Frederik Pohl - L'invasione degli uguali

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L'invasione degli uguali: краткое содержание, описание и аннотация

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Quando viene arrestato dall’FBI con l’accusa di aver spiato un segretissimo laboratorio di ricerca, Dominic DeSota è sbalordito, perché lui in realtà in quel luogo non c’è mai stato. Ma quando gli vengono mostrate fotografie e impronte digitali che provano inconfutabilmente il suo crimine, la vicenda si trasforma in un incubo. Il fatto è inspiegabile, a meno che non si voglia credere alla più pazzesca delle ipotesi, e cioè che esista un altro Dominic DeSota, proveniente da... un mondo parallelo. Ma il problema è che ci sono tanti Dominic DeSota quante le infinite versioni di storia contenute nell’universo, e in una di queste qualcuno ha scoperto il segreto del paratempo, e con esso la possibilità di viaggiare tranquillamente da una dimensione parallela all’altra. Tuttavia, lo sfruttamento indiscriminato del paratempo non può sfuggire alla più semplice legge di compenetrazione, e infatti ogni trasferimento fra diverse linee temporali sta per raggiungere il punto critico, in un crescendo di situazioni bizzarre e affascinanti, dove la Casa Bianca sta addirittura per essere attaccata... dall’esercito degli Stati Uniti di una dimensione parallela. E allora qualcuno dovrà a tutti i costi escogitare una soluzione per evitare che l’intero universo precipiti nel caos.
Con questo nuovo romanzo, Frederik Pohl conferma la sua inesauribile vena, e si lancia in un’emozionante avventura sul tema degli universi paralleli, piena di verve e di ironia.

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Quella era stata un’ottima mattinata di lavoro, dunque, e l’unica cosa seccante era che Bill Selikovitz aveva avuto più di quel che avevamo avuto noialtri. Adesso s’era accigliato per qualcosa che l’ordinanza gli stava mormorando all’orecchio, e quando rialzò lo sguardo fu verso di me. — Dom? Una mia pattuglia ha appena pescato uno dei tuoi ragazzi. Stava facendo ritorno alla base a novanta miglia all’ora, su un’auto rubata, e con un’auto della polizia di Albuquerque all’inseguimento. Il soldato semplice Dormeyer. Se l’era squagliata in città senza permesso, e sembra che abbia tentato d’ammazzare un civile.

La persona che volevo era la sergente Sambok, perché conosceva l’intero distaccamento. Non potei farla chiamare: era sull’altro lato del portale, di scorta ai prigionieri, e a causa di non so che disfunzione tecnica il portale era stato disattivato.

La persona che ebbi fu perciò la mia aiutante, la sottotenente Mariel, fresca del corso OCS e utile all’incirca quanto lo sarebbe una seconda coda a una vacca. Mi stava aspettando in ufficio. — Che cosa… cosa dobbiamo fare adesso? — disse, muovendosi verso la porta, e si ricordò di aggiungere: — Signore?

— Dobbiamo risolvere questa faccenda — brontolai. — Dannazione, sottotenente! Quel che volevo è che Dormeyer fosse riportato indietro senza alzare tanta polvere!

— Non sono riusciti a trovarlo — si giustificò, a disagio. — Ho mandato i soldati semplici Weimar e Milton all’indirizzo di casa sua, ma là non c’era. E… lei sa, signore, che la città è sottosopra, data la presenza delle nostre truppe che piantonano tutti i punti strategici, mentre ancora nessuno sa se il nemico sta per…

— Si risparmi le scuse, sottotenente — la zittii. Avevo dimenticato che Dormeyer era un ragazzo del posto, nella nostra linea temporale. Questo era male. Si suppone che un comandante conosca le sue truppe. — Si suppone che un aiutante di campo conosca le sue truppe — le dissi. — Dormeyer ha fatto qualcosa di sospetto, prima di squagliarsela?

— Nossignore! Non che io sappia, signore. Un mese fa ha avuto sette giorni di licenza, signore… sua moglie era stata uccisa in un incidente d’auto. Io ho suggerito di non inserirlo nella truppa d’assalto, visto che aveva saltato l’addestramento, ma lei disse di adibirlo a…

— Me lo porti qui — dissi. — Voglio parlare con lui. No, aspetti un minuto… prima mi faccia parlare col poliziotto.

Questa non mi ci voleva. Non intendevo rischiare che mi ritirassero l’encomio. E non volevo che il vecchio Generale Facciaditopo Magruder sollevasse un vespaio di interrogativi solo perché un figlio d’un cane di un soldato semplice s’era messo nei guai. L’unica cosa con cui potevo consolarmi era che Bill Selikovitz aveva rimesso l’intera faccenda nelle mie mani. Non ci sarebbe stato niente di scritto…

Purché avessi potuto manovrarla a dovere. E quando vidi l’agente Ortiz seppi che forse ce l’avrei fatta. Era un polizitto anzianotto, grande e grosso, con un berrettuccio da Orso Yoghi che sembrava essergli cresciuto in capo. Entrò nell’ufficio guardandosi attorno come fosse stato il suo. — Mai stato qui prima d’ora, maggiore — fu il suo saluto. — Penso si renda conto che ci sono un sacco di domande che ci facciamo, su quello che voialtri ragazzi state combinando, eh?

