«Oh, sono infinitamente dolente…»
«Per quale motivo?»
«Lei giunge dopo la data fino alla quale si poteva cambiare legalmente il denaro della Federazione con valuta della Repubblica.»
«Ma non ho avuto la possibilità di venire prima! Sono appena arrivato.»
«Sono molto dolente. Purtroppo non sono io a fare le leggi.»
«Ma che cosa posso fare?»
Il banchiere chiuse gli occhi, poi li riaprì.
«In questo mondo imperfetto, è necessario avere del denaro. Lei ha qualcosa da offrire in pegno?»
«Uh, penso di no. Solo i miei vestiti, e questi bagagli.»
«Non ha preziosi? Gioielli? Oggetti di valore?»
«Be’, ho un anello, ma non credo che possa valere molto.»
«Me lo faccia vedere.»
Don sfilò l’anello dal dito, l’anello che il dottor Jefferson gli aveva spedito per posta, e lo diede al cinese. Il banchiere sistemò sull’occhio una lente da orologiaio, ed esaminò l’anello.
«Temo che lei abbia ragione. Non si tratta neppure di vera ambra… soltanto un’imitazione plastica. Però… un simbolo di pegno legherà l’uomo onesto come una catena. Sono pronto ad anticiparle cinquanta crediti, su questo pegno.»
Don riprese l’anello, ed esitò. L’oggettino non poteva valere neppure un decimo di quella somma… e il suo stomaco gli ricordava che la carne aveva dei bisogni impellenti. Eppure… sua madre aveva speso almeno il doppio di quella somma, per assicurarsi che quell’anello gli giungesse (o meglio la carta che lo avvolgeva, si corresse) e il dottor Jefferson era morto, per un motivo che doveva avere, apparentemente, qualche relazione con quell’insignificante souvenir.
Se lo rimise al dito.
«Non sarebbe onesto. Penso che farò meglio a cercare un lavoro.»
«Un uomo d’orgoglio. C’è sempre lavoro da trovare in una città nuova e crescente; buona fortuna. Quando avrà trovato un impiego, torni qui, e potremo concederle un anticipo sugli introiti futuri.» Il banchiere infilò la mano tra le pieghe della sua veste, e tirò fuori una banconota da un credito. «Ma prima mangi… uno stomaco pieno rende fermo il giudizio. Mi faccia l’onore di accettare questo, come nostro benvenuto al nuovo ospite.»
Il suo orgoglio diceva di no; il suo stomaco diceva SÌ! Don prese il credito, e disse:
«Uh, grazie! È infinitamente gentile da parte sua. Lo restituirò alla prima occasione.»
«Piuttosto, quando potrà, lo anticipi a qualche altro fratello che ne abbia bisogno.» Il banchiere sfiorò un bottone che si trovava sulla scrivania, poi si alzò in piedi.
Don lo salutò, e uscì.
C’era un uomo appoggiato pigramente al muro, accanto alla porta della banca. Lasciò che Don facesse un paio di passi avanti, poi lo seguì, ma Don non gli prestò alcuna attenzione, essendo completamente assorbito dalle proprie disavventure. Lentamente, dentro di lui si stava facendo strada la comprensione che per molto tempo era rimasta nascosta, ai confini del subcosciente. Aveva rimandato quella consapevolezza di giorno in giorno, vivendo in una specie di confuso stupore, lasciandosi portare dagli eventi senza mai accettarli completamente; ma adesso non era più possibile ingannarsi. Il suo mondo, quel mondo che aveva conosciuto e nel quale era nato e cresciuto, un mondo fatto di pianeti e di navi siderali e di una Federazione unita nel sistema solare, era andato in mille pezzi; come un giocattolo delicato, si era frantumato di fronte a lui, senza che lui se ne rendesse ben conto, e non esisteva alcun modo per rimetterlo assieme, né per farlo ritornare almeno in parte com’era stato. Per tutta la vita aveva vissuto nella sicurezza; non aveva mai sperimentato emotivamente, nella propria persona, i fatti storici fondamentali, che si riducevano a una sola realtà: e cioè che il genere umano vive sempre sull’orlo del pericolo, lottando con le unghie e coi denti, combattendo per la sopravvivenza, senza nulla ad aiutarlo, se non il suo fisico e la sua intelligenza… a volte riuscendo a vincere, ma molto più spesso perdendo… e morendo.
