Edgar Pangborn - La compagnia della gloria

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La compagnia della gloria

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La barca che Garth si era accinto a costruire poteva essere solo una dignitosa zattera con una vela, una deriva, un timone, una cabina. I nostri utensili e le nostre conoscenze non ci permettevano di modellare le lunghe curve grandiose di una vera nave. Non importava… dopo le prime prove capimmo che avrebbe fatto il suo dovere. Bosco diceva che non sarebbe rimasta a galla. La varammo, molto incompleta — era poco più di una piattaforma — per risolvere alcuni problemi del timone e della deriva, e parecchie volte, anche, prima che Garth fosse soddisfatto dell’assetto dell’albero; ma Bosco non era convinto. Non avrebbe retto il peso della cabina, diceva, né di tutta quella gente.

Ma il vero guaio, Bosco ce l’aveva dentro. Non voleva andare da nessuna parte, almeno non con noi. Finalmente ci pensò Angus, dopo che il resto della Compagnia, Bosco compreso, aveva perso tempo e fatica a rimuginarci sopra: sapete bene, a parlottarne in segreto negli angoli, a fare gli offesi e così via. Una sera, Angus sedette vicino a Bosco (faceva ancora abbastanza caldo, e mangiavamo in giardino, qualche volta) e disse: — Tu non ci tieni davvero a venire all’ovest con noi, vero, Bosco?

— Per essere proprio sincero, — disse Bosco, — non ci tengo. Ma non volevo abbandonarvi.

— Preferiamo lasciarti andare, piuttosto che portarti dove non vuoi, — disse Angus, e aggiunse con quel suo tono serio, come se lo pensasse davvero: — Sentiremo la tua mancanza, naturalmente.

O forse lo pensava davvero. Forse ci vuole un Aristocratico per metterci abbastanza burro, mai troppo, però, così non capisci mai se c’è o non c’è. Per esempio, egli non imburrava mai Demetrios, perché lo amava, e neppure me, perché sapeva che me ne sarei accorta. Forse di tanto in tanto con l’impaziente Nod, per calmarlo, e con Garth (meno sveglio ma più suscettibile), solo perché ci teneva che Garth fosse contento: ditemi una ragione migliore, se la conoscete.

— Visto che la metti così e non mi serbi rancore, credo che farò meglio ad andare, — disse Bosco. — Vedi, è per quella faccenda dei Nomadi di Gammo. Se sono andati all’ovest da quella città di cui ci ha parlato T.S., non possono essere arrivati lontano. L’oceano e le terre spopolate non attirano i nomadi, perché gli piace trovarsi in mezzo alla gente tra un giro e l’altro, vendere qualcosa e divertirsi. E comunque, ho l’idea fissa di trovare il Capo Gammo. Neanche tanto per via che potrebbe essere mio padre, ma perché gli devo una battuta. Anche se adesso deve avere passato i settanta, sarà sempre carogna lo stesso, e dovrò… beh, pestarlo un po’. Naturalmente non ne farò niente, se non sarà capace di tenermi testa.

Perciò la mattina dopo, sul presto, Bosco si congedò, ricevendo piccoli doni da tutti, e con l’arco che gli aveva fatto Garth, e un paio di sandali di daino tagliati e annodati da Nod, e così via: tutti gli demmo qualcosa. Mentre tutti gli altri erano occupati a fargli gli auguri, io sussurrai a Frankie di andare a dare un’occhiata agli utensili, e lui andò, e tornò indietro a dirmi che era tutto in ordine, perché?; anzi era un po’ irritato con me, sebbene mi amasse tanto e mi ami ancora (Oh, adesso è venuto fuori!) — Cosa credevi, Wynken? — disse il mio Frankie, il mio Cervello della Banda. — (Ma non per la vostra astuzia; per la mia, la mia.) — Oh, beh, — gli dissi. — Così.

Soltanto a sera, quando Bosco se ne era andato da un pezzo per tornare al suo modo di vivere, Angus si accorse che gli mancava l’orologio.

— Devo averlo lasciato sulla Roccia di Billy quando sono andato a nuotare ieri, — disse Angus, pur sapendo che non era mai così distratto. Avevamo una piccola spiaggia, che quell’oceano apparentemente pigro ci aveva riempito di sabbia, e Angus amava correre a tuffarsi là, anche quando l’aria era diventata troppo fredda per tutti noi. Vicino al bordo della spiaggia, la statua di un signore chiamato William Penn era caduta, oppure era stata spinta giù: quella era una zona di terremoti. Adesso il vecchio è là sdraiato e guarda il cielo con benevola perplessità.

