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Sheri Tepper: Cronache del dopoguerra

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Sheri Tepper Cronache del dopoguerra

Cronache del dopoguerra: краткое содержание, описание и аннотация

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Sono passati duecento anni dall’ultimo olocausto ma il dopoguerra dura ancora. Una parte del genere umano (le donne di Marthatown e di altri centri abitati pacifisti) hanno imparato la lezione e giurato di non riprendere più le armi, ma altri la pensano diversamente. Per molti fare la guerra è sinonimo di onore, di uno stile di vita eroico e irrinunciabile. Così, in alcuni avamposti militari disseminati sul pianeta attecchisce una civiltà aggressiva che si identifica con uomini non disposti a fare ammenda del passato. Per Stavia, una giovane dottoressa, non è facile convincere il compagno Chernon a rinunciare alla via della violenza, tanto più che i due devono compiere insieme una missione che non si prospetta facile. Presto dovranno misurarsi entrambi con mille difficoltà e pericoli, e allora non sarà Chernon il solo a dover fare una scelta radicale: anche Stavia si renderà conto che l’utopia potrebbe avere i giorni contati.

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In coda alla processione un ragazzo con la tunica bianca si volse a guardare, alzando un braccio verso Stavia.

— Chi sono quelle statue? — chiese Beneda.

— Ulisse e Telemaco — le disse Sylvia con tono assente.

— E chi è Ulisse?

— Odisseo — mormorò Morgot — è solo uno dei nomi che vengono dati a Odisseo. Telemaco era suo figlio.

— Oh — disse Beneda — lo stesso Odisseo di cui parla Ifigenia nella nostra commedia? Quello di Troia?

— Proprio lui.

Le donne scesero per le scale, attraversarono la piazza dirigendosi verso la strada dalla quale erano venute. Myra camminava vicino a loro adesso, con il braccio intorno ai fianchi della madre. Sia Morgot che Sylvia stavano piangendo. Beneda corse per raggiungerle ma Stavia esitò guardandosi indietro. Chernon. Avrebbe ricordato quel nome.

3

Ritrovandosi a trentasette anni, seduta nella stanza illuminata dal fuoco con Corrig e gli altri, Stavia rifletteva che sarebbe stato meglio se non avesse ricordato il nome di Chernon a quei tempi. Sarebbe stato meglio per tutti se non lo avesse ricordato o rivisto mai più. Colse lo sguardo di Corrig su di sé e arrossì. L’uomo si avvicinò e lei disse: — Stavo ricordando il giorno in cui portammo Jerby alla Porta. Fu la prima volta che vidi Chernon, quel giorno. — L’uomo le afferrò il braccio per un attimo poi andò a prendere altro tè guardandosi in giro per la stanza. Era un misto tra una camera normale e una cucina. Ogni cosa dentro quella stanza si portava dietro dei ricordi. Lo spesso tappeto disteso davanti alla stufa era quello dove Dawid era solito accoccolarsi quando lei gli leggeva le storie. Dove andava a sdraiarsi quando tornava a casa per il carnevale. Prima che diventasse grande. Il suo portatovaglioli era ancora nella credenza. Ricordava ancora quando Joshua lo aveva intagliato per lui. Ogni angolo della stanza nascondeva cose che parlavano di Dawid, o di Habby, di Byram o di Jerby.

Corrig tornò con la teiera. Pose una mano sulla spalla di Stavia e strinse leggermente, con molta gentilezza, mentre le versava la bevanda.

Beneda alzò lo sguardo dicendo: — Cosa hai detto, Stavvy?

— Niente, Beneda. Stavo semplicemente ringraziando Corrig per il tè.

— Be’, io non ne voglio più, grazie. Devo tornare dai bambini. Mia madre deve incontrarsi domani mattina presto con la gilda delle Tessitrici per discutere le quote del lino, deve coricarsi presto.

— Come sta tua madre? — chiese Morgot. — E tuo nipote?

— Sylvia sta bene. Il bambino sta mettendo su i denti e dà qualche preoccupazione ma le ragazze stanno bene. Ci piacerebbe che veniste a mangiare una zuppa qualche volta. Ora, dove ho messo il mio scialle? — era già a metà strada sulla porta di casa intenta a smozzicare le parole e le frasi.

Quando se ne fu andata, Stavia sospirò. — Una volta eravamo amiche.

Le gemelle, Kostia e Tonia, alzarono lo sguardo, ma fu soltanto Tonia a parlare: — Per quel che riguarda Beneda lo siete ancora, cara.

Stavia trattenne il fiato. — È vero. Mi sento un’ipocrita. Mi spiace.

— Lo so. Stai bene adesso?

— Sì — rispose — Sto bene. — Si sarebbe ripresa. Quasi tutte ce la facevano. Ma ora che Dawid se ne era realmente andato, ora che non avrebbe più voluto tornare a casa, ricordava cose a cui non aveva realmente pensato per anni; non ricordi di Dawid ma ricordi di Chernon, di Beneda della sua famiglia. — Cose non perdute ma scordate — mormorò a se stessa. Cose della sua fanciullezza.

