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Frederik Pohl: L'invasione degli uguali

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Frederik Pohl L'invasione degli uguali

L'invasione degli uguali: краткое содержание, описание и аннотация

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Quando viene arrestato dall’FBI con l’accusa di aver spiato un segretissimo laboratorio di ricerca, Dominic DeSota è sbalordito, perché lui in realtà in quel luogo non c’è mai stato. Ma quando gli vengono mostrate fotografie e impronte digitali che provano inconfutabilmente il suo crimine, la vicenda si trasforma in un incubo. Il fatto è inspiegabile, a meno che non si voglia credere alla più pazzesca delle ipotesi, e cioè che esista un altro Dominic DeSota, proveniente da... un mondo parallelo. Ma il problema è che ci sono tanti Dominic DeSota quante le infinite versioni di storia contenute nell’universo, e in una di queste qualcuno ha scoperto il segreto del paratempo, e con esso la possibilità di viaggiare tranquillamente da una dimensione parallela all’altra. Tuttavia, lo sfruttamento indiscriminato del paratempo non può sfuggire alla più semplice legge di compenetrazione, e infatti ogni trasferimento fra diverse linee temporali sta per raggiungere il punto critico, in un crescendo di situazioni bizzarre e affascinanti, dove la Casa Bianca sta addirittura per essere attaccata... dall’esercito degli Stati Uniti di una dimensione parallela. E allora qualcuno dovrà a tutti i costi escogitare una soluzione per evitare che l’intero universo precipiti nel caos. Con questo nuovo romanzo, Frederik Pohl conferma la sua inesauribile vena, e si lancia in un’emozionante avventura sul tema degli universi paralleli, piena di verve e di ironia.

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Più o meno come stava accadendo a me.

Comunque, lei entrò. Prima apparve un tipo muscoloso che tenne rispettosamente aperta la porta, poi l’Agente Capo Christophe, poi la donnetta grassoccia, poi un altro tipo muscoloso che richiuse. Lei lasciò scorrere su di me uno sguardo astratto: ah, sì, ecco alcuni mobili fra cui uno a due gambe. Ma io la fissai con — potete esserne certi — molta più attenzione. Nyla Christophe era d’altronde un bell’esemplare di un particolare tipo di donna. Il tipo alto e atletico. Aveva occhi azzurro chiaro e capelli tirati indietro e uniti in una coda di cavallo. Nel procedere teneva le mani unite dietro la schiena, stile ammiraglio inglese sul ponte di un vascello a vela. E dava ordini come un ammiraglio. Ai due scagnozzi: — Legatelo. — Alla donna grassoccia che ansando sciorinava pratiche e taccuini sulla scrivania: — Scrivi: diciassette Agosto millenovecentottantatré. Testo del colloquio dell’Agente Capo N. Christophe con Dominic DeSota. — E a me:

— Niente nervosismi inutili, DeSota. Si limiti a dirmi la verità, rispondendo a tutte le domande, e ce la caveremo in venti minuti. Prima il giuramento.

Questo era un brutto segno. Esser messo sotto giuramento significava che stavano facendo sul serio. Ciò che avrei detto loro non sarebbe stato considerato alla stregua di informazioni raccolte durante un’indagine. Si proponevano di usarlo come prova a mio carico. La stenografa si alzò e mi porse i due libri, recitando la formula che avrei dovuto ripetere con lei. Io poggiai la destra fra la Bibbia e il Corano, il mignolo sulla prima e il pollice sul secondo, quindi giurai di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità, in nome di Dio il Misericordioso, l’Onnisciente, il Vendicatore.

— Bene, Dominic — disse la Christophe, quando gli scagnozzi mi legarono i polsi. Gettò uno sguardo al suo orologio come se realmente pensasse che saremmo stati fuori di lì in venti minuti. — Adesso mi dica per quale motivo ha cercato di penetrare nei Laboratori Daley.

Io gorgogliai: — Penetrare dove?

— Nei Laboratori Daley — disse pazientemente. — Cosa cercava?

— Non so di cosa sta parlando — ansimai.

Quella non era la risposta che l’Agente Christophe desiderava sentire. — Oh, merda, Dominic — brontolò. — Speravo che fosse più ragionevole su questi particolari. Vuol darmi a bere che non ha mai sentito parlare dei Laboratori Daley?

— Naturalmente no. — Tutti sapevano cos’erano i Laboratori Daley, o almeno sapevano che si trattava di un posto top secret per ricerche militari, nel sudovest di Chicago. C’ero passato accanto dozzine di volte. — Però, signora Christophe…

Agente Christophe.

— Agente Christophe, sul serio non capisco cosa intende dire. Non sono mai andato ai Laboratori Daley. E sono sicurissimo di non aver mai cercato di penetrarci con lo scasso.

— Oh, dolce Fatima! — gemette lei, togliendosi per la prima volta le mani da dietro la schiena. Quella fu una sorpresa. L’Agente Capo Christophe avrebbe avuto qualche difficoltà a giurare nel modo prescritto, se qualcuno gliel’avesse chiesto. Non aveva i pollici.

