— Può iniziare a dettare — disse una voce di donna, e io sentii un clic e poi il rumore della linea occupata. Chiamai di nuovo ma continuava a essere occupata, così programmai la segreteria per richiamare il numero ogni due minuti e incisi la scena sul nastro.
La fiammella si spense lentamente nel buio e Malachi entrò nel bosco e costruì un fuoco da campo.
— Che cosa si fanno da mangiare i ribelli stasera? — si sentì una voce di là dal fiume.
— Gli Yankee — fece Toby, abbassandosi come per sottrarsi a un colpo. Si sentì una risata venire dal fiume e poi un’altra voce chiese — Qualcuno di voi ribelli viene da Hillsboro?
— Sì, e andiamo a Washington — gridò indietro Toby. Mise giù il calcio del fucile e si appoggiò. — Io per esempio sono di Big Sewell. Che cosa vuoi sapere di Hillsboro?
La voce di là dal fiume gridò — Sto cercando mio fratello. Si chiama Ben Freeman. Lo conosci?
Toby uscì allo scoperto per ribattere qualcosa di divertente. Ben balzò in piedi e sparò verso il fiume. Ci fu un rapido scambio di fuoco, mentre Toby si gettava a terra, il fucile in mano. Ben entrò nel bosco e si sedette vicino al fuoco di Malachi. Malachi rimase zitto e dopo un minuto Ben fece — Non credo che sia giusto parlare con il nemico in questo modo.
Malachi smosse il fuoco e sistemò un recipiente per preparare il caffè. — Com’è andata che tu e tuo fratello vi trovate sulle rive opposte?
— Così — fece Ben, gli occhi sul recipiente.
Toby venne a sua volta vicino al fuoco e si accucciò. — Tu e tuo fratello, avete litigato per una ragazza?
— Non abbiamo litigato. — Ben prese il fucile e se lo appoggiò in grembo. — Un giorno lui si è arruolato e allora ho capito che dovevo farlo anch’io, ed eccoci qui, nemici.
— Io invece sono stato richiamato — fece Toby. — Scommetto che ci doveva essere una ragazza da qualche parte, per farvi arruolare in quel modo.
— Se vai avanti così finirai per farti sparare — intervenne tranquillo Malachi. — Alzarti a fare il bersaglio in quel modo.
Riavvolsi il nastro e aspettai. Il tasto ritornò a posto. Allora alzai il telefono e diedi all’editore il codice a distanza perché potesse ricevere la registrazione senza dover richiamare, e attesi mentre lei sistemava il suo registratore.
— Sono a posto — disse.
— Mi chiami ancora se ci sono problemi — risposi io e riappesi.
Erano le due e mezzo. La neve sembrava essersi calmata un poco. Richard sarebbe stato in grado di andare alla sua riunione. Se non rimaneva a presidiare il telefono per accertarsi che non chiamassi Annie.
Presi in mano Il Presidente Lincoln di Randall. Forse lui sapeva dove Willie era stato sepolto. Se lo sapeva, comunque, se l’era tenuto per sé, ma diceva di che cosa era morto. Qualcosa chiamato febbre biliare. E lo sa Dio di che cosa si trattasse in realtà. Una febbre tifoidea probabilmente, anche se questa era una malattia già conosciuta con quel nome nel 1862; inoltre si raccontava nei particolari come avesse preso freddo cavalcando il suo pony con il brutto tempo, così forse si trattava semplicemente di polmonite.
Capire di che cosa possa essere morta una persona cento anni fa è praticamente impossibile. Lettere scritte da parenti addolorati dicono che la figlia o il figlio sono morti di “febbre del latte” o “febbre cerebrale” o magari solo di “febbre”, e questo comunque è già qualcosa. A volte la persona moriva semplicemente “dopo essere diventata sempre più debole e ammalata nel corso dell’inverno, finché non è rimasta più speranza”.
I racconti dei medici non sono meglio. Diagnosticavano acqua e forte raffreddamento e “ingrossamento del cuore”. Robert Lee, che quasi certamente aveva sofferto di angina durante la guerra ed era poi morto di un attacco cardiaco, venne variamente diagnosticato come sofferente di eccitazione reumatica, di congestione venosa e di sciatica. La diagnosi attuale è stata possibile solo perché qualcuno, stranamente, aveva trascritto i sintomi. Altrimenti nessuno avrebbe mai avuto la più pallida idea della causa della sua morte.
