— Hanno tutte lo stesso viso — disse Elena a Nefertu.
— Sono tutte statue dello stesso re, Ramesses II, padre dell’attuale re Merenptah.
Le colossali sculture torreggiano in lunghe file sulla riva orientale del fiume. Il re doveva aver scavato intere montagne di granito trasportandolo poi lungo il fiume su chiatte, per innalzare simili monumenti a se stesso.
— Ramesse è stato un re glorioso — ci spiegò Nefertu — potente in battaglia e generoso con il suo popolo. Ha eretto queste statue e molte altre, anche più grandi, verso la sorgente del fiume. Sono lì per ricordare al nostro popolo la sua gloria e per intimorire i barbari del sud. Persino adesso temono il suo potere.
— “Guarda le mie opere tu, potente, e disperati” — citai. La frase mi tornò in mente all’improvviso, e sapevo che era stata scritta da quel re megalomane.
C’erano molte tombe lungo la riva occidentale ed una era così bella che mi tolse il respiro quando la vidi. Bianca, bassa, circondata di colonne e proporzionata nel modo che, un giorno, avrebbe reso immortale il Partenone di Atene.
— È la tomba della regina Hatshepsut — mi disse Nefertu. — Ha governato come un uomo; per la felicità dei sacerdoti e di suo marito.
Se Menefer era notevole, Wast era sopraffacente. La città era costruita per far apparire ridicola la dimensione umana.
Enormi costruzioni incombevano dai bordi dell’acqua, e noi attraccammo ad un molo massiccio sotto la loro fresca ombra. I viali erano pavimentati di pietra e larghi abbastanza perché quattro carri potessero starvi fianco a fianco. Dietro, si alzavano molti templi, con le poderose colonne di granito vivacemente dipinte e i tetti rivestiti di metallo che scintillavano al sole. Più lontano, in alto sulle colline, splendide ville erano disseminate tra le macchie d’alberi e i campi coltivati.
Fummo accolti al molo da una guardia d’onore, in uniformi di lino immacolato e maglia metallica così lucida che brillava. Le spade e le punte delle lance erano di bronzo, e notai che Lukka passò in rassegna le armi con una rapida occhiata professionale.
Nefertu si incontrò con un altro ufficiale, vestito solo di un gonnellino bianco e con il medaglione d’oro del suo ufficio sul petto nudo, che si presentò come Mederuk. Ci condusse tutti al palazzo dove avremmo aspettato l’udienza del re. Elena ed io fummo fatti salire su una portantina retta da schiavi negri, mentre per Nefertu e Mederuk ce n’era una seconda. Lukka e i suoi uomini erano a piedi, affiancati dalla luccicante guardia d’onore.
Elena era raggiante di felicità. — Il mio posto è davvero in questa città — disse.
Il mio invece era a Menefer, pensai, nella grande piramide. Più restavo lì a Wast, minori erano le mie possibilità di distruggere il Radioso e di resuscitare Atena.
Guardando attraverso le tende della nostra portantina, mentre i portatori nubiani ci trasportavano per il viale in salita, vidi che Nefertu e Mederuk chiacchieravano gaiamente come due vecchi amici che si scambiano gli ultimi pettegolezzi. Erano felici. Elena era felice. Persino Lukka e i suoi uomini sembravano contenti, perché presto avrebbero trovato impiego nell’esercito egiziano.
Solo io mi sentivo irrequieto e insoddisfatto.
Il palazzo reale di Wast era un grande complesso di templi, zone residenziali, spaziosi cortili, caserme, magazzini per il grano e recinti per il bestiame. Intorno, c’erano gatti dappertutto. Gli Egiziani li veneravano come sacri e li lasciavano liberi di andare in giro per tutto il complesso. Pensai che dovevano essere molto utili contro i topi e gli altri animali che inevitabilmente infestavano i granai.
I nostri alloggi a palazzo erano… degni di un palazzo. Ad Elena e a me vennero date stanze adiacenti, enormi e ariose, con alti soffitti di assi di cedro e lucidi pavimenti di granito, freschi sotto i piedi nudi. Le pareti avevano freddi toni di blu e di verde, con cornici di rosso e oro brillante attorno alle porte e alle finestre. Dalla mia stanza, potevo spaziare sui tetti di tegole in direzione del fiume.