Andai con Angus, per aiutarlo a cercare. Egli passò la mano sul piedestallo, io frugai qua e là; quando rinunciammo, egli si sedette e rise. — Oh, quel maledetto bastardo! — disse, e rise ancora, ma lo faceva per nascondere il fatto che piangeva… Angus piange abbastanza facilmente; credo che sia meglio, piuttosto che covare un’infelicità frustrata. E io capii che era perché Demetrios, quel pomeriggio, s’era lasciato sfuggire una parola durante un attacco della malattia. Voleva dire, o almeno Angus l’aveva interpretato così, che Demetrios sentiva che non sarebbe vissuto per partire con noi, quando la barca fosse stata pronta.

— Lui ha vissuto in due mondi, — dissi io. — E ne ha avuto piacere.

— Tu vedi dentro di me. — (Beh, la natura umana è il mio paese… devo vedere dove vado.) Poi Angus si batté un pugno sul ginocchio, angosciato. — Due mondi… perché non tre? Perché non può vivere tanto da vedere il terzo mondo che vuole per noi, la repubblica? È il suo sogno: tutti noi ci limitiamo a seguire alla cieca quello che lui vuole dire… tranne te, forse.

— Stai cercando la giustizia nella natura?

— Una volta sì, — disse lui. E smise di piangere. — Ha detto, vedi, quando i dolori l’avevano lasciato, ma era esausto, stava quasi per addormentarsi, credo, e forse non sapeva che ero seduto vicino a lui… Ha mormorato qualcosa a proposito di Mosè.

— Forse voleva dire solo che tutti i profeti sono come Mosè, perché la terra promessa è sempre un po’ più lontana. — Non mi rispose, ma mi prese la mano e se la portò alla gola, una sua abitudine, e così io sentii le pulsazioni del suo buon sangue. — La terra promessa, quando ci si arriva, dà sempre qualche grattacapo.

— E non lo so, amore? Ma a lui piacerebbe occuparsene. Gli piacerebbe vedere… ah, vado a fare un tuffo. — Saltò in piedi e si liberò dei vestiti. — Vieni con me?

Era freddo ma ci andai lo stesso… perché lui è un bel pezzo di ragazzo così caro, immagino, con i capelli brunorossicci e la sua figura da angelo Raffaele, e non volevo lasciarlo. Ci tuffammo e nuotammo un po’, e ci asciugammo nella brezza, e facemmo l’amore. Solo nei modi che Angus permise, perché aveva paura per me.

È vero che per una nana sarebbe un rischio, senza chirurghi in giro per praticare un taglio cesareo. Eppure avevo avuto un parto facile con la bambina di Nod — era morta di malattia — e avevo corso lo stesso rischio con quella gravidanza, perché ci hanno detto che i nani possono avere figli normali. Ma Nod e io non abbiamo, in proporzione le gambe corte e la testa grossa non potremmo essere qualcosa di nuovo? Vorrei che fosse così… e persino Demetrios, poi, un pomeriggio in cui il suo male gli dava un po’ di tregua, non disse di augurarsi che la Repubblica potesse avere molta gente come Nod e me? E non cominciammo subito a pensare a case dove grandi e piccoli potessero vivere insieme e starci comodi?

Era così minuscola, la mia bambina che visse tre mesi, e di proporzioni così perfette…

Avevo latte per lei, in abbondanza. La uccise la difterite… una delle malattie sconfitte nel Tempo Antico che non tornerà più.

L’aria selvaggia di Nod è bella e accende in me una scintilla, ma mi piace anche la gentilezza. Angus è dolce. Eve, che era stata Solitaire, ci sorrise senza malizia, nella sua giovane maternità, quando tornammo a casa, più tranquilli e consolati.

Nella prima parte dell’inverno lavorammo sulla nostra nave, seguendo le istruzioni di Garth. Nella Penn meridionale, se eravamo lì, l’inverno porta aria più fredda per qualche mese, ma senza quelle gelate tremende che ci aspettavamo a Lowelltown in dicembre e gennaio. Piove molto, non nevica quasi mai. Non sapevamo cosa adoperare per la vela; Demetrios ci avvertì che le coperte di lana non sarebbero andate bene, perché assorbivano l’umidità invece di respingerla. Pensammo di mandare qualcuno per la strada da cui eravamo arrivati, fino all’ultima cittadina che avevamo passato, per comprare stoffa di lino; ma era un posto piccolo e misero, e probabilmente non aveva niente da offrire, e Angus non voleva dividere la Compagnia.

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