Esattamente come Elena. — Non posso più sopportare questo orribile chiasso! Mi fa dolere le orecchie!
Era notte, e i soli rumori fuori dalla nostra tenda erano il ronzio degli insetti e la voce lontana di una madre che cantava una dolce ninnananna al suo bambino.
— Se davvero vai a far visita agli dèi — disse Elena — perché non chiedi loro di far cadere le mura per te?
Sorrisi. — L’ho fatto. E mi hanno risposto di arrangiarmi da solo.
A dispetto di se stessa, anche lei sorrise. — Gli dèi non sono sempre gentili con noi, vero?
— Domani finirà tutto — le dissi. — Abbiamo finito di scavare. Adesso tocca al fuoco.
Lasciai Elena sola nella nostra tenda e uscii nel buio per controllare i preparativi per l’assalto del giorno dopo. Tutti gli uomini che già avevano lavorato tanto duramente allo scavo stavano raccogliendo sterpi nei campi, li trascinavano nel tunnel e li ammucchiavano alla base delle fondamenta del muro principale.
Come mi ero aspettato, i mattoni di fango erano contornati da robusti tronchi distanziati di qualche metro. Alcuni erano molto vecchi, secchi, infiammabili. Una volta che avessero preso fuoco, l’intera sezione di muro sarebbe crollata. O almeno speravo.
Per tutta la lunga notte, gli operai continuarono la loro opera incendiaria. Lukka e due dei suoi uomini migliori erano laggiù, a supervisionare il lavoro e ad aprire le prese d’aria lungo la base del muro, in modo che il fuoco non soffocasse.
Finalmente terminarono. Lukka uscì dal tunnel quando il primo cenno di grigio cominciò a illuminare il cielo dietro le montagne al di là del Giordano.
Io entrai per l’ispezione finale, strisciando sulla pancia nella prima parte del tunnel, sentendomi come un lombrico, cieco e chiuso da tutti i lati. Dopo quella che mi sembrò un’ora, la galleria divenne più alta, potei mettermi carponi e, alla fine, alzarmi in piedi e camminare come un uomo.
Portavo con me una torcia, e pezzi di selce e ferro per provocare la scintilla che l’avrebbe accesa. Ma non prima che fosse giorno pieno, e che i sacerdoti di Giosuè avessero ricominciato la loro sfilata intorno alle mura. Volevamo trattenere l’attenzione dei difensori di Gerico sul rumoroso corteo il più a lungo possibile, in modo che il fuoco prendesse bene e non ci fosse modo di domarlo prima che il muro franasse. Sentivo anche che Giosuè dava un certo valore alla coreografia, facendo sì che il crollo delle mura sembrasse provocato dalla musica dei sacerdoti.
Era pienamente consapevole del valore della manipolazione delle opinioni della gente. Paragonava di continuo il loro passaggio del fiume Giordano con quello di Mosè attraverso il Mar Rosso. E non si stancava di ripetere che la gente di Canaan doveva rendersi conto che il Dio di Israele era più potente dei loro dèi, che lui considerava falsi e inesistenti.
Avevo portato con me anche una piccola candela e l’accesi quando raggiunsi l’estremità del tunnel. Gli sterpi sembravano pronti a bruciare: ce n’era un bel mucchio contro e sotto le fondamenta del muro, abbastanza per dar fuoco ai tronchi. Potevo sentire l’odore dell’aria della notte, leggermente umida, che penetrava dai buchi che Lukka aveva fatto aprire. Poteva bastare a dare al fuoco l’ossigeno di cui aveva bisogno. Tutto era pronto, pensai.
Spensi la candela, ma la luce non scomparve. Al contrario, invece, aumentò e si diffuse tutt’intorno finché mi resi conto che ero stato risucchiato ancora una volta nella dimensione dei Creatori.
Ne vidi quattro davanti a me, nell’informe bagliore che usavano per tenere nascosto il loro mondo ai miei occhi. Però, se mi concentravo, riuscivo a cogliere alle loro spalle le deboli tracce di strane forme. Macchine? Strumenti? Sembravano all’interno di una grande stanza, più che all’aperto. Un laboratorio? Un centro di controllo?
