Sheri Tepper - Cronache del dopoguerra

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Cronache del dopoguerra: краткое содержание, описание и аннотация

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Sono passati duecento anni dall’ultimo olocausto ma il dopoguerra dura ancora. Una parte del genere umano (le donne di Marthatown e di altri centri abitati pacifisti) hanno imparato la lezione e giurato di non riprendere più le armi, ma altri la pensano diversamente. Per molti fare la guerra è sinonimo di onore, di uno stile di vita eroico e irrinunciabile. Così, in alcuni avamposti militari disseminati sul pianeta attecchisce una civiltà aggressiva che si identifica con uomini non disposti a fare ammenda del passato. Per Stavia, una giovane dottoressa, non è facile convincere il compagno Chernon a rinunciare alla via della violenza, tanto più che i due devono compiere insieme una missione che non si prospetta facile. Presto dovranno misurarsi entrambi con mille difficoltà e pericoli, e allora non sarà Chernon il solo a dover fare una scelta radicale: anche Stavia si renderà conto che l’utopia potrebbe avere i giorni contati.

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Stavia, l’osservatrice, rifletté cupamente che non si era mai lamentata da un anno a quella parte; be’, comunque non lo aveva fatto per una buona parte dell’anno. Si era sentita così colpevolmente miserabile dopo l’ultima volta che non avrebbe potuto più fare una cosa simile, persino quando a volte si sentiva così disperata che aveva voglia di piangere e gridare. No, non avrebbe pianto anche se loro si aspettavano che lo facesse. Tuttavia non era stata una cosa gentile da parte di sua madre sollevare quell’argomento e aveva voglia di dirglielo.

L’attrice Stavia, tuttavia, tenne a mente il suo ruolo e si limitò a mantenere il volto impassibile mentre si avvicinava al fianco di Morgot. Myra stava all’altro lato, tenendo una delle manine di Jerby mentre il piccolo si faceva avanti claudicante, compiendo due passi a ogni passo di sua sorella. Si fermarono di fronte alla Porta dei Figli dei Guerrieri, e Morgot si fece avanti per bussare con il dorso della mano sulla sua superficie istoriata ricavandone un suono sordo e tambureggiante.

Una fanfara suonò da qualche parte, oltre la soglia. Morgot sollevò tra le braccia Jerby e si ritrasse al centro della piazza mentre il cancello si apriva; Myra e Stavia corsero al suo fianco. Poi risuonarono i tamburi e fecero la loro comparsa gli stendardi, accompagnati da centinaia di piedi che calpestavano le pietre a un ritmo. Stavia batté le palpebre ma mantenne il suo posto. I guerrieri. File di guerrieri. Lunghe piume sui loro elmi e tuniche scintillanti, lunghe sino alle ginocchia. Portavano pettorali di bronzo e gambali di metallo luccicante a protezione delle gambe. A ciascun lato della truppa si trovavano gruppi di ragazzi con tuniche e calzoni bianchi e cappe con stretti cappucci. Un uomo molto alto stava di fronte a tutti. Era veramente alto. Ed era anche imponente, aveva spalle e braccia che lo rendevano simile a un albero maestoso.

Ogni cosa sembrò fermarsi. Solo le piume si agitavano al vento producendo un sibilo. La madre si fece avanti tenendo Jerby per le manine.

— Guerriero — disse, così piano che Stavia riuscì appena a udirla.

— Signora — rispose cupo l’uomo.

Il suo nome era Michael ed era uno dei vice comandanti della guarnigione di Marthatown. Prima veniva il comandante Sandom, e sotto di lui c’erano Jander e Thales, poi veniva Michael… Michael, Stephon e Patroclo che comandavano le centurie. Stavia aveva incontrato Michael una o due volte durante i carnevali. Era uno degli uomini più belli che avesse mai visto, proprio come Morgot era una delle donne più belle che avesse mai incontrato. Quando i fratelli più vecchi di Stavia, Habby e Byram, avevano raggiunto i cinque anni entrambi erano stati portati da Michael. Beneda aveva detto che probabilmente anche Stavia era figlia di Michael, ma la bambina non lo aveva mai chiesto alla madre; non era una cosa da chiedere. Non era una cosa che si potesse neppure pensare.

— Guerriero, io ti consegno tuo figlio — disse Morgot, spingendo Jerby un passo avanti a lei. Jerby rimase là con le gambe leggermente divaricate e il labbro inferiore proteso, come faceva quando voleva piangere ma non poteva farlo. La sua piccola veste scintillava a causa delle placche che vi erano cucite sul petto. Gli stivali erano lavorati con pietre preziose e turchesi. Morgot aveva lavorato per cucire quegli stivali sera dopo sera, cucendo alla luce della candela, mentre Joshua passava l’ago dentro le pietre per lei, sussurrandole dolci parole di conforto.

