— Broun diventerà matto quando tornerà dalla California — dissi, aprendo la porta della mia stanza e sorridendo rassicurante. — Ho dato al gatto le sue famose tartine ai gamberetti.
Lei mi seguì nella stanza. — Che sapore avranno avuto?
— Be’, mi sarebbe dispiaciuto che fosse stato proprio lui ad accorgersene, perché dovevano essere disgustose. Quella sera del ricevimento temevo che ci obbligasse letteralmente a ingoiarne un paio. Ora va’ a fare un sonnellino, se sei stanca. Hai bisogno di qualche cosa?
Si sfregò la fronte con la mano. — Jeff, penso che ora potrei provare a prendere un’aspirina.
— Vedo se ne ho portate — dissi, pur sapendo benissimo che nella furia della fuga non ne avevo prese affatto. Entrai in stanza. Sarei andato subito a comprarle, ma c’era qualcosa che dovevo fare prima. Chiusi la porta e chiamai la segreteria telefonica di Broun.
Il messaggio nebbioso dalla California si ripeté, poi venne la voce di Richard.
— Sto chiamando per dire che non mi sono arrabbiato per avermi fatto fermare e interrogare dalla polizia — diceva la voce del Buon Psichiatra. — So che ti senti minacciato e so che Annie si sente minacciata, ma voglio rassicurarvi entrambi, perché la mia sola preoccupazione è la salute della mia paziente.
Lo psichiatra deve convincere il paziente di avere a cuore la sua salute.
— Scappare via non è una risposta, Jeff. Devi riportare indietro Annie, perché possa ricevere il trattamento adeguato. So che tu hai scelto di non credermi, ma queste sue fantasie nevrotiche sono pericolose. Ha completamente dissociato se stessa dai propri segni. Mi ha detto che sono i sogni di Robert Lee. È sull’orlo di una crisi psicotica, e portarla via in California è il modo migliore per farvela precipitare.
Bene. Pensava che ci trovassimo in California. Ciò significava che non sarebbe arrivato qui di soppiatto, mentre io ero fuori. Non mi piaceva lasciare Annie da sola, ma dovevo trovare informazioni sul Thorazine che Richard le aveva somministrato. Riappesi e tornai nella sua camera, Lei era in piedi alla finestra, lo sguardo verso gli alberi che fiancheggiavano il fiume.
— Non ho con me dell’aspirina. Vado subito a comprarla. Ho visto una farmacia sulla strada dell’albergo.
— Non è necessario che…
— Devo andare comunque. Ho anche dimenticato di portare il rasoio e, a differenza di Broun non ho alcun desiderio di farmi crescere i favoriti. C’è qualcos’altro che ti serve?
— No. — Tentò debolmente di sorridere. Di nuovo aveva l’aspetto agitato.
— Sei sicura che starai bene qui da sola? Starò via solo pochi minuti.
— Starò benissimo — rispose. Tentò un sorriso più convincente. Un grosso camion passò rombando davanti all’albergo e Annie alzò la testa e fissò lo sguardo tra gli alberi, come se avesse udito il rimbombo cupo del fuoco d’artiglieria.
Presi la macchina, mi fermai a comprare il rasoio e l’aspirina e poi guidai in direzione del centro città, verso la biblioteca. L’avevo individuata mentre tornavamo in albergo, un edificio di mattoni a tre piani che sembrava una scuola.
I libri di consultazione erano in un seminterrato spoglio illuminato da alcuni neon. L’unico manuale sui medicinali era datato, e non diceva nulla sugli effetti collaterali del Thorazine. Diceva però che la sospensione improvvisa del trattamento ad alte dosi poteva causare nausea e vertigini.
Non diceva quale dosaggio fosse da considerarsi alto, anche se ciò non aveva una grossa importanza non sapendo assolutamente quanto gliene avesse somministrato Richard. Ma come aveva potuto dargliene, anche solo in piccole dosi? Il manuale lo descriveva come un medicinale estremamente pericoloso, proprio come temevo.
