Edgar Pangborn - La compagnia della gloria
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- Название:La compagnia della gloria
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- Издательство:Nord
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- Год:1977
- Город:Milano
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Solitaire si lavò la faccia.
Ci sono cento modi per farlo: sbrigativo, superficiale, trascurato, meticoloso, straziato. Solitaire prese la pezzuola bagnata e la saponetta delicata (che Demetrios e il Professore avevano comprata a caro prezzo in un negozio frequentato quasi esclusivamente da clienti dalle tuniche bianche; ma il costo non era chiaramente comprensibile a Solitaire, anche se se ne informava, diligentemente; l’addizione era un mistero, la sottrazione era sconosciuta, e il danaro era qualcosa che di solito avevano gli altri) e si tolse il sudiciume dal viso e dalle mani.
Quasi tutto se lo era messo addosso apposta, per mimetizzarsi. Sebbene lavorasse con impegno, onestamente, per Madam Estelle, aveva cura della sua carnagione, perché i suoi amanti ci tenevano; e forse perché ci teneva anche lei? Chissà? La Madam cercava di affidarle solo i lavori come rifare i letti, spazzare, spolverare, che non la esponevano alla fuliggine e al grasso e alle macchie, e di solito c’era sempre in giro Babette, pronta a intervenire con rumorosa competenza se Solitaire aveva bisogno di aiuto; e per questa ragione Solitaire non piangeva e non si arrabbiava quasi mai in loro presenza.
Lo specchio a mano era doppio: un manufatto del Tempo Antico, e perfetto. Da una delle due parti ingrandiva, per una magia che a Solitaire sembrava meravigliosa. Amava quell’oggetto perché glielo aveva trovato il Professore, egli non poteva dire dove. Solitaire si spazzolò i capelli neri, fra crepitii e scintille e luccichii, con un altro tesoro del Tempo Antico, una spazzola di vera plastica, dalla linea ariosa, leggerissima. Dicono che il Tempo Antico non tornerà più.
Era come se fosse sola, a prepararsi per uno svago serale, o semplicemente a osservare la sua bellezza, se pure era possibile farlo con distacco. Si calò il camice da schiava sui fianchi e si accarezzò i seni — rotondi, immaturi come boccioli, con un’ombra calda intorno al capezzolo — sollevandoli nella luce delle candele.
Tagliò un segmento a forma di rombo dalla stoffa rossa, esaminandolo teneramente come se fosse una creatura viva, poi lo sbatté sul tavolino e lo trapassò con un affondo brutale delle forbici, in modo che il metallo rimanesse piantato eretto nel legno. Socchiuse gli occhi per la sofferenza, allargò le mani, per dire: Ecco com’è stato… se vi interessa. Poi silenziosamente, da buona massaia, muovendosi senz’altro addosso che le rozze mutandine, spinse di nuovo il tavolino contro la parete, con le forbici ancora piantate. (Durante la notte — una delle sue notti buone — sarebbe sgattaiolata da sola giù dal letto e avrebbe finito di rimettere ordine, riponendo le forbici e gettando il pezzo di stoffa trafitto nel cestino.) Aprì l’armadio, appese le mutandine e contemplò il suo guardaroba.
Il liuto del Professore restò in silenzio fino a quando lei scelse, tra i cinque o sei vestiti, una lunga vestaglia rossocupo, con la cintura e la bordatura gialla, e splendidi bottoni d’osso, d’un candore di panna. Demetrios e il Professore avevano unito i guadagni di oltre un mese per comprarglielo. Degli altri abiti, uno solo era da passeggio: un paio di calzoni e giacca, color foglia secca, che l’avrebbero fatta sembrare un ragazzo, se non fosse stato per il suo modo di camminare. Il liuto esultò. Era una delle notti buone di Solitaire, ed era il momento di far l’amore prima di cena.
Lei rimase in piedi, nuda, perché i suoi amanti potessero conoscerla con gli occhi, con il braccio sinistro che sottolineava i seni, la mano destra protesa per avvertire che non era ancora il momento. Demetrios guardava lo stelo snello delle gambe allargarsi nell’anfora dei fianchi, il busto, il triangolo di mezzanotte, e quell’improvviso fiore di rosa e di oscurità, in cima, che era la sua faccia saggia e triste. Lì la ragione dimorava insieme alla follia, ed entrambe erano Solitaire.
