Robert Heinlein - Guerra nell'infinito

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Don Harvey è nato nello spazio, a bordo di un’astronave in caduta libera oltre l’orbita degli asteroidi, da padre terrestre e da madre di cittadinanza venusiana, si ritrova senza patria quando le colonie di Venere decidono di ribellarsi allo sfruttamento della Federazione Terrestre. È la storia della prima guerra cosmica, sullo sfondo di una grande trasformazione del sistema solare, in orbita intorno alla luna si sta costruendo il Cercatore di Orizzonti. La nave interstellare che porterà uomini e donne in un viaggio di centinaia d’anni, generazioni e generazioni su un mondo artificiale, verso altri sistemi stellari; su Marte e su Venere, gli indigeni intelligenti che i terrestri hanno trovato al loro arrivo sui pianeti gemelli ricordano epoche remotissime, nelle quali la Terra, Marte, Venere e i satelliti di Giove facevano parte di un grandioso Impero… Don Harvey, strappato al suoi studi, alla vita che conosceva, dallo scoppio della guerra, sfugge miracolosamente alla distruzione di Circum-Terra, la stazione spaziale che collega la Terra a Luna City e ai pianeti, e finisce su Venere, tra le paludi e le giungle del pianeta nebbioso, braccato da tutti i belligeranti perche, suo malgrado, egli è latore di un messaggio così importante che, da solo, potrebbe cambiare la storia del Sistema Solare.

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Una manovra accurata, e ben realizzata. Per arrivarci, era necessario un computo estremamente preciso dei tempi, delle orbite, del consumo di carburante, e delle condizioni meteorologiche dell’alta atmosfera; tutto questo si riduceva a un’elaborata serie di calcoli matematici, che potevano essere realizzati anche da un cervello elettronico. Quello che i calcoli matematici e i cervelli elettronici non potevano dare — e che era necessario per il buon esito dell’impresa — era il virtuosismo dei piloti, che erano tra i migliori esistenti, e anche tra i più coraggiosi; ma l’intera operazione faceva risparmiare denaro. Una volta compiuto il carico del traghetto, dopo l’appuntamento con l’incrociatore, era necessario accendere i razzi per qualche istante, frenando la velocità orbitale, in senso contrario all’orbita, e subito il traghetto sarebbe precipitato in un’orbita più bassa, che finalmente avrebbe incontrato l’atmosfera, permettendo al pilota di compiere un ‘tuffo’ in caduta libera verso la superficie, scivolando come un aliante, annullando la tremenda velocità inerziale con il continuo abbassamento nell’atmosfera sempre più densa e naturalmente frenante. Anche per questo, il pilota doveva essere un artista autentico, perché doveva, nello stesso tempo, frenare la velocità inerziale e conservarla per raggiungere la destinazione desiderata. Un traghetto che fosse atterrato nelle giungle o nelle paludi, a mille miglia di distanza da un astroporto, non avrebbe mai più viaggiato, anche se il pilota e i passeggeri fossero riusciti ad allontanarsi a piedi, vivi, dal punto di atterraggio; cosa già di per sé difficile.

Don lasciò l’incrociatore a bordo del Cyrus Buchanan , un piccolo scafo aerodinamico di meno di trecento piedi di apertura d’ala. Da un oblò, Don assisté al rendez-vous orbitale, osservando il lento avvicinamento nello spazio ai portelli stagni; notò che i tre globi della Interplanet Lines erano stati cancellati frettolosamente, e inadeguatamente, da un nuovo strato di vernice, sulla prua; sopra era stato scritto, con la vernice: MEDIA GUARDIA — REPUBBLICA DI VENERE. Quell’emblema cancellato gli fece comprendere l’esistenza e l’entità della rivoluzione con maggiore intensità di quanto lo stesso attacco a Circum-Terra, e la conseguente esplosione nel cosmo, avessero potuto fare. L’Interplanet era forte come il governo… alcuni dicevano che la compagnia era il governo. Ora, degli audaci ribelli avevano osato l’impensabile… avevano espropriato le navi della grande compagnia di trasporto e comunicazioni, avevano cancellato quei tre globi orgogliosi, il simbolo della Triplanetaria…

Don sentì in quel momento i venti gelidi della storia soffiare raggelanti intorno a lui. McMasters aveva ragione. Ora lui credeva, senza più ombra di dubbio, che nessuna astronave sarebbe più partita da Venere per il rosso pianeta Marte.

Quando venne il suo turno, attraversò, prendendo la spinta dalle pareti, i doppi portelli stagni, e sempre in caduta libera si trovò a bordo del Cyrus Buchanan. Lo steward di bordo indossava ancora la divisa dell’Interplanet, ma l’emblema della compagnia era stato staccato, e dei galloni dorati a V erano stati cuciti sulle maniche. E con questo mutamento, era venuto anche un mutamento di modi; l’uomo trattò i passeggeri con efficienza, ma senza l’ossequio a pagamento della persona a metà strada tra il funzionario e il servitore.