Chiunque avesse progettato la camera aveva un preciso senso della simmetria. Esattamente di fronte alla porta del corridoio, c’era la porta della terrazza. Le finestre ai lati di quest’ultima erano compensate sul muro opposto da finte finestre dipinte, esattamente della stessa forma e dimensione di quelle vere, con la “cornice” dipinta degli stessi colori.
Avevamo sei servi a nostra disposizione. Mi fecero un bagno profumato, mi rasarono, mi tagliarono i capelli, mi pettinarono e mi vestirono di fresco e leggero lino egiziano. Quando fui di nuovo solo nella mia stanza, raccolsi il pugnale dal mucchio di indumenti sporchi che avevo abbandonato ai piedi del letto e me lo legai ancora alla coscia, sotto il gonnellino immacolato. Mi sentivo quasi nudo, senza.
Quelle false finestre mi disturbavano. Mi chiesi se non nascondessero un’entrata segreta alla mia stanza, ma quando le controllai da vicino, sotto le dita sentii solo il muro.
Un servo bussò timidamente alla porta, e dopo che gli ebbi dato il permesso di entrare, mi annunciò che ai signori Nefertu e Mederuk avrebbe fatto piacere cenare con la mia signora e con me. A mia volta gli dissi di pregare Nefertu di venire nella mia stanza.
Era ora che gli dicessi la verità sul conto di Elena. Dopo tutto, lei voleva essere invitata a restare a Wast. Voleva essere trattata come la regina che era stata.
Nefertu arrivò e ci sedemmo fuori, sulla terrazza, sotto il tendone che ci riparava dal sole. Senza che lo chiedessi, un servo ci portò una caraffa di vino gelato e due coppe.
— Ho qualcosa da dirti — cominciai dopo che il servo se ne fu andato — qualcosa che ti ho tenuto nascosto sino ad ora.
Nefertu fece il solito educato sorriso e aspettò che continuassi.
— La signora che è con me era la regina di Sparta, e una principessa della caduta Troia.
— Ah — disse Nefertu — ero sicuro che non fosse una donna comune. Non solo per la sua bellezza; soprattutto il suo portamento dimostra un’educazione regale.
Versai il vino per tutti e due, e ne presi un sorso. Era eccellente, secco e frizzante, fresco e delizioso: il miglior vino che avessi assaggiato dai tempi di Troia.
— Avevo sospettato che la signora fosse un personaggio importante — continuò Nefertu. — E sono felice che tu abbia deciso di parlarmene. Effettivamente, stavo per porre a tutti e due domande piuttosto precise. Sua Grazia Nekoptah vorrà sapere tutto di voi e dei vostri viaggi prima di concedervi l’udienza con il re.
— Nekoptah?
— È il capo sacerdote della casa reale, un cugino dello stesso re. Serve il potente Merenptah come primo consigliere. — Nefertu prese un sorso di vino. Si leccò le labbra con la punta della lingua e gettò uno sguardo ai suoi soldati, come se temesse che qualcuno potesse sentirci.
Sporgendosi di più verso di me, disse a voce più bassa: — Mi è stato detto che Nekoptah non si accontenta del suo potere di consigliere: vuole quello di re.
Sentii le mie sopracciglia sollevarsi. — Un intrigo di palazzo?
Nefertu si strinse nelle spalle. — Chi può dirlo? Le vie del palazzo sono complesse; e pericolose. Stai attento, Orion.
— Ti ringrazio per il consiglio.
— Dobbiamo incontrarci con Nekoptah domattina. Desidera vedere te e la signora.
— E a proposito di Lukka e dei suoi soldati?
— Sono comodamente alloggiati nell’ala delle caserme. Un ufficiale del re li ispezionerà domani e li accetterà certamente nell’esercito.
Per qualche ragione, mi sentivo a disagio. Forse era l’avvertimento di Nefertu sugli intrighi di palazzo. — Vorrei vedere Lukka prima di andare a cena — dissi. — Per assicurarmi che lui e i suoi uomini siano trattati bene.
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