Il re annuì con aria assente, piluccando il suo pesce.
Con me che traducevo, Elena cercò di imbastire con lui una conversazione, chiedendogli di sua moglie e dei suoi figli. Il re si limitò a guardare il vuoto.
— La moglie di Sua Maestà è morta di parto l’anno scorso — disse Nekoptah.
— Oh, mi dispiace…
— Anche il bambino è morto.
— Che cosa terribile!
Il sovrano sembrò fare uno sforzo per metterla a fuoco. — Ho un figlio — mormorò.
— Il Principe Aramset — lo precedette Nekoptah. — Un bravo giovane. Diventerà un buon re, un giorno. — Ma si rabbuiò, e aggiunse: — Naturalmente, Sua Maestà ha anche altri validi figli dalle concubine reali.
Merenptah sprofondò di nuovo nel silenzio. Elena lanciò uno sguardo al grasso sacerdote.
E andò così per tutto il resto della sera. Quando la cena ebbe termine, il re ci augurò la buona notte e se ne andò. Notai che Nekoptah gli si inchinò appena; d’altra parte, grasso com’era, non avrebbe potuto fare molto di più.
Mentre le guardie ci scortavano ai nostri alloggi, chiesi alla mia compagna: — Credi che il re sia malato?
Il suo viso dimostrava quanto si sentisse preoccupata. — No, Orion. Solo drogato. È una cosa che ho già visto. Quella grassa bestia lo imbottisce di narcotici per esercitare il potere come gli pare.
Ero felice che Elena parlasse solo l’acheo e che le guardie non potessero capirla. Almeno, lo speravo.
La situazione mi era penosamente chiara. Nekoptah teneva sotto controllo la capitale e il re. Mi stava usando per imbastire un losco affare in cui usare Elena come merce di scambio per la sicurezza del delta contro i Popoli del Mare. A titolo cautelativo, intendeva destituire il sacerdote capo di Amon e rafforzare la sua presa sull’intero regno.
Per assicurarsi che io agissi secondo i suoi desideri, Nekoptah avrebbe tenuto Elena in ostaggio nella capitale, senza sapere che io ero al corrente della sua intenzione di restituirla a Menelao.
E il Radioso. Che si era creato una fortezza nella grande piramide.
Sembrava tutto un gran pasticcio, una situazione senza speranza. A meno che non avessi trovato il modo di tagliare quel groviglio con un colpo solo. Come un messaggio di qualche dio, un piano prese forma nella mia mente. Quando Elena ed io raggiungemmo i nostri appartamenti, ormai sapevo cosa dovevo fare.
Tutto mi aspettavo tranne che il principe ereditario si unisse alla nostra spedizione.
Mentre Lukka e i suoi uomini salivano a bordo della nave che ci avrebbe portati nel Basso Regno, una portantina sotto scorta portata da sei nubiani si fermò davanti alla nostra passerella. Le tende si scostarono e dalla lettiga scese agilmente un giovane magro, muscoloso e chiaro di pelle come Merenptah e i sacerdoti che avevo incontrato.
Si chiamava Aramset: il solo figlio legittimo del re. Così giovane da avere appena un ciuffo stentato di peluria che gli si arricciava sul mento. Era un bel ragazzo, e dava una buona idea dell’aspetto che doveva avere avuto suo padre alla stessa età. Sembrava ansioso di prendere parte alla guerra.
Il capo nominale della nostra spedizione, il grasso, zoppicante generale Raseth, si inchinò profondamente al principe e poi mi presentò.
— Massacreremo i barbari — annunciò Aramset ridendo. — Mio padre vuole che impari le arti della guerra, per farne tesoro quando prenderò il governo.
Sembrava abbastanza simpatico. Ma dentro di me sapevo che era stato Nekoptah ad aggiungere quella chicca. Se il principe fosse rimasto ucciso, in assenza di altri eredi legittimi lui avrebbe rafforzato la sua posizione.
Ancora una volta dovevo ammirare l’astuzia del sacerdote.
Avevo lasciato Elena quella mattina, affidandola alle cure di Nefertu. Lei capiva pienamente tutte le macchinazioni che ci giravano intorno, ma percepiva che un vortice di intrighi mi stavano trascinando lontano da lei.
