Così, cosa gli restava? La Terra. No! Lui non aveva parenti sulla Terra, per lo meno nessun parente così stretto da dargli ospitalità o aiuto. E, dato che il dottor Jefferson era scomparso, oppure morto, lui non aveva degli amici più anziani di lui… e non trovava verosimile chiedere aiuto ai suoi compagni della scuola-fattoria. Forse, però, avrebbe potuto ritornare alla scuola, con la coda tra le gambe…
No! Era assurdo. Lui era cresciuto, e lo sapeva. La scuola-fattoria non era più per lui. Erano accadute molte cose, nel breve spazio di un giorno; lui aveva imparato, e presto. L’idea era assurda.
Dentro di lui, in un angolo oscuro della sua mente, c’era un motivo più forte e più profondo: il servizio di sicurezza di Nuova Chicago aveva fatto di lui uno straniero, un alieno; lui non avrebbe mai potuto ritornare, perché la Terra non era più la sua patria.
Non c’era scelta, si disse: doveva andare su Venere. Lassù troverò almeno gente che conosco… o che almeno mio padre e mia madre conoscevano. Mi guarderò un po’ intorno, e troverò un modo, prima o poi, per raggiungere Marte; è la decisione migliore. E, presa questa decisione, finalmente, riuscì a provare perfino un vago senso di soddisfazione.
L’altoparlante dell’ufficio chiamò: « Sergente McMasters! » Il sergente posò le carte, e si avvicinò all’ intercom , abbassando lo schermo d’isolamento che impediva a chiunque altro di udire la conversazione. Dopo qualche minuto tolse il contatto, e si rivolse a Don:
«Bene, ragazzo, il Vecchio ha risolto il problema del tuo status ; tu sei un ‘profugo’.»
«Uh?»
«Quando Venere è diventata una repubblica indipendente, ti è sprofondata la terra sotto i piedi. Tu non hai più cittadinanza, da nessuna parte. Così il Vecchio dice di rispedirti nel luogo dal quale vieni… cioè la Terra.»
Don si alzò in piedi, e raddrizzò le spalle.
«Io non ritornerò sulla Terra.»
«No, eh?» disse McMasters, in tono blando. «Be’, allora mettiti comodo, e stai tranquillo. Quando verrà il momento, ti porteremo di peso.» Ricominciò a servire le carte.
Don non si mise a sedere.
«Mi stia a sentire… ho cambiato idea. Se non posso andare subito su Marte, allora andrò su Venere.»
McMasters si fermò, e si voltò a guardarlo.
«Quando il commodoro Higgins prende una decisione, quella è, e quella rimane. Mike, porta via questa primadonna e sbattilo insieme agli altri terricoli… a calci, se necessario.»
«Ma…»
Mike si alzò in piedi.
«Avanti, tu.»
Don si ritrovò spinto in una sala gremita di sentimenti feriti. I terrestri… o, come venivano generalmente chiamati dagli spaziali e dai coloni planetari, i «terricoli»… non avevano con loro né guardie, né coloniali; perciò davano libero sfogo alle loro opinioni sugli eventi.
«…infame offesa! Dovremmo bombardare tutti i villaggi, raderli al suolo e rendere la superficie del maledetto pianeta un deserto radioattivo!»
«…secondo me, dovremmo nominare una commissione, i cui componenti andranno da quel loro ufficiale comandante, e gli diranno con estrema fermezza…»
«Te l’avevo detto io , che non avremmo dovuto venire!»
«Negoziare? Sarebbe un grave segno di debolezza.»
«Ma non si rende conto che la guerra è già finita? Caro amico, questa stazione spaziale non è soltanto un grande centro di smistamento, e un grande deposito merci; è la principale stazione di controllo dei missili guidati. Da qui, possono bombardare tutte le città della Terra, senza che nessuno possa fare qualcosa per fermarli!»
Don notò quest’ultima osservazione, rifletté per qualche istante su di essa, e abbandonò dopo qualche tempo l’argomento. Lui non era abituato a pensare in termini di tattiche militari; fino a quel momento, il significato strategico di un attacco a Circum-Terra non lo aveva colpito. Aveva pensato a esso in termini puramente personali, di semplice convenienza.
