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Sheri Tepper: Cronache del dopoguerra

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Sheri Tepper Cronache del dopoguerra

Cronache del dopoguerra: краткое содержание, описание и аннотация

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Sono passati duecento anni dall’ultimo olocausto ma il dopoguerra dura ancora. Una parte del genere umano (le donne di Marthatown e di altri centri abitati pacifisti) hanno imparato la lezione e giurato di non riprendere più le armi, ma altri la pensano diversamente. Per molti fare la guerra è sinonimo di onore, di uno stile di vita eroico e irrinunciabile. Così, in alcuni avamposti militari disseminati sul pianeta attecchisce una civiltà aggressiva che si identifica con uomini non disposti a fare ammenda del passato. Per Stavia, una giovane dottoressa, non è facile convincere il compagno Chernon a rinunciare alla via della violenza, tanto più che i due devono compiere insieme una missione che non si prospetta facile. Presto dovranno misurarsi entrambi con mille difficoltà e pericoli, e allora non sarà Chernon il solo a dover fare una scelta radicale: anche Stavia si renderà conto che l’utopia potrebbe avere i giorni contati.

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— Signora — disse la voce di uno dei componenti della guardia. Marcus pensò lei, studiando quel poco che poteva scorgere del suo viso tra le guardie del suo elmo a protezione del naso e della guancia. Marcus, probabilmente, sebbene avrebbe potuto essere un altro dei figli di sua sorella Myra, poiché tutti e tre avevano una sconcertante somiglianza, sin da bambini. — Signora — disse il soldato — tuo figlio, il guerriero, ti saluta.

— Ed io saluto il mio figlio guerriero — disse l’attrice Stavia mentre l’osservatrice Stavia piangeva, sebbene solo interiormente e in silenzio come richiedeva la situazione.

— Io ti sfido, signora — disse Dawid; la sua voce era stridula, molto stridula, quasi quella di un bambino e lei sapeva che aveva provato quelle parole ripetendole nelle docce e negli angoli del refettorio con palpitante attenzione, cercando senza dubbio di infondervi l’eco vibrante del comando. Tuttavia la sua voce aveva ancora il tono querulo dell’insicurezza dell’adolescente.

— Davvero? — domandò lei, alzando il capo. — E in quale modo ti ho offeso?

— Durante la mia ultima visita a casa — il giovane impresse alle ultime parole la sfumatura nervosa che pensava avrebbe potuto infondervi solo un guerriero ormai maturo. Disse “visita a casa” come se si trattasse di qualcosa di sporco, forse lo era davvero. — In quell’occasione mi hai suggerito qualcosa di indegno del mio onore di guerriero.

— Davvero? — l’attrice Stavia si mostrò adeguatamente colpita. — Non riesco a ricordare nulla di tutto questo.

— Hai detto — la voce tremava — hai detto che sarei stato il benvenuto alla casa di mia madre se passavo attraverso la Porta del Paese delle Donne.

— Be’, certamente — replicò lei con calma, desiderando che quella farsa terminasse in fretta per potersene tornare a casa a dormire. — Lo saresti come lo sono tutti i nostri figli.

— Signora, ti ho chiamata qui per annunciarti che un tale suggerimento è offensivo per il mio onore. Io non mi considero più tuo figlio. Io sono orgoglioso di affermare di essere figlio dei guerrieri. Io sono diventato un Difensore!

Era così dunque, be’, cosa si era aspettata dopotutto? Tuttavia, ancora per qualche attimo, non fu in grado di rispondere. Stavia l’osservatrice tenne in suo potere l’attrice, solo per quell’attimo, cercando, in quel faccia a faccia, Dawid, bimbo di cinque anni, gran cacciatore di cavallette, suonatore di tonanti tamburi giocattolo, cantore di ninne-nanne, sempre primo nella folle corsa da casa al negozio di caramelle. Cercava quel bimbo con gli occhi seri e le labbra ben disegnate. Ma questi non esisteva più. Non più.

No, ora era diventato un uomo tutto bronzo e cuoio. Nella parte superiore del braccio recava inciso il tatuaggio della guarnigione di Marthatown. Si era tagliato il mento radendosi, sebbene la sua pelle avesse ancora l’aspetto di quella di un bimbo. Pronto per l’amore. Pronto per il massacro.

Va’ avanti, gemette Stavia l’osservatrice.

