, una cruda e realistica ricostruzione della guerra civile americana e del suo mondo, ma anche un’avventura ricca di imprevisti: per esempio; che ruolo ha nella vicenda il cavallo di Lee, Traveller? E perché un uomo dei nostri glomi sembra inspiegabilmente identificarsi con lui? Lo scoprirete con Connie Willis.

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In cima alla collinetta presi il sentiero di mattoni che correva lungo la cresta e portava a un grande cartello. Da vicino il cartello si rivelava un dipinto che mostrava Lee scrutare la pianura con un cannocchiale. Accanto c’era una colonna con un altoparlante. Premetti il bottone per le informazioni turistiche.

“In questo punto delle Alture di Mary” diceva una voce profonda e autoritaria, “stava il generale Robert E. Lee, a dirigere la Battaglia di Fredericksburg.” Sembrava Richard sulla segreteria telefonica. Lasciai che la voce proseguisse, mentre guardavo le tombe di lassù.

Erano segnate da blocchi di granito di circa mezzo metro. Quello più vicino a me portava il numero 243, e poi una linea e sotto ancora il numero 4. Trascrissi i numeri su un foglietto, per poter chiedere che cosa significassero.

— Buon giorno — disse un ranger dal cappello marrone. Venne verso di me, con un sacco di plastica in mano. — Ha bisogno del Centro Visitatori? Ero fuori a controllare il campo, e così l’ho chiuso, ma posso andare subito ad aprirlo. Abbiamo avuto problemi con dei ragazzini che sono entrati di notte. — Estrasse una lattina di birra vuota dal sacco per farmi vedere, poi la rimise dentro. — Il primo giro guidato è alle undici. Sta cercando una tomba in particolare?

— No — risposi. — Volevo solo vedere il campo di battaglia da quassù.

— È difficile immaginare che ci sia stata una battaglia qui, vero? L’artiglieria era lungo questa altura e c’erano tiratori scelti giù dietro a quel muro, dove c’è la strada. Non è il muro originale. Il generale Robert Lee dirigeva la battaglia da quassù — disse con l’entusiasmo di chi non è mai stato in guerra. — Guardò l’esercito dell’Unione che risaliva dal fiume — indicò oltre gli alberi e i tetti di Fredericksburg il Rappahannock, — e disse «È bene che la guerra sia così terribile, altrimenti correremmo il rischio di appassionarci troppo.»

— Che cosa significano i numeri sulle lapidi?

— Sono i numeri di registrazione. Dopo la guerra c’erano corpi sepolti in tutta quest’area, provenienti dalle battaglie di Fredericksburg, Spotsylvania e Wilderness. Quando il campo di battaglia fu trasformato in cimitero nazionale furono mandate squadre a disseppellire i corpi e a seppellirli di nuovo lungo la collina. I numeri indicano dove i corpi furono trovati.

Presi dalla tasca il foglietto su cui avevo scritto i numeri, prima.

— Può spiegarmi questo? — chiesi. — Duecentoquarantatré, e sotto una linea e sotto ancora il quattro.

— Duecentoquarantatré è il numero di registrazione. Il quattro è il numero dei corpi.

— Il numero dei corpi?

— Che vennero trovati nella fossa originaria. O parti di corpi. Era difficile dire, certe volte, quanti soldati ci fossero. Alcuni dei corpi erano rimasti sepolti per tre anni.

Come Willie Lincoln, pensai in modo incongruente. Forse anche lui era stato sepolto in un campo da qualche parte, e poi una squadra l’aveva riportato alla luce e mandato a casa con il corpo di suo padre a Springfield.

— A Chancellorsville fu trovata una fossa piena di braccia e gambe, Si pensò che dovesse esserci lì vicino un ospedale da campo dove praticavano amputazioni. E molte volte i cavalli venivano sepolti insieme ai soldati.

— Allora come sono arrivati a definire questi numeri?

— Dai crani. È stata una faccenda poco simpatica — disse con aria allegra. — Se vuole venire giù al Centro Visitatori posso cercare informazioni su quel numero.

— No — risposi — penso che rimarrò qui ancora un po’.

— È bellissimo quassù, vero? — fece lui. Si toccò il cappello per salutarmi e proseguì lungo il sentiero, giù per la collina, chinandosi una volta a raccogliere un pezzo di carta presso una delle tombe.