Il guerriero abbassò lo sguardo su Jerby e questi gli rimandò l’occhiata a bocca aperta. Il guerriero si inginocchiò, mise il dito sulla fiaschetta del miele al suo fianco e poi lo passò sulle labbra di Jerby. — Io ti offro la dolcezza dell’onore — sussurrò, e il suo sussurro penetrò il silenzio della piazza come una spada, così acuto da non ferire anche se quelle parole facevano a brandelli l’animo delle astanti.

Jerby si leccò le labbra, poi sorrise e Michael posò la mano sulla spalla del bambino.

— Lo consegno nelle tue mani sino a quando avrà quindici anni — continuò Morgot. — Potrà tornare nel Paese delle Donne in occasione dei carnevali, due volte ogni anno fino a quell’epoca.

— Un guerriero sceglie il suo destino a quindici anni — tuonò ancora una volta Michael. Aveva una voce che si sarebbe potuta udire anche in un campo di battaglia.

— In quell’anno sceglierà — disse Morgot, facendosi indietro e lasciando solo Jerby.

Volgendosi il piccolo fece per dire: — Mamma — ma Michael lo aveva già sollevato sopra la sua testa, molto sopra i suoi occhi scuri e la bocca sorridente, sopra la sua dentatura bianca e le labbra che solevano inarcarsi crudelmente mentre urlava: — Guerrieri! Tenete mio figlio!

Dai guerrieri venne un grido selvaggio, una mescolanza di urla e richiami che si trasformò in un’esclamazione forte e ferma: — Telemaco, Telemaco, Telemaco — era un grido così forte da far rabbrividire. Telemaco era uno degli antichi, il figlio ideale, che aveva difeso l’onore di suo padre, almeno così aveva sempre detto Joshua. I guerrieri invocavano sempre Telemaco in occasioni come quella.

Stavia si accorse a malapena di quelle grida; uno dei giovani con la tunica stava guardando verso di lei, un ragazzo di tredici anni. Era uno sguardo ansioso, impaziente e accigliato; aveva qualcosa che la scosse, facendola sentire incerta e a disagio. In qualche modo il ragazzo le sembrava familiare come se lo avesse già visto, ma non ricordava dove ciò fosse avvenuto. Modestamente, come si addiceva a chiunque non avesse ancora quindici anni, abbassò lo sguardo. Quando tornò a spiarlo di sfuggita, tuttavia, il ragazzo stava ancora fissandola. Ci fu un altro rullar di tamburi e una salva di comandi. I guerrieri si mossero. Improvvisamente il ragazzo con la tunica bianca fu al suo fianco osservandola intensamente mentre la piazza si riempiva di guerrieri con le loro piume, gli stendardi che sventolavano alla brezza e i piedi che picchiavano sulle pietre.

— Come ti chiami? — domandò il giovane.

— Stavia — mormorò lei.

— Morgot è tua madre?

Lei assentì chiedendosi il motivo di quella domanda.

— Sono il figlio della sua amica Sylvia — disse lui. — Chernon.

Poi qualcuno lo prese per un braccio e il giovane fu trascinato nella confusione generale. Gli uomini si fecero strada marciando fino al cancello, coprendo il pianto di Jerby. Stavia poteva vedere la faccia rigata di lacrime del fratellino che spuntava da sopra la spalla del padre. I ragazzi con le tuniche bianche sciamarono attraverso il cancello come una marea e la Porta dei Figli dei Guerrieri si chiuse dietro di loro con un clangore che pose fine a ogni strepito.

Chernon aveva gli occhi del colore del miele, pensò Stavia. E i capelli che si abbinavano a quel colore anche se erano un poco più scuri. Le era sembrato familiare perché assomigliava a Beneda salvo che per la bocca. La bocca sembrava tumefatta. Gonfia. Come se qualcuno lo avesse colpito. Gli occhi e i capelli erano identici a quelli di Beneda, però. E pure la linea della mascella. Era lui il fratello che Beneda aveva menzionato! Perché non era mai venuto in visita alla sua famiglia, durante il carnevale? Perché Stavia non lo aveva mai visto?

Morgot e Sylvia si erano allontanate dalla piazza dirigendosi verso le scale che conducevano in cima al muro di cinta. Stavia salì dietro di loro per trovare un punto di osservazione dal quale guardare oltre il parapetto nel campo riservato alle parate fuori dalla città. La cerimonia del Figlio del Guerriero stava continuando oltre le mura.

La centuria di Michael arrivò marciando attraverso i cancelli, Jerby era sulle spalle di Michael e gli uomini lo salutavano. Mentre passavano le fanfare cominciarono a intonare una lunga serie di inni, i tamburi rullarono e le grandi campane vicino alla testa della parata presero a suonare. Ai piedi del monumento c’era la statua di due guerrieri in armatura, uno grande e l’altro piccolo: padre e figlio. Davanti a questo monumento Michael si inginocchiò posando a terra Jerby perché anche lui si inginocchiasse. Ci fu un momento di silenzio mentre tutti i guerrieri si levavano gli elmi e chinavano il capo, in seguito tamburi e corni e campane cominciarono nuovamente a suonare mentre la processione si avviava dirigendosi verso le baracche.

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