— Allora trattieni le tue lamentele, Dawid, figlio dei guerrieri; non hai più bisogno di venire in visita da noi. — Ci fu una pausa dopo quelle parole che non erano obbligatorie ma che era stata spinta a pronunciare. Lascia che si renda conto che questa frase trancia tutti i ponti. — Tu non sei mio figlio. — S’inchinò, credendo per un attimo che il capogiro che l’aveva improvvisamente colta le avrebbe impedito di ritrovare la strada, ma in seguito l’attrice riprese possesso di lei, trovando la via quasi per istinto. Alle donne non era permesso tornare attraverso la Porta dei Difensori. C’era un corridoio sulla sinistra, si disse, ricordando ciò che le avevano detto e cercando di percorrerlo con passo regolare, senza cambiare ritmo, senza rallentare o affrettarsi. Neppure il sibilo alle sue spalle riuscì a farle fretta. Era il sibilo di un serpente ma era stato emesso solo da poche labbra, o forse da un paio solo, e non si trattava certo di quelle di Dawid. Stavia aveva rispettato le regole sin dalla nascita di Dawid e tutti quegli automi coperti di metallo lo sapevano. Non avevano ragione di lanciare contro di lei quei sibili per insultarla, solo i più zelanti l’avrebbero fatto. A dispetto di questi, non avrebbe affrettato il suo passo. No, no e no, la cerimonia doveva essere rispettata, se era necessaria.

E poi, davanti a sé, al termine dell’angusto corridoio, la vide per la prima volta, la porta che era all’origine di tutta quella confusione, stretta e poco appariscente. La Porta del Paese delle Donne era una semplice tavola di legno lucidato, con una placca di bronzo sulla quale era raffigurato lo spettro di Ifigenia che cullava un bambino davanti alle mura di Troia. Sulla destra vi era un pomolo di bronzo a forma di melograno, posto in basso in modo che anche una donna di bassa statura avrebbe potuto aprirlo con facilità. Lo cercò con gli occhi, il pollice abbassò il pomolo e la porta si schiuse leggermente, ben oliata come sempre.

Nella piazza circondata dalle arcate che si apriva oltre la porta il vecchio Septemius Bird la stava aspettando con le nipoti, Kostia e Tonia, delle quali, da lungo tempo, aveva imparato a trovare familiare e ad amare l’aspetto esotico di gemelle. Sebbene non fossero sue amiche sin dall’infanzia, ora erano suoi vicini, e Morgot doveva averli avvertiti che era venuto anche per lei il momento della chiamata. C’era anche Beneda, anche se Stavia non aveva realmente desiderio di vederla, non in quel momento. Ma Beneda era anche lei una vicina, e, in qualche modo, era affezionata a Dawid. Be’, ne aveva ragione, in un certo senso. Del resto Beneda era affezionata a un mucchio di cose.

— Sei sola? — chiese. Beneda era una maniaca delle domande retoriche e delle frasi fatte puramente interlocutorie, e aveva la necessità di riempire tutte le pause di silenzio con piccole esplosioni di suoni, come una fila di fuochi artificiali che una volta accesa non può impedirsi di esplodere, senza dubbio per tenere lontani i demoni. Così ripeté quasi a se stessa. — Ah, bene, Stavia, così ritorni sola come feci a mia volta e come tutte noi abbiamo fatto. Ci dispiace per questo, Stavia. Ci dispiace profondamente.

Stavia, che un tempo le aveva voluto bene e che ancora gliene voleva, desiderò pregarla di tacere ma si limitò a sorridere sfiorandole la mano, sperando che Beneda si sarebbe azzittita, senza aver altro da dire. Cosa d’altro restava da aggiungere? Non si erano dette tutto una all’altra, all’infinito?

Septemius, d’altro canto, sapeva come mostrarsi di conforto. — Vieni, dottoressa. Sono sicura che non ti aspettavi che andasse diversamente e le mie ragazze sono andate alla Fontana della Dolce Fine a raccogliere l’acqua… C’è una tazza di tè che ti aspetta.

Il braccio di Septemius posato sulle sue spalle era solido e forte come se appartenesse a un uomo con la metà dei suoi anni. Dopo Corrig, che, in quanto servitore non poteva mostrarsi nella piazza assieme a lei, Septemius era la persona che riusciva a esserle più di conforto.

Mentre facevano ritorno per le strade vuote, Stavia l’osservatrice, nuovamente in pieno possesso delle sue facoltà, notò la qualità della luce. L’atmosfera che fino a poco prima avrebbe potuto definire nostalgica e dolcemente melanconica era ora livida e triste. La luce era simile a una ferita e come una ferita pulsava. Se non fosse stato per il braccio del vecchio intorno alle spalle, Stavia non avrebbe potuto compiere i pochi passi che la separavano dalla sua casa dove Morgot e Corrig l’aspettavano con il tè, e dove le sue bambine, Susannah e Primavera attendevano di porle le loro domande.

— Così Dawid ha scelto di rimanere con i guerrieri, madre? — Susannah aveva tredici anni adesso, i suoi lineamenti stavano diventando quelli di una donna, con seri occhi scuri sopra una mascella volitiva.

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