La discesa fu lunga, tediosa, e torrida, come lo è sempre una decelerazione in caduta libera attraverso l’atmosfera. Dopo un’ora dal distacco incontrarono le prime propaggini rarefatte della stratosfera; ben presto Don e gli altri passeggeri si sentirono schiacciare da un peso quasi completo, e affondarono nei lettucci antigravitazionali; poi il pilota fece alzare il traghetto, decidendo evidentemente che il Cyrus Buchanan si stava surriscaldando, e lo fece impennare tangenzialmente, in caduta libera. Questo accadde più volte, gravità e caduta libera, pressione e imponderabilità, come un sasso che rimbalza sulla superficie di un lago, un’altalena che dava la nausea e stordiva, un cosmico battello tra i flutti della costa e degli scogli, un’esperienza scomoda e tremendamente faticosa.

Don non fece caso alla scomodità. Ormai era ritornato uno spaziale; il suo stomaco era indifferente alle improvvise accelerazioni, e perfino ai vuoti di gravità. Dapprima provò una grande eccitazione, per essere ritornato tra le nubi di Venere; ma dopo qualche tempo l’eccitazione cedette il passo alla noia. Dopo molto tempo, fu bruscamente risvegliato da un cambiamento di moto; il traghetto stava scendendo nell’ultima discesa, e il pilota stava osservando col radar lo spazio davanti a sé, preparandosi all’atterraggio. Poi il Cyrus Buchanan toccò terra, sussultò, e vibrò a lungo nell’acqua che scorreva sotto lo scafo. Finalmente rallentò, e si fermò. Dopo una considerevole attesa, quello che era diventato un battello fu trainato fino alla sua banchina di arrivo. Lo steward si alzò in piedi, e gridò:

«Nuova Londra! Repubblica di Venere! Preparate i vostri documenti.»

CAPITOLO VIII

«LE VOLPI HANNO TANE E GLI UCCELLI DELL’ARIA HANNO NIDI…»

Matteo, VIII: 20

L’immediato proposito di Don era quello di chiedere la strada dell’ufficio della I.T. T., dove avrebbe potuto compilare un radiogramma per i suoi genitori, ma non poté sbarcare immediatamente; prima i passeggeri dovevano sottoporsi all’esame dei documenti, e a un esame fisico e a un interrogatorio. Don si trovò, diverse ore dopo, ancora seduto fuori dell’ufficio della sicurezza, in attesa di venire interrogato. Il suo status irregolare lo aveva messo all’ultimo posto della fila.

Oltre ad essere affamato, stanco, e annoiato, aveva le braccia indolenzite… erano coperte, dalla spalla al polso, da forellini d’iniezioni, prodotti dagli innumerevoli test d’immunità alle innumerevoli malattie bizzarre e orrende, e agli infiniti parassiti fungoidi che provocavano innominabili infezioni, un’intera gamma di morbi alieni esistenti sul secondo pianeta del sistema solare. Avendo un tempo vissuto lassù, egli conservava un’immunità completa dagli strani pericoli di Venere… una cosa ottima, pensò, perché altrimenti avrebbe dovuto trascorrere settimane e settimane in quarantena, settimane durante le quali gli sarebbero stati iniettati tutti gli antidoti e i vaccini senza i quali un organismo terrestre non avrebbe potuto sopravvivere neppure un mese all’atmosfera umida del pianeta delle nebbie. Si stava massaggiando le braccia, e si stava già domandando se non fosse giunto il momento per cominciare a protestare con una certa violenza, quando la porta si aprì e venne chiamato il suo nome.

Lui entrò subito. Un ufficiale della Media Guardia era seduto dietro una scrivania, e stava osservando i documenti di Don.

«Donald Harvey?»

«Sì, signore.»

«Francamente, il suo caso mi rende perplesso. Non abbiamo nessun inconveniente nell’identificarla; le sue impronte coincidono con quelle registrate durante il suo precedente soggiorno. Ma lei non è un cittadino.»

«Certo che lo sono! Mia madre è nata qui.»

«Uhm…» L’ufficiale tamburellò sul piano della scrivania con il pollice e il medio. «Io non sono un avvocato. Capisco quel che lei vuole dimostrare, ma, dopotutto, quando sua madre è nata, non esisteva nessuna nazione chiamata Repubblica di Venere. A me sembra che lei sia un caso unico, con i precedenti ancora da stabilire.»

«E allora in quale posizione mi trovo?» disse lentamente Don.

«Non lo so. Non sono neppure certo che lei abbia il diritto legale di trovarsi qui.»

«Ma io non voglio restare qui! Sono soltanto di passaggio.»

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