In ogni caso, Willie Lincoln “prese freddo” e morì di polmonite o di febbre tifoidea o forse di malaria — qualunque cosa fosse era probabilmente contagiosa, dal momento che suo fratello Tad si era ammalato anche lui — oppure di qualcos’altro, e fu posto dapprima nella Sala Verde e poi nella Sala Orientale per il funerale.
Il funerale era ben documentato, anche se per arrivarci dovetti frugare a lungo nella confusione dei libri dello studio. Gli edifici del governo erano stati chiusi per l’occasione, il che irritò il generale Bates, che commentò che “Willie era stato idealizzato eccessivamente dai genitori”. Vi parteciparono Lincoln, il figlio Robert e i membri del Gabinetto, ma non la signora Lincoln. Il reverendo Gurley recitò il servizio, Willie fu messo sul carro e poi, come Tom Tita il gatto, scomparve dalla scena.
Randall si fermava al funerale; tutto ciò che lessi in più si riferiva alla fonte di Sandburg, e Sandburg diceva solo che il corpo di Willie era stato mandato a ovest per essere sepolto. E in realtà fu così, ma solo nel 1865. Di questo ero sicuro. Lloyd Lewis, che aveva lasciato una cronaca dettagliata dei funerali di Lincoln, aveva descritto come il lungo viaggio in treno vedesse accanto alla bara del Presidente quella del figlio, così che evidentemente questa non era stata “mandata a ovest” per più di tre anni, e Sandburg più di tutti avrebbe dovuto saperlo.
Sandburg aveva conosciuto Lewis ai tempi di Chicago. Lo aveva definito “l’amico Lewis” quando aveva scritto l’introduzione di I Miti del dopo Lincoln. Mi chiesi se avesse dimenticato ciò che Lewis aveva scritto di Willie, o se non fosse accaduto qualcosa per cui i due avevano litigato e di conseguenza non avevano più letto le opere l’uno dell’altro. Che ci fosse dietro una ragazza?
Ma persino Lewis, che era una miniera di informazioni su Lincoln, non diceva dove fosse rimasto il corpo di Willie per tre anni. O dovevo pensare che fosse rimasto tutto quel tempo nella Sala Orientale, provocando i brutti sogni del Presidente? Oppure che l’avevano sepolto nel prato davanti alla Casa Bianca?
Erano le quattro meno un quarto. Rimisi i libri dove avrei potuto, forse, ritrovarli la prossima volta e chiamai Annie.
Aveva la voce assonnata, il che mi rassicurò. Non era rimasta di fronte alla finestra nel cappotto bagnato, guardando la neve e ascoltando Richard che le spiegava che era pazza. Almeno aveva dormito.
— Come stai? — chiesi.
— Bene — disse lei, ma lentamente, con un tono leggermente interrogativo.
— Bene. Ero preoccupato per te. Temevo che avessi preso un malanno, ad Arlington. — Preso un malanno. Come l’avrebbe definito un dottore della Guerra Civile.
— No — fece lei, e questa volta aveva la voce più sicura. — Richard mi ha dato da bere del tè bollente e poi mi ha fatto stendere. Credo di essermi addormentata.
— Annie, Richard ti fa prendere qualcosa? Qualche medicina?
— Richard? — fece lei, e nella sua voce tornò quella nota vagamente interrogativa.
— C’è Richard lì con te?
— No — rispose lei, e in questo sembrava, per la prima volta, sicura. — È all’Istituto.
— Annie — ripetei, e mi sentivo come se stessi gridandole qualcosa dai piedi di una collina — stai prendendo qualche medicina? Qualche pillola?
— No — rispose ancora, attraverso uno sbadiglio.
— Quando sei andata per la prima volta all’Istituto Richard ti ha prescritto qualcosa? Una medicina?
— Elavil — disse lei, e io afferrai gli appunti su Willie e scribacchiai sul margine. — Ma poi mi ha fatto smettere.
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