Ben Bova - La vendetta di Orion

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La vendetta di Orion: краткое содержание, описание и аннотация

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Ormai non ci sono dubbi: sotto le spoglie umane di John O’Ryan si nasconde una figura mitica, il leggendario cacciatore Orion. A crearlo è stato l’essere di un lontanissimo futuro che ha scelto di farsi chiamare Ormazd, e che con il suo aiuto intende condurre nel tempo e nello spazio una guerra spietata contro il più acerrimo nemico dell’umanità, Ahriman. Il primo scontro (in Orion, Urania 1038) sembra essersi concluso vittoriosamente, ma in realtà l’intervento di Orion ha causato una frattura nel continuum spazio-temporale, concedendo ad Ahriman e ai suoi neandertaliani un cosmo tutto per loro. Ormazd non ha affatto gradito la cosa e ha deciso di punire Orion strappandogli ciò che ha di più caro, per costringere il cacciatore a riprendere la sua battuta. Questa volta lo scenario-sarà il passato e la posta in gioco il salvataggio di Troia… perché Ormazd è deciso a cambiare addirittura la trama del tempo pur di distruggere definitivamente il suo nemico.

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— Non è necessario — disse Nefertu.

— È una mia responsabilità — risposi.

Lui annuì. — Temo di averti reso sospettoso. Ma forse è un vantaggio.

— Alzandosi, concluse: — Vieni, allora. Visiteremo le caserme e vedrai che I tuoi uomini stanno bene, lì.

Lukka e i suoi erano sistemati davvero comodamente. Le caserme non avevano certo il lusso del mio appartamento reale, ma per i soldati erano quasi un paradiso: letti veri e un solido tetto sulla testa, schiavi che portavano l’acqua calda e lucidavano le armature, cibo, bevande e la prospettiva di una visita al bordello.

— Li terrò d’occhio, stanotte — mi disse Lukka con un sorriso sul viso da falco. — Domani sfileremo davanti agli ufficiali egiziani; non voglio che se ne vadano a ciondolare in giro e ti disonorino.

— Sarò con voi durante l’ispezione — gli dissi.

Nefertu stava quasi per protestare, poi lasciò perdere.

Mentre tornavamo ai nostri appartamenti, gli chiesi: — C’è qualche obiezione a che io sia presente alla parata, domani?

Lui uscì nel suo sorriso diplomatico. — Semplicemente che l’ispezione avverrà all’alba e il nostro incontro con Nekoptah sarà poco dopo.

— Dovrei essere con i miei uomini quando saranno sottoposti all’ispezione.

— Sì, suppongo che sia giusto. — Ma Nefertu non sembrava comunque troppo contento.

Quella sera cenammo nel suo appartamento, una stanza più o meno simile alla mia per grandezza e decorazioni. Ebbi l’impressione che Nefertu si considerasse fortunato ad averci incontrato: non era cosa di tutti I giorni, per un funzionario civile di una piccola città periferica, essere invitato a palazzo reale e ospitato in un simile splendore.

Elena raccontò la sua storia. Nefertu e Mederuk erano affascinati dal suo racconto della guerra tra Achei e Troiani, e lei sembrava fiera di esserne stata la causa.

Mederuk la fissò spudoratamente per tutta la cena. Era un uomo di mezza età, dalla figura un po’ appesantita e i capelli radi e grigi. Come tutti gli Egiziani aveva la pelle scura e gli occhi quasi neri. Il suo viso era dolce e rotondo, praticamente senza rughe, quasi come quello di un bambino. La vita di palazzo non aveva lasciato tracce su quel volto paffuto e insipido. Era come se, durante la notte, l’uomo cancellasse con cura i segni di qualsiasi esperienza e affrontasse ogni nuovo giorno con una fresca, rimodellata vacuità che non poteva assolutamente offendere nessuno, né lasciar trasparire i pensieri che passavano dietro quella maschera gentile.

Ma continuava a fissare Elena, e piccole gocce di sudore gli imperlavano il labbro superiore.

— Devi parlare con Nekoptah — disse, quando la donna ebbe terminato il suo racconto. La cena era finita da tempo; gli schiavi avevano tolto i piatti e adesso non c’era niente sul tavolo basso al quale sedevamo, tranne che le coppe del vino e le ciotole di melograni, fichi e datteri.

— Sì — fu d’accordo Nefertu. — Sono sicuro che suggerirà al re di invitarti a vivere qui a Wast, come ospite reale.

Elena sorrise, ma i suoi occhi si posarono su di me. Sapeva che me ne sarei andato appena possibile. Una volta saputo che lei era al sicuro, e che Lukka e i suoi uomini erano stati accettati nell’esercito, allora sarei potuto partire.