4

Per molti giorni, dopo che Jerby era stato condotto da suo padre guerriero, Morgot era stata in preda al dolore più intenso. La giovane Stavia se ne era resa conto, non tanto perché fosse particolarmente attenta agli stati d’animo della madre, come in realtà era, ma perché aveva voluto sapere di più sul ragazzo che aveva incontrato nella piazza. Chernon. Stavia non voleva ricordare a Morgot nulla che fosse collegabile a quel giorno che tanto la faceva soffrire. Ogni volta che rimandava il momento delle domande, Stavia si congratulava con se stessa per essere così compassionevole e sensibile, concedendosi piccoli amorevoli apprezzamenti, mentre contrapponeva il suo comportamento con quello di Myra che non aveva mai cercato di provare compassione per niente e per nessuno. Stavia aveva cominciato a pensare che il suo comportamento fosse realmente degno di una persona adulta. Nella sua mente sentiva ancora i tamburi rullare ma lei cercava di non farci caso.

Trascorse una settimana durante la quale Stavia rimase a osservare la madre sempre più depressa. Una notte si trovavano in cucina e Stavia si rese conto che Morgot non aveva pianto per tutto il giorno.

Mantenne deliberatamente indifferente il tono della voce quando osservò: — Il figlio di Sylvia, Chernon, si è avvicinato a me, nella piazza, madre. Ha chiesto chi ero e mi ha detto chi era lui. Perché non è mai venuto a casa per il carnevale?

Morgot si ritrasse dalla cucina di mattoni con la cappa di metallo, tenendo in mano una lunga forchetta mentre con il polso scostava una ciocca di capelli dalla fronte. Nella padella alcuni pezzi di pollo friggevano in una cucchiaiata di grasso. Morgot posò la forchetta e versò una ciotola di verdure nella padella posandovi poi sopra un coperchio bombato, prima di rivolgersi a Stavia con una lunga occhiata indagatrice. Era il genere di espressione che assumeva quando doveva decidere se dire o meno una cosa e non dimostrava nessuna fretta di giungere a una decisione. La padella emise una serie di sibili e scoppiettii. Morgot levò il coperchio e mescolò il cibo, poi disse: — Sylvia ha pensato che fosse meglio così. Quando Chernon aveva otto o dieci anni, venne a casa per le vacanze e disse alcune cose orribili a Sylvia. Cose che un ragazzo della sua età non avrebbe neppure potuto pensare.

— Ma tu stessa hai detto che a volte i ragazzi lo fanno. Hai detto che fa parte delle abitudini dei guerrieri, madre.

— Sì, è vero che il rituale dei guerrieri impone di rivolgere degli insulti, sebbene la maggior parte dei guerrieri sia così saggia da non suggerire ai ragazzi di farlo e alcuni di essi siano così educati da non volerlo fare. Ma le cose che disse quel ragazzo erano molto peggiori dei soliti insulti, Stavia. Disse delle porcherie, frasi perverse e piene di cattiveria. Venimmo a sapere che era stato uno dei guerrieri a istruire Chernon perché rivolgesse simili accuse e richieste a Sylvia. Il nome del guerriero era Vinsas, e le cose che aveva detto a Chernon di ripetere erano… parole da degenerato. Cose molto personali e profondamente malvage. Sylvia fu colta completamente di sorpresa. Udire quelle parole da un bambino, da suo figlio poi… be’, era sconvolgente. Disgustoso. Venne fuori che Vinsas aveva detto al ragazzo che sarebbe dovuto tornare alla guarnigione giurando di aver seguito le sue istruzioni sotto la minaccia di una orribile punizione.

— Ma, allora Chernon non voleva dire quello che aveva ripetuto…

— Noi lo sapevamo, amore. Non era colpa di Chernon. Ma Chernon fu usato in un modo molto sconveniente, non ti pare? Erano cose che un ragazzino di dieci anni non avrebbe neppure dovuto pensare e tuttavia, per le regole che vigevano nella guarnigione, fu costretto a obbedire al guerriero più anziano. Non fu una cosa bella mettere Chernon in una tale situazione. — Posò la padella sul tavolo piastrellato e la lasciò là mentre il vapore saliva tutt’intorno al coperchio.

— Cosa accadde?

— Sylvia suggerì che, visto che il guerriero era chiaramente un pazzo, Chernon avrebbe dovuto dire che sì, aveva effettivamente detto quelle cose a sua madre e che lei non era riuscita neppure a rispondere. In qualche modo, Chernon era convinto che non avrebbe potuto farlo. La sua visita si trasformò in un’interminabile litigata riguardo a quello che avrebbe o non avrebbe dovuto dire, a quello che il guerriero avrebbe dovuto sapere. Era come se lo stesso Chernon fosse stato infettato dalla follia di quell’uomo e stesse usandola per fustigarsi in una sorta di capriccio pruriginoso. — Morgot si rabbuiò. — Ero presente quando Chernon fu preso da quella follia. Come se fosse stato preso da un attacco isterico. Sylvia mi chiese consiglio. Le dissi che c’erano solo due possibilità: o riferiva l’accaduto al comandante della centuria di Vinsas, che, casualmente, era Michael, oppure non doveva più accettare suo figlio in casa. Non poteva permettere che ogni carnevale si trasformasse in una scenata isterica con suo figlio. Così decise di parlare con Michael e lui scelse di non far nulla.

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