Era in effetti bellissimo, lassù. La cittadina stendeva i suoi tetti azzurri e grigi e gli alberi in fiore a coprire ciò che era stato il campo di battaglia; più sotto, là dove la fanteria era stata falciata dai cannoni dietro al muro di pietra, c’era una fila di negozietti di souvenir che vendevano cartoline e bandiere confederate. Non si potevano più immaginare i cavalli morti o agonizzanti che coprivano la piana e i soldati che si riparavano dietro di loro, non avendo altra protezione. “È un bene che la guerra sia così terribile” aveva detto Lee, guardando tutto ciò, “altrimenti ci appassioneremmo troppo”.

Ci appassioneremmo troppo. Era questo che ritornava nei sogni? Era per questo che Lee non poteva dimenticarla, nemmeno in sogno? No, certo che no. Aveva detto quelle parole al mattino, quando la piana era piena di bandiere e di squilli di tromba e il sole nuovo brillava sulle canne degli Springfield.

Quella notte i feriti erano rimasti là dove adesso stavano i negozi di souvenir e il Centro Visitatori, a morire congelati, e i soldati di Lee, a piedi nudi, mal coperti, avevano disceso l’altura e scavalcato il muro di pietra, nero di sangue e gelido al tocco. Certo che avevano dovuto abbatterlo e sostituirlo. I Confederati avevano disceso la collina e passato il muro e preso le uniformi dei feriti, con i nomi agganciati alle maniche, i loro stivali con i nomi infilati in punta. E nessuno, nemmeno Lee, avrebbe potuto amare la guerra in quel momento.

Non potevo lasciare che Annie venisse qui. C’era già stata in sogno, aveva visto i corpi giacere sul terreno gelato, aveva visto l’aurora boreale accendere una danza di sangue nel cielo a settentrione, ma non aveva visto quelle file di blocchi di granito e non aveva sentito il ranger leggere quei numeri con aria allegra, entusiasta, inconsapevole dell’orrore di quel che stava dicendo. Molte volte i cavalli venivano sepolti insieme ai soldati.

Forse non potevo fermare i sogni, ma potevo certo proteggerla da tutto questo. E ciò significava portarla via da Fredericksburg, dove benintenzionate cameriere e farmacisti e autisti di taxi tracciavano piantine sul tavolo del negozio nella loro ansia di farci arrivare fin qui. Discesi la collina ed entrai nel Centro Visitatori.

Il ranger era dietro al banco informazioni e stava svuotando un cestino della cartastraccia. — Ho trovato quel numero per lei — disse, sfregandosi le mani. Aprì un librone rilegato in cuoio dove aveva messo un pezzetto di carta. — Sono stati messi in ordine alfabetico dalle squadre di disinterro.

Girò il libro verso di me e io feci scorrere lo sguardo sulla pagina scritta fittamente. “Campo di battaglia di Wilderness. Tre corpi. Fattoria di Charis, campo di granturco. Due crani. Campo di battaglia di Chancellorsville. Due corpi.”

— Eccolo qui — disse il ranger, piegandosi attraverso il banco in modo da poter leggere. — Duecentoquarantatré. — Indicò una riga quasi al fondo pagina. — Fattoria di Lacey, frutteto. Quattro crani e varie parti.

Nel frutteto. Quattro crani e varie parti. “Ha qualcosa a che fare con il soldato dal nome agganciato alla manica” aveva detto Annie, tentando di arrivare al significato dei sogni. Ma non si trattava di un ragazzo dai capelli gialli con il nome scolorito che non si poteva più leggere. Si trattava di così tanti che c’erano voluti anni per dissotterrarli tutti, dai campi di granturco e dai frutteti, per metterli qui, così tanti che non era stato possibile seppellirli uno per uno e si erano dovuti mettere in fosse comuni.

— Sa indicarmi qualche località turistica interessante vicino a Fredericksburg? — chiesi. — Che si possa raggiungere in giornata, a un centinaio di miglia al massimo?

Lui trasse un dépliant da sotto al banco. — Il campo di battaglia di Wilderness è soltanto a…

— Non Wilderness. Niente che abbia a che fare con la Guerra Civile.

Guardò di nuovo sotto il banco, con un’espressione meravigliata, e prese una carta stradale della Virginia. — Be’, c’è Williamsburg, naturalmente. Si trova a un centinaio di miglia. — Aprì la carta sul banco. — Il Parco Nazionale di Shenandoah è a cento e venti miglia. — Lo indicò. — Ci sono panorami molto belli e sentieri per le passeggiate. Però non so come sia il tempo, da quelle parti. Ci dovrebbe essere un fronte di aria fredda che avanza.

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