Il vento del temporale soffiava dalla finestra aperta. Con un movimento della mano, il Professore si offrì di chiuderla, ma Solitaire scosse il capo. Infilò la vestaglia lasciandola aperta sulla carne calda e lucente. Disse a Demetrios: — Solitaire è qui.
Egli la sollevò sul letto e la prese con la lentezza e la delicatezza necessarie. Sopra la casa e la città turbata, oltre il casalingo, giubilante sforzo del suo corpo, udiva il precipitarsi desiderato del vento e della pioggia.
Spettava a Solitaire di scegliere quale dei suoi amanti poteva entrare in lei, e quando. Per lei il temporale era così intenso e sconvolgente — certe ombre ributtanti che si radunavano come porci selvatici al limitare di una foresta — che lo sopportava di rado. Demetrios pensava al proprio corpo come a una struttura protettiva per il fuoco centrale. Il liuto del Professore mormorava, tenero e rassicurante. Solitaire protese una mano per toccare il braccio del Professore, perché quando faceva così (aveva detto lei una volta), un po’ della forza che guidava la sua musica sulle corde fluiva in lei e cambiava il turbamento in un canto.
Ella gridò nell’eccesso del piacere-sofferenza, e rimase distesa, serena. Dopo un po’ disse (perché, da quella bambina che non era, Solitaire amava sempre di più una storia quando la sentiva ripetere, e si infastidiva se c’erano cambiamenti, anche nelle minime parole): — Adesso Demetrios racconterà al Professore e a Solitaire la storia di Anya, la Guardiana d’Oche.
CAPITOLO 5
ELLA ERA BUONA COME L’ORO
Certe oche credono proprio a tutto.
DEMETRIOS.— Anya era principessa di Peranelios, tanto tempo fa, quando i maghi erano più importanti persino dei re. I re potevano imporre le tasse e fare tagliare le teste, ma i maghi potevano far svanire in un istante le persone, re compresi. Si pensava che svanire involontariamente fosse una cosa spiacevole, anche se, quando la cosa veniva fatta bene, il soggetto non tornava mai indietro a raccontarla; i peraneliotici erano dell’opinione che avrebbero preferito non scomparire, zzzip!, così, lasciando un piccolo vuoto grigio o lavanda sporco che sfrigolava un po’ e poi spariva anche quello… fsssp!, così. Di tanto in tanto, qualche persona scomparsa ritornava a Peranelios raccontando cose incredibili; diceva di essersi ritrovata in Cina o a Brooklyn (e noi sappiamo che questi posti non esistono) e di aver dovuto chiedere passaggi fino a casa. Se costoro diventavano noiosi con i loro problemi, di solito si mandava a chiamare un mago per farli riscomparire.
«I maghi eseguivano spesso questo trucco… teletrasporto non è la parola esatta… soprattutto quando qualcuno rivolgeva loro una domanda stupida mentre cercavano di meditare.
«Anya era una buona principessa. Da bambina non rispondeva male, si ricordava di lavarsi le mani, lasciava sempre qualcosa di buono nel piatto per i poveri meritevoli. S’impegnava molto per essere buona. Studiava le lezioni, era gentile con le bambole, gli animali domestici e i servi; scoprì da dove vengono i bambini chiedendolo alla cuoca invece di infastidire la Mamma; e quando il Re era arrabbiato, ella diceva solo. “Sì, Papà,” e “No, Papà” e “Forse, Papà”. Era buona come l’oro. Tutti pensavano che sarebbe stata una regina meravigliosa, ma aveva tre fratelli più grandi, tutti in buona salute, perciò non c’era altro da fare che sposarla con qualcuno ben sistemato e non troppo carogna.
«Quando crebbe e diventò una principessa in età da marito, una cosa cominciò a darle fastidio. A lei piaceva essere amata ed ammirata… questo è umano… e a corte c’era un luminare che non ne voleva sapere, il Decano dei Maghi. Aveva un lungo naso cinico e si chiamava Mennoc Moses; e tra l’altro, nessuno di quelli che Mennoc Moses faceva scomparire tornava mai indietro. Anya non pensava ad altro. Decise di incantare quel vecchio bruto, ma non sarebbe andato bene. Non si può giustiziare un mago come quello se non lo si coglie addormentato, e suo padre non ci pensava neanche; lei non poteva farlo personalmente perché era così buona. Continuò a pensarci fino al giorno in cui il Re le disse che le aveva combinato un magnifico matrimonio con il Principe di Pommes de Terre. “Ma, Papà…”
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