Frederik Pohl - L'invasione degli uguali

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L'invasione degli uguali: краткое содержание, описание и аннотация

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Quando viene arrestato dall’FBI con l’accusa di aver spiato un segretissimo laboratorio di ricerca, Dominic DeSota è sbalordito, perché lui in realtà in quel luogo non c’è mai stato. Ma quando gli vengono mostrate fotografie e impronte digitali che provano inconfutabilmente il suo crimine, la vicenda si trasforma in un incubo. Il fatto è inspiegabile, a meno che non si voglia credere alla più pazzesca delle ipotesi, e cioè che esista un altro Dominic DeSota, proveniente da... un mondo parallelo. Ma il problema è che ci sono tanti Dominic DeSota quante le infinite versioni di storia contenute nell’universo, e in una di queste qualcuno ha scoperto il segreto del paratempo, e con esso la possibilità di viaggiare tranquillamente da una dimensione parallela all’altra. Tuttavia, lo sfruttamento indiscriminato del paratempo non può sfuggire alla più semplice legge di compenetrazione, e infatti ogni trasferimento fra diverse linee temporali sta per raggiungere il punto critico, in un crescendo di situazioni bizzarre e affascinanti, dove la Casa Bianca sta addirittura per essere attaccata... dall’esercito degli Stati Uniti di una dimensione parallela. E allora qualcuno dovrà a tutti i costi escogitare una soluzione per evitare che l’intero universo precipiti nel caos.
Con questo nuovo romanzo, Frederik Pohl conferma la sua inesauribile vena, e si lancia in un’emozionante avventura sul tema degli universi paralleli, piena di verve e di ironia.

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Adesso era tutto diverso. Il sole arroventava il pagliolato su cui poggiavo i piedi. Il vento del deserto strappava veli di sabbia dalla sommità dello scavo gettandomela negli occhi. Il Generale Facciaditopo Magruder era lì che mi aspettava e andava avanti e indietro accanto alla sua auto di servizio. Mi fece salire con un grugnito, il veicolo si mise in moto e lasciandoci alle spalle una nuvola di sabbia risalimmo fin sulla piccola altura. Giunto lì potei constatare che i bulldozer avevano spianato via perfino le tracce lasciate dagli elicotteri. Qualcuno si stava dando da fare per evitare che i satelliti-spia russi vedessero qualcosa di diverso dalla mascherata dello scavo archeologico.

Una cosa era la stessa di quella notte. L’ansia che avevo addosso.

Non avevo mai provato in precedenza quel genere d’ansia, perché la paura di essere colpito o di dover ammazzare qualcun altro è una cosa fisica, e l’autocontrollo fisico può togliervela dai piedi, almeno per un po’. Ciò di cui avevo paura adesso non era un’ipotesi. Era un fatto. Se il senatore era fuggito, in questo doveva aver avuto un certo aiuto dalla divisa da fatica che indossava. Ed ero stato io a dargli quella divisa.

Magruder, seduto accanto a me, non si fece uscire di bocca una parola. Non mi guardò neppure. Si limitò a tenere lo sguardo fuori dal finestrino, a labbra serrate. Non potevo biasimarlo: in quella faccenda era in gioco la testa di tutti quanti, compresa la sua. Restai immobile come una statua e mi aggrappai al sedile per evitare, se avessimo preso una buca, di finirgli addosso.

Sperare che si dimenticasse della mia presenza era inutile, purtroppo.

Ci fermammo in un’altra nuvola di sabbia e Magruder balzò fuori. Poi si volse e il suo sguardo s’indurì. Ciò che gli aveva fatto indurire lo sguardo era la vista della sergente Sambok e del tecnico civile, il Dr. Willard, assistente dello scomparso Dr. Douglas. Li aveva lasciati lì mentre scendeva a prendermi personalmente, con null’altro da fare che sudare sotto il sole. E a vederli sembravano sul punto di soccombere a un’insolazione. Ma questi non erano gli umili particolari a cui il Generale prestava attenzione, visto che non era possibile dar ordini al sole o metterlo a rapporto, e dunque non restava che ignorarlo sprezzantemente. Diede un calcio a un cespo d’erba bufala, sputò, e mosse un pollice verso il rimorchio adibito a ufficio. — Dentro, voi tre — ordinò.

All’interno del veicolo non si stava meglio che fuori. C’era più fresco, ma non tanto per l’aria condizionata quanto per il gelo che sprigionava dalla faccia di Magruder. Sapeva fissare i subordinati con occhi che sembravano appena tolti dal freezer. Ero troppo impensierito dai miei guai per preoccuparmi anche della sergente Sambok, e meno ancora del Dr. Willard che dopotutto era un civile. Tutta la sua colpa stava nel fatto che non era intervenuto allorché, mentre si trovava ai pannelli di comando accanto a Douglas, l’alter-ego che si spacciava per me era arrivato con la carabina a tracolla, aveva spinto Douglas attraverso il portale e poi era saltato dietro di lui. Willard non avrebbe comunque potuto far molto, poiché (cosa che Magruder riteneva però irrilevante) era fisicamente piuttosto esile, e come tutti i civili non portava armi.

Per Nyla Sambok le cose stavano diversamente. Rispose alle domande di Magruder con voce rigida e sincera. — Sissignore, il senatore era affidato alla mia custodia. Sissignore, gli ho permesso di sopraffarmi e disarmarmi. Sissignore, ho agito con negligenza. Nossignore, non ho nessuna scusante. — Ma che fosse veramente sincera ne dubitavo, poiché nel suo tono e nei suoi occhi lessi che doveva esser accaduto qualcosa di più di ciò che aveva ammesso.

