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Frederik Pohl: L'invasione degli uguali

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Frederik Pohl L'invasione degli uguali

L'invasione degli uguali: краткое содержание, описание и аннотация

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Quando viene arrestato dall’FBI con l’accusa di aver spiato un segretissimo laboratorio di ricerca, Dominic DeSota è sbalordito, perché lui in realtà in quel luogo non c’è mai stato. Ma quando gli vengono mostrate fotografie e impronte digitali che provano inconfutabilmente il suo crimine, la vicenda si trasforma in un incubo. Il fatto è inspiegabile, a meno che non si voglia credere alla più pazzesca delle ipotesi, e cioè che esista un altro Dominic DeSota, proveniente da... un mondo parallelo. Ma il problema è che ci sono tanti Dominic DeSota quante le infinite versioni di storia contenute nell’universo, e in una di queste qualcuno ha scoperto il segreto del paratempo, e con esso la possibilità di viaggiare tranquillamente da una dimensione parallela all’altra. Tuttavia, lo sfruttamento indiscriminato del paratempo non può sfuggire alla più semplice legge di compenetrazione, e infatti ogni trasferimento fra diverse linee temporali sta per raggiungere il punto critico, in un crescendo di situazioni bizzarre e affascinanti, dove la Casa Bianca sta addirittura per essere attaccata... dall’esercito degli Stati Uniti di una dimensione parallela. E allora qualcuno dovrà a tutti i costi escogitare una soluzione per evitare che l’intero universo precipiti nel caos. Con questo nuovo romanzo, Frederik Pohl conferma la sua inesauribile vena, e si lancia in un’emozionante avventura sul tema degli universi paralleli, piena di verve e di ironia.

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Da lì a qualche minuto si stancarono del mio occipite, o forse s’accorsero che cominciavo ad avere qualche difficoltà nel capire la Christophe. Comunque, presero a lavorarmi al plesso solare e alla colonna vertebrale. Dato che indossavo soltanto un costume da bagno non c’era nulla ad ammortizzare i colpi. Facevano male. Ma picchiarmi nelle vertebre doveva far male anche alle loro nocche, perché smisero di sogghignare con entusiasmo. Fecero un’altra pausa per estrarmi da sotto la scrivania.

— Vuole modificare la sua deposizione, Dominic?

— Non c’è niente da modificare, dannazione!

Il pugno che mi arrivò nello stomaco fu molto doloroso e mi fece schizzar fuori l’aria dai polmoni. Accecato dalle lacrime e piegato in due, non riuscii neppure a sentire quel che l’Agente Christophe stava dicendo.

A stento, quindi, decifrai la frase successiva: — … e nega ancora d’essere entrato nei Laboratori Daley, sabato tredici Agosto?

Rantolai: — No, aspettate… — Naturalmente non aspettarono. Venni colpito da un gancio al fegato e da un altro alla milza. — No, per favore! — gemetti, e la Christophe li fermò. Cercai di tirare un po’ d’aria nei polmoni. Quando ne ebbi il fiato, chiesi: — Vuole dire sabato scorso? Il tredici?

— Proprio sabato, Dominic. La notte in cui è penetrato nei Laboratori Daley.

Mi lasciai cadere sulla sedia. — Ma non posso esser stato io, Agente Christophe — dissi, — perché sabato scorso ero a New York, per il weekend. La mia fidanzata era con me. Lei potrà testimoniare. Onestamente, Agente Christophe! Non so chi sia quell’uomo, ma so che non posso essere io!

Be’, non m’illudevo che mi avrebbero ascoltato. Andai a sbattere nel muro un altro paio di volte prima che cominciassero a esser convinti… o meglio, più che convinti direi confusi. Tirarono giù dal letto Greta per metterla davanti alla mia dichiarazione, e quando lei disse che tutti quanti i membri del suo equipaggio si sarebbero ricordati di me non esitarono a telefonare anche a loro. Confermarono senza esitazioni. Non mi capitava spesso di andare a New York con Greta, e i suoi colleghi non avevano dubbi sulla data esatta.

Mi slegarono e mi lasciarono alzare. Uno di loro giunse perfino a prestarmi un vecchio impermeabile, da indossare sul costume da bagno per andare a casa nell’alba nebbiosa. Non posso dire che esibissero modi aggraziati, comunque. L’Agente Christophe, china sul fascicolo e intenta a masticarsi furiosamente le labbra, non si prese la briga di dirmi un’altra parola. Fu uno dei pugili a informarmi che potevo andarmene:

— Ma non lasci la città, DeSota. Niente viaggi a New York, capito? Resti dove la si possa trovare, se ce ne sarà bisogno.

— Ma ho provato la mia innocenza.

— DeSota — ringhiò. — Non ha provato niente. Noi abbiamo tutte le prove che ci servono. Foto della sorveglianza e impronte digitali. Più che abbastanza per sbatterla al fresco per cent’anni.

— Salvo il fatto che io non ero là — dissi, ma non aggiunsi altro, perché Nyla Christophe aveva rialzato gli occhi dall’incartamento e mi stava di nuovo confrontando con le foto.