Dozzine di controindicazioni e avvertenze erano elencate, sonnolenza e ittero associati a svenimenti, e c’era una nota in grassetto che diceva; “Sono stati segnalati casi di morti improvvise, apparentemente dovute ad arresto cardiaco, ma non ci sono prove per stabilire una correlazione fra questi casi e la somministrazione del medicamento”. Mi chiesi se nei dieci anni trascorsi dalla pubblicazione di quel manuale la correlazione fosse stata provata, e se Richard se ne fosse preoccupato.
Doveva sapere benissimo ciò che il Thorazine poteva provocare ad Annie, e nonostante questo l’aveva somministrato. Perché? Non c’era l’abitudine di curare i pazienti con problemi mentali, c’era l’abitudine di tenerli sotto controllo.
Non trovai nulla che avesse a che fare con mal di testa e febbre fra gli effetti collaterali, sebbene si riportasse che dopo la quarta settimana potevano comparire infezioni. Tutti gli effetti collaterali e i pericoli derivavano da un trattamento a lungo termine, e l’ultima pagina comunque mi rassicurò. Nonostante tutte le precedenti avvertenze, il farmaco era consigliato per la cura di tutto, dal singhiozzo al tetano.
Ritornai in albergo e trovai Annie seduta sui gradini esterni, che giocava con il gatto nero. — Il mal di testa è sparito — mi disse mentre le tendevo il pacchetto di aspirina. — Mi sento molto meglio.
Cenammo alla stessa caffetteria dove avevamo fatto colazione. — Come ti senti ora? — le chiesi dopo che la cameriera ci ebbe portato il conto. — Hai mai avuto un senso di vertigine oggi?
— No.
— E di nausea?
— No. Perché?
— Potresti avere ancora un po’ di Thorazine in circolazione.
— Non capisco come — ribatté lei. — Fra te e la cameriera mi avete fatto bere tanto di quel caffè da neutralizzare qualsiasi altra cosa avessi in corpo. Non devi preoccuparti del Thorazine.
— Okay — risposi, prendendo in mano il conto. — Smetterò di preoccuparmi.
Lei si alzò e guardò fuori, verso l’albergo, come se questo le facesse paura. — Tutto quello di cui ci dobbiamo preoccupare ora sono i sogni.
Tornai al tavolo per lasciare una mancia. Vidi che il suo tovagliolo di carta, abbandonato sulla panca, era lacerato in minuscole strisce.
Quando tornammo in camera dissi: — Penso che starò qui a leggere bozze per un po’. — Trascinai una poltrona verde ai piedi del letto e poi andai a prendere le bozze in camera assieme a un paio di matite blu, muovendomi lentamente per darle tempo di prepararsi mentre fischiettavo per farle sapere di essere ancora là.
Quando rientrai in camera sua la trovai già nel letto. Indossava una camicia bianca dalle maniche lunghe e sedeva addossata ai cuscini, le mani intrecciate nervosamente sul risvolto del lenzuolo.
— È il libro di Broun sull’Antietam? — mi chiese.
— Dovrebbe — risposi. — Ma lui continua a fare cambiamenti. Ecco perché devo finire di controllarle prima che torni dalla California, per non dargli più occasione di pasticciarle.
— Che cosa devi fare?
— Rileggerle. Cercare gli errori, lettere saltate, righe mancanti, punteggiatura, questo genere di cose. — Avvicinai di più la poltrona al fondo del letto, per potervi appoggiare contro i piedi.
— Posso aiutarti? — Lo disse con voce tranquilla, ma le nocche delle sue dita intrecciate erano bianche. — Per favore. Non voglio rimanere qui a fare nulla aspettando che mi venga sonno.
Misi giù il pacchetto di fogli. — Senti, non devo lavorarci proprio adesso. Potremmo anche guardare la Tv o qualcosa.
— Davvero mi piacerebbe aiutarti con le bozze. Penso che leggendo riuscirei a distrarre la mente dai sogni. Dobbiamo prendere ciascuno una parte diversa oppure leggere la stessa ad alta voce?
— Annie, non credo che sia una buona idea.
— Perché parla dell’Antietam?
Perché parla delle mani bendate di Lee e di un cavallo con le zampe spezzate e ci sono soldati morti dappertutto. — Sì.
— Tu di solito le leggi ad alta voce, vero? — disse. — Ecco perché devo aiutarti. Posso controllare che Broun non abbia fatto errori. Dopo tutto, io ero là.
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