Una volta avevo fatto parte di una corte marziale, per giudicare un capitano reo d’aver violentato un’ufficialessa sul percorso d’addestramento ginnico, a tarda sera. L’uomo, convinto sostenitore della superiorità del sesso maschile, l’aveva sfidata a una gara a ostacoli, e lei, offesa, aveva raccolto la sfida. Subito dopo il passaggio del reticolato il capitano aveva voluto dimostrarle la sua superiorità in un altro modo. L’espressione dell’ufficialessa era uguale a quella che adesso vedevo in Nyla: colma di risentimento e furia, ma più contro se stessa che verso il suo aggressore.

Naturalmente non poteva esser successo niente del genere fra lei e l’altro DeSota. O no? Magruder s’era però voltato a fissare me, e dimenticai i guai della sergente Sambok per pensare ai miei.

Neppure novanta minuti prima ero stato seduto io sullo scranno del giudice, davanti al soldato Dormeyer. Il yo-yo va su e giù.

C’era un’ottima ragione per cui lo chiamavano Facciaditopo: fronte sfuggente, mento aguzzo, un lungo naso appuntito, e a rendere più vivace la somiglianza due baffetti orizzontali dalle punte aguzze in cui c’era più brillantina che nei suoi capelli. Sedeva teso in avanti come se avesse voglia di mordere e ci guardava a occhi stretti, tamburellando con le dita su un bracciolo della poltroncina. Ci lasciò lì in piedi ad attendere finché non ebbe finito di ruminare quel che stava ruminando.

Poi disse: — Ci sono alcune cose che dovete sapere.

Continuammo ad aspettare.

— La prima cosa — ci informò, — è che quella squinzia che qui hanno mandato alla Casa Bianca ha dato una risposta al messaggio del Presidente Brown, e di conseguenza passeremo all’effettuazione della Fase Due.

Fece un’altra lunga pausa.

— La seconda cosa è che io avevo richiesto un elicottero HU-70 da trasporto truppe, per trasferire con la necessaria sicurezza i prigionieri. Ma mi è stato negato, perché qualcuno aveva paura che un satellite russo lo vedesse, e al suo posto hanno mandato due schifosi frullini da uova.

Seguitammo a lasciarci raggelare dal suo sguardo, ma con un lieve filo di speranza in più: stava forse dicendo che avevamo un qualche genere di scusante? Perché, se avessero mandato l’elicottero più adatto, i prigionieri avrebbero potuto starci tutti e l’incidente non sarebbe mai avvenuto. Non si trattava che di una speranza esile, tuttavia era rafforzata dal fatto ovvio che Magruder non intendeva trovar scuse per noi: stava mettendo insieme la storia di copertura con cui proteggere prima di tutto la sua testa.

— Guardate di non fraintendermi — sbottò. — Voi tre siete ancora nella merda fino al collo. Lei, DeSota, perché gli ha dato una divisa. Taccia! — m’interruppe mentre accampavo una spiegazione. — Lei, sergente, per essersi lasciata disarmare. E lei, Williard, per aver permesso a quel figlio di puttana di Douglas di almanaccare coi comandi del portale senza un ufficiale presente. Senza parlare del fatto che non avete mosso un dito per impedire a quei due di passare oltre.

— Generale Magruder — disse disperatamente Willard, — io sono qui come consulente civile, e se esistono delle accuse a mio carico ho il diritto di udirle in presenza di un avvocato. Chiedo di…

— Lei non chiede niente — lo corresse Magruder. — Quello che ora farà, Willard, è di offrirsi volontario insieme a questi due, i quali da adesso sono assegnati al Campo Bolling.

— Il Campo Bolling? — gemette Willard. — Ma è a Washington, Generale. E io non…

Magruder non gli intimò di tacere. Non ne ebbe bisogno: si limitò a fissarlo e l’obiezione si congelò sulla lingua di Willard.

All’esterno si udi avvicinarsi il rombo dei rotori di un elicottero. Quando Magruder ci precedette alla porta e la apri lo vidi atterrare. Il portello scivolò lentamente di lato, il pilota alzò un pollice verso di noi.

— Questo è per voi — disse Magruder. — Vi porterà all’aeroporto, dove un MATS C-III sta aspettando che arriviate. La Fase Due scatterà al più presto.

Quando l’anziano signore, sbirciando fuori dalla porta, si fu accertato che sulle scale non c’erano vicini curiosi o rumori sospetti, scese rapidamente a controllare la cassetta della posta. La preziosa busta marrone con l’assegno dell’Assistenza Sociale era lì. Se la mise in tasca, ciabattò svelto su per le scale, e appena dentro diede tre mandate al catenaccio della serratura. Adesso avrebbe potuto passare qualche serata allegra al Seven Eleven, pagare i conti del droghiere e comprarsi quelle eleganti scarpe nere in vetrina da Macy’s. Non s’accorse del lieve sospiro di… qualcosa… che lo sfiorò. Ma quando si volse constatò stupefatto che il suo appartamento era stato saccheggiato! Nello spazio di un minuto il televisore era scomparso, il contenuto degli armadi scaraventato al suolo, le poltrone sventrate, e la cucina era un massacro di stoviglie e cibarie rovesciate dappertutto. Con un gemito aprì la porta della camera: la sua preziosa collezione di stampe era stata fatta a pezzi… e c’era qualcuno steso di traverso sul letto. Un uomo. Aveva la gola tagliata, gli occhi sbarrati, un’espressione di spavento e d’orrore incollata sul volto… e quel volto era il suo.

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