Sarebbe stato perlomeno decente che mi mettessero a disposizione un’auto per tornare a casa, ma non avevo alcuna voglia di stare lì ancora per il tempo di farglielo notare. Non ci misi molto a trovare un taxi, del resto, e poi lo feci aspettare mentre entravo in casa a prendere il portafoglio. Venti dollari. Una giornata di paga. Ma non avevo mai pagato un tassista più volentieri.

Il Vice Capo Ispettore William Brzolyak, entrando nel Distretto del suo quartiere con una 45 automatica in mano, ha riferito d’aver ucciso la moglie e i cinque figli perché lo stavano guardando troppo fissamente. «Avrebbero dovuto lasciarmi in pace», ha dichiarato ai giornalisti.

I bagnanti che frequentano le spiagge del South Side si sono lamentati della presenza di strane palline nere, di materiale unto e appiccicoso, che renderebbero spiacevole la permanenza in acqua e costituirebbero un possibile rischio per la salute.

Il temporale estivo che ha riversato 20 cm di pioggia nei sobborghi di New York nel breve periodo di un quarto d’ora, è stato descritto dal portavoce dell’Ufficio Meteorologico degli S. U. come un «capriccio del clima». Sembra che fino a poco prima nella zona non fossero stati segnalati addensamenti nuvolosi, né aree di bassa pressione. I danni alle proprietà private nelle Contee di Queens e di Richmond sono stimati in molti milioni di dollari.

18 Agosto 1983
Ore 11,15 del mattino — Nicky DeSota

A un giorno di distanza la cosa non sembrava più così preoccupante. — Soltanto un errore d’identità — assicurai a Greta quando chiamò per salutarmi. Stava di nuovo partendo per New York.

— Anche le impronte digitali?

— Avanti, Greta! — sospirai, gettando uno sguardo al mio boss che mi stava tenendo d’occhio pensosamente, e un altro all’orologio da cui risultava che avevo un paio d’ore prima di presentarmi al tribunale del traffico. — Tu lo sai bene dov’ero quella notte.

— Si, naturalmente — disse, col tono di chi si chiede se al mondo c’è qualcosa di cui essere sicuri. Riflettei che quello doveva essere l’effetto su chi veniva interrogato dall’FBI. Potei sentirla sbadigliare. — Per l’amor di Dio — si lamentò. — Spero di farcela a non addormentarmi, in viaggio. Tutto per causa di quei rumori, stanotte.

— Quali rumori? — Io non avevo sentito niente, però ho un sonno a prova di bomba.

— Quella spece di ruggito, non te ne sei accorto? Come dei tuoni. Solo che non erano tuoni… scusami — aggiunse, e sentii che parlava a qualcun altro con la mano sul ricevitore. Poi: — Scusa, tesoro, ma hanno finito il carico. Devo andare. Ci vediamo fra un paio di giorni.

— Ti amo — dissi, ma ormai parlavo a un telefono riattaccato. Tuttavia Mr. Rupert stava facendo rotta su di me, così continuai in tono professionale: — Certo… è un piacere trattare con clienti come voi. Vi porterò senz’altro le quote, certo. I miei ossequi alla signora.

Riappesi, gli dedicai un sorriso blando e mi immersi con solerzia nei documenti che avevo sulla scrivania. Finivo sempre con l’accumularne a pacchi per i miei momenti di «tempo-interno». Quella però era roba da sbrigare in giornata, quote di pagamento che dovevo preparare per clienti residenti in sei diversi comuni. Dato che ogni comune ha le sue norme di sicurezza e antincendio — e di conseguenza diversi premi assicurativi — e poiché ciascun cliente aveva posizioni diverse in termini di credito bancario e modalità di pagamento, impiegai quelle due ore lavorando alla calcolatrice. Avevo sperato di potermi fermare in un ristorante sulla strada per Barrington, ma fui fortunato se riuscii ad acchiappare al volo un hot dog e un’aranciata a un incrocio. Arrivai là giusto due minuti prima delle 13,30 (ora segnata sul modulo del verbale) il che significava che ero in ritardo. Non in ritardo per l’udienza, intendo. Il giudice non c’era, e probabilmente non si sarebbe fatto vedere per un altro quarto d’ora, come ci si aspetta che faccia un giudice. Ma tutti gli altri avevano già consegnato il tagliando, ricevuto il numero d’ordine e preso posto in aula. Anche a me fu dato un numero. A quella sessione erano stati convocati 42 contravventori. Io ero il numero 42.

Andai a sedermi in fondo all’aula e cercai di fare un calcolo a occhio. Quarantadue casi. Diciamo, per essere ottimisti, una media di un minuto e mezzo a caso. Questo voleva dire che il giudice si sarebbe occupato di me da lì a un’ora o poco più. Per consolarmi pensai che non mi sarei comunque annoiato, visto che avevo la ventiquattr’ore piena di relazioni di credito da esaminare. Avrei potuto starmene seduto lì in ultima fila e dedicarmi alle mie carte.

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