Se non altro non s’era precipitato dentro sputando fuoco e chiedendo che gli venisse consegnato il criminale. Gli strinsi la mano e non gliela mollai, intanto che gli parlavo da uomo a uomo: — L’avevo immaginato, sicuro. Ma capisce anche lei che quelli che si danno d’attorno, come voi e me, hanno da eseguire gli ordini che vengono dall’alto, senza stare a domandare perché e percome. Gradisce un sigaro?

Quando ne prese due vidi che la chiacchierata sarebbe andata nella direzione giusta. M’ero già preparato a sentirgli tirare in ballo le leggi locali, la sua giurisdizione, o altri argomenti che mi avrebbero impedito di provvedere con le mie mani a quel disgraziato imbecille di Dormeyer. Non ebbi bisogno di preoccuparmi oltre. Ortiz era assuefatto a trattare con chi teneva le redini del potere. S’era fatto vent’anni nell’esercito, aveva visto di tutto e aveva imparato a prendere le cose come venivano. Disse d’aver ricevuto una chiamata radio mentre pattugliava in auto un quartiere di Albuquerque che le nostre truppe non s’erano prese la briga di piantonare, e che s’era precipitato all’abitazione di Mr. e Mrs. Herbert Dingman. Entrato lì aveva trovato che i due erano fuori casa. C’era invece la loro figlia Gloria in stato chiaramente isterico, mentre il fidanzato della ragazza, Mr. William Penderby, giaceva svenuto sul letto di lei. In mutande. A quanto pareva, il soldato semplice Dormeyer aveva cercato di strangolarlo. Non si trattava comunque di una faccenda seria. Ciò che aveva fatto incavolare l’agente Ortiz era che, tornando fuori dalla porta, aveva trovato Dormeyer al volante dell’auto della ragazza, e ancor prima d’aver capito che era lui l’uomo da arrestare l’aveva visto dare gas e filarsela a rotta di collo verso la Base. No, brontolò poi, non aveva voglia di ciondolare attorno mentre io facevo il terzo grado al delinquente. Solo, non avevo nulla in contrario se dava un colpo di telefono allo sceriffo per fargli sapere dove si trovava?

Certo che non avevo nulla in contrario. Non gli diedi una pacca sulle spalle, ma lo accompagnai in corridoio e ordinai alla sottotenente Mariel di condurlo a un telefono, giusto intanto che rientrava portando con sé Dormeyer.

Dovevo concedergli che non era affatto un cattivo soldato. A fargli scavalcare il recinto era stato quello che si potrebbe chiamare un momentaneo impulso di pazzia. Rimase sull’attenti e rispose a tutte le mie domande brevemente e con chiarezza. Sì, si rendeva conto d’essersi messo in AWOL. Le ragioni? Be’, era ancora molto scosso a causa della morte di sua moglie, e qualcuno gli aveva detto che qui c’era un’esatta copia di ciascuno di noi della nostra linea temporale: cosi lui era andato a cercare la copia della giovane donna… e il fatto di trovarla lì, sempre viva, e con quell’individuo nel suo letto, era stato superiore alle sue capacità di sopportazione. No, non aveva strangolato quel tipo. Gloria l’aveva trascinato via da lì, e lui s’era lasciato spingere fuori di casa come rimbecillito; poi s’era seduto in macchina e aveva pianto. Quando da lì a poco l’agente Ortiz venne a dirmi che la vittima non lamentava più di un’escoriazione al collo, cominciai a rivedere un po’ di luce.

Diedi una lavata di capo a Dormeyer e lo rimandai in servizio. Stavolta mollai una pacca sulle spalle all’agente Ortiz, poi feci avvicinare con un cenno uno degli MP di Selikovitz. — Accompagna l’Ufficiale Ortiz alla sua auto, e fagli fare il pieno al nostro distributore. La polizia locale dev’essere ben certa che noialtri siamo amici, e non invasori. — E ad Ortiz, con un largo sorriso: — Vuole un buon consiglio, Mr. Ortiz? Avrà sentito alla TV da dove veniamo noialtri. E lei è il primo di voi che mette piede nella zona che abbiamo occupata, così sta per vedersi arrivare addosso un sacco di gente della TV e dei giornali. Non permetta che la abbiano gratis! — Lo guardai andar via con sollievo, e finalmente potei tornare alla nostra situazione.

Fu come una secchiata d’acqua gelida in faccia.

Il portale era di nuovo in funzione. Attraverso di esso ci avevano già mandato numerosi dispacci, e il più rovente era per me: dovevo immediatamente mettermi a rapporto da Tac-Cinque. Uno dei nostri prigionieri, l’altro Dominic DeSota, era scappato in qualche altra linea temporale, nessuno sapeva quale, e aveva portato con sé il più prezioso dei nostri scienziati, il dottor Douglas.

L’ultima volta che avevo oltrepassato il portale era accaduto in piena notte. Ci eravamo incolonnati sulle passerelle stese sulla sabbia, con la sola luce dei fari dei camion che ci avevano portati lì, rabbrividendo per il freddo della notte nel deserto, silenziosi, e in preda a un’ansiosa tensione. Sull’altura poco distante i grossi elicotteri da trasporto atterravano l’uno dopo l’altro, praticamente al buio, e da essi scendevano militari e tecnici che alla luce delle torce elettriche andavano a darsi da fare con le apparecchiature. Nessuno di noi era sicuro di quel che ci saremmo trovati ad affrontare.

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