— Menelao mi sta ancora cercando — disse, mentre la tenevo tra le braccia.
— È lontano centinaia di miglia — risposi. Posò la testa dorata sul mio petto. — Orion, qualche volta penso che il mio destino sia di tornare da lui. Qualsiasi cosa io faccia, lui mi tallona come un segugio del fato.
Io non risposi.
— Ti ucciderà, se andrai davvero in battaglia contro di lui.
— No, non credo. E nemmeno io voglio davvero ucciderlo.
Si scostò leggermente e mi fissò negli occhi. — Ti rivedrò mai più, mio protettore?
— Certamente.
Ma lei scosse la testa. — No. Non credo. Penso che questo sia il nostro ultimo incontro, Orion.
Aveva le lacrime agli occhi.
— Tornerò — dissi.
— Ma non da me. Cercherai la tua dea e ti dimenticherai di me.
Io rimasi in silenzio per un momento, sapendo bene che aveva ragione. Poi dissi: — Nessuno potrebbe mai dimenticarti, Elena. La tua bellezza vivrà attraverso i tempi.
Si sforzò di sorridere. La baciai un’ultima volta, pur sapendo che qualcuno ci stava spiando, poi le dissi addio.
Nefertu mi accompagnò alle banchine e io gli chiesi di vegliare su Elena e di proteggerla dagli intrighi di palazzo.
— Lo farò, amico mio — disse. — Custodirò il suo onore e la sua vita.
Così, mentre il battello si allontanava dalla banchina con il sole del primo mattino che occhieggiava tra gli obelischi e le statue monumentali, io feci un ultimo gesto di saluto a Nefertu, sapendo in cuor mio che quel piccolo funzionario dai capelli grigi non sarebbe mai stato in grado di proteggere nessuno, nemmeno se stesso, dal potere di Nekoptah. La mia sola speranza era di portare a termine quello che dovevo fare il più in fretta possibile, e di tornare alla capitale per occuparmi del grasso primo ministro prima che potesse nuocere a Elena o al mio amico egiziano.
Passai in rassegna gli edifici del palazzo mentre la nostra nave scivolava sulla corrente, cercando una terrazza dove una donna dai capelli d’oro avrebbe potuto salutarmi con la mano. Ma non vidi nessuno.
— Così cominciamo a guadagnarci la paga.
Mi voltai di scatto e vidi Lukka in piedi vicino a me, il viso severo atteggiato a un sorriso composto. Era felice di allontanarsi dalla corte per andare in battaglia, dove un uomo sapeva chi erano i suoi nemici e come affrontarli.
Aramset si rivelò un compagno piacevole anche se rideva per nascondere il nervosismo. Il generale Raseth andava su e giù per la nave, asfissiando il giovane principe finché questi non chiarì che preferiva essere trattato come un ufficiale qualsiasi.
Stranamente, Lukka e il ragazzo sembravano andare d’accordo. Il giovane ammirava sinceramente il valoroso soldato e tutte le sue cicatrici di battaglia, e sembrava ansioso di imparare da lui tutto quello che poteva.
Un caldo pomeriggio, mentre passavamo davanti alle rovine di Akhetaten, sentii Lukka dire al principe: — Tutto quello che ti ho detto nei giorni scorsi non è niente a confronto con l’esperienza della battaglia. Quando il nemico arriva caricandoti, lanciando le sue grida di guerra e puntando la lancia contro il tuo petto, allora scopri se davvero hai abbastanza sangue freddo per la guerra. Solo allora.
Aramset lo fissò con gli occhi sgranati, e seguì il mercenario ittita per tutta la nave come un cucciolo fiducioso.
Il nostro battello portava cinquanta soldati, e poteva contare su sessanta rematori, tutti schiavi, molti dei quali nubiani. Dal momento che navigavamo verso la foce del fiume, la corrente del Nilo faceva la parte più pesante del lavoro.
Dozzine di altre imbarcazioni si accodarono a noi nel lungo viaggio verso il delta.
In ogni porto in cui attraccavamo per la notte, trovavamo navi intere di soldati che aspettavano di unirsi alla nostra spedizione. Cominciai a capire la vera potenza dell’Egitto, un’organizzazione in grado di mettere insieme una flotta tale da costituire un potente esercito capace di coprire centinaia di miglia.
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