— Resterai qui con me, Altezza. I carri e i cavalli arriveranno presto. Ci sarà battaglia sufficiente a soddisfare qualunque uomo, tra pochi giorni.
Io assentii cupamente. Occorsero due giorni di marcia per arrivare dalla nostra nave ai villaggi costieri dove le imbarcazioni achee dallo scafo nero erano state tirate in secca.
Il terreno era piatto e costellato di canali d’irrigazione, ma i campi erano grandi abbastanza da permettere di combattere sui carri, se non ci si preoccupava di rovinare le messi.
Lukka e i suoi uomini si accamparono in riva a uno dei canali più grandi, vicino a un ponte facile da proteggere con un paio di uomini decisi o, in alternativa, facile da bruciare, in modo da costringere eventuali inseguitori a guadare il canale o a trovare il ponte successivo, a circa un chilometro di distanza.
Lukka ed io attraversammo il ponte e attraversammo i campi di grano alto sino alle ginocchia. Ci arrestammo ai margini di un villaggio che arrivava fino alla spiaggia, e vidi dozzine di piccole imbarcazioni da pesca ormeggiate a moli di legno consumati dalle intemperie. Le navi da guerra achee erano in secca sull’arenile. Tende e baracche improvvisate erano disseminate lì intorno, i fuochi da campo mandavano sottili spirali di fumo grigio.
Nonostante la brezza che soffiava dal mare, la mattina era calda e il sole bruciava sulla nostra schiena mentre ce ne stavamo chini ai bordi del campo di grano e osservavamo la vita del villaggio. Nessuna delle navi aveva la testa di delfino blu di Itaca, e fui felice di scoprire che Ulisse non c’era.
— Ci sono solo otto navi — dissi a Lukka. — O gli altri si sono spostati in altri villaggi, o sono tornati ad Argo.
— Perché alcuni se ne sarebbero andati lasciando qui gli altri?
— Menelao cerca sua moglie — risposi. — Non tornerà senza di lei.
— Non può setacciare tutto l’Egitto con qualche centinaio di uomini.
— Forse aspetta rinforzi — dissi. — Può aver rimandato le altre navi ad Argo per portare qui il grosso dell’esercito acheo.
Lukka scosse la testa. — Anche con tutti i guerrieri di Argo, non sarebbero in grado di raggiungere la capitale.
— No — ammisi, parlando man mano che le idee prendevano forma nella mia mente. — Ma se riuscirà a causare distruzioni sufficienti qui sul delta, dove cresce la maggior parte del cibo del regno, allora potrebbe essere in grado di costringere gli Egiziani a dargli quello che vuole.
— Lei?
Esitai. — Lei. Per il suo orgoglio. E anche per qualcos’altro, penso.
Lukka mi lanciò uno sguardo interrogativo.
— Potere — dissi. — Suo fratello Agamennone ha preso il controllo degli stretti che portano al mar Nero. Menelao cerca altrettanto in Egitto.
Mi sembrava corretto. Doveva essere corretto. Tutto il mio piano dipendeva da quello.
— Ma come sai che quelle sono le navi di Menelao? — chiese Lukka sempre pratico. — Le navi sono disarmate, senza vele né alberi. Potrebbero essere di qualche altro re o principotto acheo.
Ero d’accordo con lui. — È per questo che stanotte entrerò nell’accampamento. Per vedere se Menelao c’è davvero.
Se Lukka aveva obiezioni sul mio piano, le tenne per sé. Tornammo al nostro campo vicino al canale e consumammo un pasto frugale mentre il sole tramontava. Poi tornammo al villaggio.
Gli abitanti sembravano convivere senza grossi attriti con i barbari invasori. Avevano poca scelta, naturalmente, ma mentre mi facevo strada nel buio, non avvertii nessuna delle tensioni che caratterizzano una comunità occupata da stranieri ostili. Nessuna delle case di mattoni di fango sembrava bruciata. Niente soldati, da nessuna parte. Pareva che la gente si fosse ritirata per un normale riposo notturno, senza preoccupazioni per le proprie figlie e le proprie vite.
Nessun segno che si fosse combattuta una battaglia, nemmeno una scaramuccia. Sembrava piuttosto che gli Achei si fossero accordati per un’occupazione a lungo termine, senza violenza o razzie. Come se avessero avuto in mente qualcosa di più duraturo.