Sarebbero realmente arrivati fino a quel punto? Avrebbero bombardato le città della Federazione, cancellandole dalla carta geografica? Certo, i coloniali avevano un’infinità di motivi di risentimento, ma… Naturalmente, era accaduta una cosa simile, una volta, nel passato, ma quella era storia; ora la gente era più civile. Lo era davvero?
«Harvey! Donald Harvey!»
Tutti si voltarono, a quella chiamata. Un Guardiano di Venere era in piedi sulla porta del compartimento, e stava gridando il suo nome. Don rispose:
«Sono qui.»
«Venga con me.»
Don raccolse i suoi bagagli, e seguì il soldato nell’esiguo corridoio; aspettò che il Guardiano avesse rinchiuso la porta.
«Dove mi porta 9»
«Il comandante vuole vederla.» Diede un’occhiata ai bagagli di Don. «Non c’è bisogno di portare quella roba.»
«Uh, credo che sia meglio tenerli con me.»
«Faccia come vuole. Ma non porti quella roba nell’ufficio del comandante.» Scortò Don attraverso due ponti, dove la «gravità» era più sensibile, e si fermò davanti a una porta presidiata da una sentinella. «Ecco l’uomo che il Vecchio ha mandato a cercare… Harvey.»
«Entri subito.»
Don obbedì. La sala era vasta e ricca di decorazioni; era stato l’ufficio del direttore dell’albergo cosmico. Ora la sala era occupata da un uomo in uniforme, un uomo ancora giovane, benché i capelli fossero spruzzati di grigio. L’uomo sollevò lo sguardo, all’ingresso di Don; Don notò che l’uomo pareva deciso e vigile, ma stanco.
«Donald Harvey?»
«Sì, signore.» Don estrasse i suoi documenti.
Il comandante rifiutò, con un gesto spazientito, i documenti.
«Li ho già visti. Harvey, lei è un grattacapo, per me. Ho già preso una decisione sul suo caso una volta.»
Don non rispose; e l’altro continuò.
«Ora, a quanto sembra, io devo riaprire il caso. Lei conosce un venusiano che si chiama…» Sibilò il nome.
«Un po’,» rispose Don. «Siamo stati compagni di compartimento, a bordo del Cammino della Gloria. »
«Uhm… mi domando se lei non l’abbia fatto di proposito.»
«Che cosa? Perché? E come avrei potuto?»
«Avrebbe potuto essere stato predisposto… lei è giovane, ma non troppo. E non sarebbe la prima volta che un giovane viene usato come spia.»
Don arrossì.
«Lei mi crede una spia, signore?»
«No, è soltanto una delle possibilità che io devo prendere in considerazione. Nessun comandante militare gradisce che su di lui vengano esercitate delle pressioni politiche, Harvey, ma non c’è un solo militare che non debba cedere a esse. Io ho ceduto. Lei non tornerà sulla Terra; lei viene con noi su Venere.» Si alzò in piedi. «Però l’avverto; se la sua presenza qui è deliberata, se lei è una spia che mi è stata messa alle costole, non basteranno tutti i draghi di Venere a salvarle la pelle.» Si girò verso un intercom , premette alcuni tasti, e aspettò qualche istante; poi disse, «Ditegli che il suo amico è qui, e che mi sono occupato io della faccenda.» Si rivolse a Don. «Prenda lei la comunicazione.»
Dopo qualche istante, Don udì una calda voce britannica. «Don, mio caro ragazzo, è lì?»
«Sì, Sir Isaac.»
La voce del drago tradì un grande sollievo.
«Quando ho chiesto di lei, ho scoperto che qualcuno intendeva incredibilmente rispedirla in quell’orribile luogo che abbiamo appena lasciato. Ho spiegato loro che era stato commesso un errore. Ho paura di essere stato particolarmente fermo sull’argomento. Shucks!»
«Adesso è tutto a posto, Sir Isaac. Grazie.»
«Non è nulla; io le sono ancora debitore. Venga a farmi visita, non appena le sarà possibile. Lo farà, vero?»
«Oh, certo!»
«Grazie, e auguri! Shucks!»
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