Ma senza arrendersi, mai. Percorrendo cento metri di una strada fangosa, sotto un cielo livido, coperto da un’eterna coltre, Don cominciò a maturare, a rendersi consapevole della situazione, e a prenderne il controllo. Lui si trovava a più di cento milioni di miglia dal luogo in cui i suoi genitori avrebbero voluto che fosse. Non aveva alcun modo immediato per fare sapere ai suoi genitori dov’era, né si trattava semplicemente di aspettare per due settimane… era al verde, e non poteva pagare l’alta tariffa richiesta.
Al verde, affamato, e senza un luogo per dormire… senza amici, neppure un conoscente… salvo, naturalmente, voler considerare «Sir Isaac», ma, per quello che ne sapeva, il suo amico drago avrebbe potuto trovarsi sull’altra faccia del pianeta. Certamente, non abbastanza vicino per aiutarlo a risolvere il problema della cena!
D’altra parte, la storia insegnava — e l’esperienza ricordava — che altri uomini, prima di lui, si erano trovati in situazioni ancora peggiori. Lui era giovane… ma più di esperienza che di età. Essere giovani o adulti è un concetto relativo, dipendente dalle realtà storielle dell’epoca, e dall’ambiente; in un altro tempo, un ragazzo dell’età di Don sarebbe già stato adulto, esperto, un pioniere già sposato e con una famiglia da mantenere, o un rivoluzionario, o perfino un esploratore di mondi nuovi. In un mondo nel quale la sicurezza era stata quasi un dogma, dove chi apparteneva alle classi privilegiate poteva vivere nella più assoluta tranquillità, perfino nel lusso, Don non aveva avuto modo di vivere certe esperienze; ma questo non gli impediva, potenzialmente, di risolvere i problemi. Questo era un punto che lui non conosceva razionalmente, ma che intuiva, sia pure confusamente.
Decise di risolvere il problema più pressante… quello della cena… immediatamente, spendendo la banconota che il banchiere gli aveva dato. Ricordò di avere visto un ristorante, a poca distanza, e si fermò di colpo; il gesto fu così brusco che un uomo si scontrò con lui.
Don disse: «Mi scusi,» e notò che l’uomo era un altro cinese… lo notò senza sorpresa, perché una buona metà degli uomini ingaggiati come operai, e in realtà stivati come schiavi a bordo delle astronavi, e venduti e rivenduti come schiavi dai padroni delle fattorie venusiane, nei primi tempi della colonizzazione di Venere, erano stati degli orientali. Gli parve che il viso dell’uomo fosse familiare… un altro passeggero del Nautilus ? Poi ricordò di averlo visto sulla banchina, all’inizio della strada.
«Colpa mia,» rispose l’uomo. «Dovrei guardare dove vado. Mi dispiace di averla urtata.» Sorrise, con aria molto accattivante.
«Nulla di male,» replicò Don. «Ma in realtà, la colpa è stata mia. Ho deciso improvvisamente di voltarmi e tornare indietro.»
«Tornare alla banca?»
«Uh?»
«Non è affar mio, lo so, ma l’ho vista uscire dalla banca.»
«Francamente,» rispose Don, «Non stavo tornando alla banca. Sto cercando un ristorante, e ricordo di averne visto uno più indietro.»
L’uomo guardò i bagagli di Don.
«È arrivato adesso?»
«Sono appena sceso dal Nautilus. »
«Lei non vorrà andare certamente in quel ristorante… a meno che non abbia del denaro da cacciare via. Si tratta esclusivamente di una vistosa trappola per turisti.»
Don pensò alla solitaria banconota da un credito che aveva in tasca, e si preoccupò.
«Uh, dove si può trovare qualcosa da mangiare? Un buon ristorante a buon mercato?»
L’uomo lo prese per il braccio.
«Venga, glielo mostrerò io. Un posticino vicino all’acqua, laggiù, e il padrone è mio cugino.»
«Oh, non voglio darle disturbo!»
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