— La signora — dissi — porta con sé un considerevole tesoro. Non sarà un ospite gravoso.

I due egiziani colsero un qualche umorismo nelle mie parole e ne sembrarono educatamente divertiti.

— Un peso per il re — ridacchiò Nefertu, che aveva bevuto una discreta quantità di vino.

— Come se il grande Merenptah si preoccupasse delle spese — fu d’accordo Mederuk, con un sorriso ben esercitato. La sua coppa non era stata svuotata nemmeno una volta. Lo guardai attentamente. Il suo viso liscio e paffuto non rivelava la minima traccia di emozione, ma i suoi occhi neri come il carbone tradivano i piani che stavano prendendo forma nella sua mente.

37

Lasciai il letto di Elena prima dell’alba e tornai silenziosamente nella mia stanza. Il cielo stava appena cominciando a schiarire e la camera era ancora buia, ma qualcosa mi fece fermare sui miei passi e trattenere il respiro.

Appena un debolissimo segno di movimento. Mi si rizzarono i capelli sulla nuca. Rimasi immobile, gli occhi che scrutavano nel buio, cercando di penetrare le ombre. C’era qualcuno nella stanza. Lo sentivo. Sempre sforzandomi di vedere, nelle tenebre, cercai di ricordare esattamente la disposizione della camera, la posizione del letto, del tavolo, delle sedie, dei cassettoni. Le finestre e la porta sul corridoio…

Un leggero suono grattante, legno o metallo contro la pietra. Spiccai un balzo in quella direzione, e andai a sbattere dolorosamente contro il muro. Barcollai indietro di qualche passo e mi lasciai cadere seduto con un tonfo.

Mi ero scontrato con il muro esattamente nel punto in cui era dipinta una delle false finestre. Era davvero una porta nascosta, camuffata così bene da non poterla distinguere?

Mi misi lentamente in piedi, con la spina dorsale che mi faceva male. Qualcuno era stato nella mia stanza, di questo ero certo. Un egiziano, non il Radioso o uno degli altri Creatori. Muoversi furtivamente nel buio non era il loro stile. Qualcuno mi aveva spiato; o ci aveva spiato, me e Elena. O aveva rovistato tra le mie cose.

Un ladro? Ne dubitavo, e un rapido controllo ad abiti e armi dimostrò che non mancava niente.

Mi vestii rapidamente, ancora indeciso se lasciare Elena sola e addormentata, domandandomi se l’intruso mi cercava per farmi domande su di lei, o per dirmi di stare lontano da Lukka e dal luogo della parata… Nefertu mi aveva avvisato degli intrighi di palazzo, e io ero completamente disorientato.

Un grattare alla porta. La spalancai e vidi Nefertu, vestito di tutto punto e con quel sorriso educato che lui usava per affrontare il mondo.

Dopo averlo salutato, gli chiesi: — È possibile mettere una guardia alla porta di Elena?

Sembrava sinceramente allarmato. — Perché? C’è qualcosa che non va?

Gli raccontai cos’era successo. Sembrò scettico, ma si allontanò per il corridoio a cercare una guardia. Pochi minuti dopo tornò insieme a un negro muscoloso, con un gonnellino di pelle di zebra e una spada al fianco.

Sentendomi un po’ meglio, mi diressi al luogo della parata, davanti alle caserme.

Lukka aveva disposto le due dozzine di uomini in doppia fila, con le maglie metalliche e le armature lucidate di fresco e gli elmi e le spade scintillanti come specchi. Ogni soldato aveva anche una lancia con la punta di ferro, tenuta ben dritta, a novanta gradi precisi rispetto al terreno.

Nefertu mi presentò al comandante egiziano che doveva ispezionare gli Ittiti. Si chiamava Raseth, un veterano di carnagione scura, robusto e minaccioso, calvo e brusco come una pallottola. Le sue braccia sembravano ancora potenti nonostante l’età avanzata, e lui zoppicava leggermente, come se il tempo gli avesse accumulato addosso troppo peso perché le gambe arcuate potessero sorreggerlo.

— Ho combattuto contro gli Ittiti — disse a nessuno in particolare mentre si voltava verso i soldati allineati davanti a lui. — So quanto sono bravi. — Girandosi improvvisamente dalla mia parte, afferrò il collo della tunica e se la tirò giù dalla spalla sinistra, scoprendo lo sgradevole sfregio di una cicatrice. — Il regalo di un lanciere ittita a Meggido. — Sembrava fiero della ferita.

Lukka si trovava in testa alla sua piccola banda e fissava l’infinito davanti a sé. Gli uomini stavano impalati, muti e con gli occhi immobili nel sole del mattino.

Raseth li passò in rassegna, annuendo e borbottando tra sé mentre Nefertu ed io restavamo in disparte ad osservare.

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