Era tutt’altro che insolito vedere gente senza pollici, naturalmente. Era una sentenza standard per cose come ad esempio il furto recidivo, il borseggio, e talvolta l’adulterio o un incidente stradale colposo che fosse causa di morte. Ma era abbastanza eccezionale, pensai, incontrare un agente dell’FBI coi pollici amputati.

Dovetti fare uno sforzo per distrarmi dalle mani a quattro dita della donna, ma m’ero accorto che le corde mi facevano male ai polsi. — Agente Christophe — dissi. Cominciavo a sentirmi indignato. — Non so chi le abbia dato questa notizia, ma è semplicemente fuori discussione. Non c’è nessuna possibilità che io sia stato visto intorno ai Laboratori Daley, da un mese a questa parte o forse più.

Lei gettò un’occhiata ai due tipi forzuti, poi tornò a fissare me. — Nessuna possibilità — ripeté pensosamente.

— La benché minima possibilità — dissi con fermezza.

— La benché minima possibilità — mi fece eco. Tese una mano di lato.

Uno degli scagnozzi fu svelto a poggiarle sul palmo un fascicolo. Il primo dei documenti allegati era una fotografia. Lei controllò con un’occhiata che non fosse capovolta, poi la protese in modo che potessi vederla chiaramente. Raffigurava un uomo, davanti alla porta di un edificio.

L’uomo ero io.

Ero io sì, anche se indossavo un abito che non avevo mai posseduto, una sorta di tuta a un pezzo unico tipo quella che Winston Churchill rese famosa nella seconda guerra mondiale. Ma costui ero io, certo. — Questa è stata scattata — disse la voce piatta della Christophe, — da una macchina fotografica della sorveglianza ai Laboratori Daley, tre notti fa. E anche queste altre. — Me le sciorinò davanti rapidamente. Non tutte erano state fatte dalla stessa macchina, poiché gli sfondi erano diversi. Ma in primo piano c’era sempre la faccia che io conoscevo grazie allo specchio, e l’abito che non conoscevo affatto. — E queste — disse, tirando fuori dal fascicolo una larga scheda, — sono le sue impronte digitali, prelevate dall’ufficio investigativo del Northwestern College quando lei frequentava i corsi. Le altre, sotto, sono state trovate ai Laboratori.

Sotto la fila delle dieci impronte-campione ce n’erano soltanto quattro, le uniche, supposi, che avessero rilevato sulla scena del crimine. Ma non c’era bisogno della lente per constatare che le spirali e i solchi del medio e del pollice destro, e di ambedue gli indici, corrispondevano abbastanza bene con quelli delle impronte di riferimento.

— Ma deve trattarsi di un falso! — ansimai.

— Questo significa che insiste nella sua dichiarazione? — chiese la Christophe, incredula.

— Certo che insisto! Non sono mai stato là! Mai, le dico!

— Oh, all’inferno, Dominic — sospirò lei. — Credevo che avesse un po’ più di buonsenso. — Intrecciò le sue mani senza pollici e lasciò vagare lo sguardo sul pavimento. Non diede alcun segnale ai suoi aiutanti. Non ne aveva bisogno. I due scagnozzi sapevano benissimo quel che sarebbe accaduto adesso, mentre si muovevano verso di me. Lo sapevo anch’io.

Non mi picchiarono eccessivamente. Avrete sentito le voci che circolano su come vengono interrogati i sospetti, di regola. E rispetto alla regola si può dire che non mi misero un dito addosso. Penso che non si tratti di voci esagerate, d’altronde, perché una volta stesi un’ipoteca per un barista che in seguito venne arrestato in base al sospetto d’aver venduto superalcolici a un uomo al di sotto dei trentacinque anni. Non ebbe più bisogno d’ipotecare niente dopo quella faccenda. Ciò che la vedova mi sussurrò circa le condizioni del corpo che le era stato restituito, al funerale, bastò per rovinarmi la digestione.

Io non ebbi un trattamento di quel genere.

Sbattei nelle pareti, rotolai qua e là. Una cosa dolorosa. Ed è dolorosa il doppio quando vi hanno legato perché non possiate restituire i colpi — be’, non li restituireste comunque, non se sapeste quel che è meglio per voi — né possiate tentare di parare con le braccia i pugni che vi arrivano nell’occipite. Ero completamente suonato ancor prima che avessero finito, anche se si trattò per lo più di colpi dati a mano aperta o studiati per non lasciare lividi o graffi visibili. Dopo un po’ fecero pausa e mi tirarono in piedi davanti all’Agente Christophe.

— Questo nella fotografia è lei, Dominic, è così?

— E come faccio a saperlo? Lui… ouch!… sembra me, forse.

— E le impronte digitali?

— Non so un accidenti di quelle impronte digitali.

— Oh, all’inferno, continuate, ragazzi.

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