“Bene” pensai. Esattamente come me.
Mi avviai per le strade piene d’ombre del villaggio, che si intrecciavano e si srotolavano sotto la fredda luce della luna crescente. Il vento era tiepido adesso, e soffiava dall’entroterra, facendo sospirare le palme e gli alberi da frutta. Da qualche parte abbaiò un cane. Non sentii né grida né lamenti, né urla di terrore. Era un borgo silenzioso, quieto, tranquillo; solo, con qualche centinaio di guerrieri armati fino ai denti accampati sulla spiaggia.
I loro fuochi da campo stavano morendo in poche braci davanti a ciascuna nave. Una fila di carri riposava sul lato opposto del campo, vicino al rozzo steccato del recinto dei cavalli. Alcuni uomini dormivano per terra, avvolti nelle coperte, ma per la maggior parte erano dentro le tende o nelle baracche traballanti che avevano costruito. Un terzetto di sentinelle oziava vicino all’unico fuoco ancora acceso. Sembravano rilassati, come se il turno di guardia fosse una questione puramente formale, più che un fattore di sicurezza.
Andai direttamente verso di loro. Uno mi individuò mentre mi avvicinavo e disse qualcosa ai compagni. Non erano allarmati. Lentamente, raccolsero le lunghe lance e si misero in piedi.
— Chi sei e cosa vuoi? — mi gridò il capo.
Mi avvicinai abbastanza perché mi riconoscessero alla luce del fuoco. — Sono Orion, della Casa di Itaca.
Questo li sorprese.
— Itaca? Ulisse è qui? Le ultime notizie lo davano disperso in mare.
Abbassarono le lance quando giunsi a portata di braccio. — L’ultima volta che ho visto Ulisse è stato sulla spiaggia di Ilio — dissi. — Ho viaggiato per terra, da allora.
Uno di loro cominciò a ricordare.
— Tu sei quello che aveva per schiavo il cantastorie.
— Il blasfemo che Agamennone ha accecato.
Un’ira antica risorse dentro di me.
— Sì — risposi. — Quello che Agamennone ha accecato. Il Sommo Re è qui?
Si guardarono l’un l’altro a disagio. — No, questo è l’accampamento di Menelao.
— Non ci sono altri signori achei con lui?
— Non ancora. Ma arriveranno presto. Menelao è folle di rabbia da quando sua moglie è fuggita anche dopo la caduta di Troia. Giura che non lascerà questa terra finché non gli verrà restituita.
— Se fossi in te, Orion — disse il terzo — correrei più lontano possibile. Menelao è convinto che sia stato tu a portargliela via.
Ignorai l’avvertimento. — Come fa a sapere che lei è in Egitto?
Il capo del trio si strinse nelle spalle. — A quanto ho sentito, ha ricevuto un messaggio da qualche potente e importante egiziano che gli diceva che Sua Altezza era qui. In qualche palazzo da qualche parte.
— Questo è quello che dicono — fu d’accordo una delle altre guardie.
La storia che Nefertu mi aveva inconsapevolmente rivelato era precisa in modo sbalorditivo. Nekoptah doveva aver mandato un corriere a Menelao appena Nefertu gli aveva fatto rapporto sulla presenza della regina di Sparta in Egitto, mesi prima. Naturalmente Nefertu si era reso conto che Elena era un personaggio importante della nobiltà achea, e alla fine me lo aveva detto. E Nekoptah, da quell’astuto farabutto che era, si era immediatamente adoperato per usarla come esca, per portare al suo servizio Menelao e gli altri guerrieri dei Popoli del Mare.
Dissi: — Accompagnatemi da Menelao. Ho notizie interessanti per lui.
— Il re dorme. Aspetta sino a domattina. Non avere tanta fretta di farti uccidere.
Io riflettei. Dovevo insistere perché lo svegliassero? Mi stavano offrendo la possibilità di sfuggire alla sua ira. Dovevo tornare da Lukka, al nostro accampamento, e ritornare la mattina dopo? Decisi di aspettare lì sulla spiaggia e di dormire per qualche ora. La collera di Menelao mi sembrava cosa da poco.
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