Riconobbi lo Zeus dalla barba corta, ed Era vicino a lui. Gli altri due erano maschi; li avevo già visti. Uno era magro e muscoloso, alto come Zeus. Aveva il volto sottile, con un lungo mento a punta e corti capelli nerissimi che finivano sulla fronte alta con una “V” che coincideva perfettamente con l’angolo del mento. Sfoderava un sorriso ironico; gli occhi erano maligni. Pensai a lui come a Ermes, il messaggero degli dèi, il protettore dei ladri. L’altro era corpulento, grosso di spalle e di braccia, con capelli rossi fittamente ricciuti e gli occhi fulvi di un leone. Ares, il dio della guerra. Ovviamente.
Portavano tutti abiti identici di luccicante stoffa metallica, quasi delle uniformi. La sola differenza erano i colori: Zeus era vestito d’oro, Era di rosso rame, Ermes d’argento e Ares di bronzo.
— Continui ad aiutare il nostro folle Apollo — disse Zeus. Era una semplice affermazione, come quella di un cancelliere di tribunale che legge i capi d’accusa.
Io risposi: — Continuo a fare quello che devo per riportare alla vita quella di nome Atena.
— Sei stato avvisato, Orion — disse Era, gli occhi scuri che lampeggiavano.
Feci in modo di sorriderle. — Mi distruggeresti, dea? Metteresti fine alla mia vita, finalmente? Sarebbe un sollievo.
— Potresti impiegare molto a morire — disse quasi facendo le fusa.
— No! — intervenne bruscamente Zeus. — Non siamo qui per minacciare o punire. Il nostro scopo è trovare Apollo e fermare i suoi piani pazzeschi prima che ci distrugga tutti.
— E questa creatura — disse il bruno Ermes — sa dove trovarlo.
— Non sono il suo guardiano.
— Certamente gliene servirebbe uno — disse Ares, ridendo della sua stessa battuta.
— Possiamo aprire il tuo cervello, Orion, e tirarne fuori tutti i ricordi — disse Era.
— Sono certo che lo possiate. E molti li trovereste dolorosi.
Zeus agitò una mano con impazienza. — Dici di non sapere dove sia il Radioso.
— Sì, è la verità.
— Ma puoi trovarlo per noi?
— In modo che possiate distruggerlo?
— Quello che ne facciamo non è affare tuo, Orion — disse Era. — Considerando come ti ha trattato, penso che dovresti essere contento di vederlo fuori combattimento.
— Potete riportare Atena alla vita? — chiesi.
Il suo sguardo vacillò, allontanandosi da me. Gli altri sembravano a disagio, persino Zeus.
— Non siamo qui per parlare di lei — disse brusco il rosso. — È Apollo che cerchiamo.
Prima che potessi rendermi conto delle conseguenze, promisi: — Posso condurvi da lui. Dopo che avrà riportato Atena alla vita.
— Nessuno può farlo — si lasciò sfuggire Era, annoiata.
Zeus e gli altri le lanciarono un’occhiata.
Io dissi: — Dopo che non sarà riuscito a resuscitarla, allora.
Con un sorriso malizioso, Ermes chiese: — Come facciamo a sapere che possiamo fidarci di te?
Io mi strinsi nelle spalle. — A quanto pare potete trovarmi quando volete. Se vi convincerete che non tengo fede alla mia parola, d’accordo, farete di me quello che vorrete. Se Atena non può essere riportata alla vita, non sono poi così interessato a continuare a vivere.
Una reale solidarietà sembrò riempire gli occhi di Zeus. Ma Era sogghignò, scettica. — E cosa mi dici del tuo attuale amore, la bella Elena?
— Mi ama come l’amo io — risposi. — Finché ci saremo utili l’un l’altro, e non oltre.
Zeus si passò una mano nella barba. — Ci consegnerai Apollo quando ti sarai reso conto che non può resuscitare Atena?
— Sì.
— Non possiamo fidarci della parola di una creatura — disse Era. — Questa è follia! Più aspettiamo, più il pericolo…
— Stai calma — disse Zeus. Parlò gentilmente, ma Era si fermò a metà frase. Volgendo di nuovo gli occhi grigi verso di me, Zeus disse: — Io mi fido davvero di te, Orion. Il destino del continuum dipende dalla tua parola. Se ci mentirai, segnerai non solo la tua distruzione, non solo la nostra distruzione, ma la fine del continuum, la rovina totale dell’intero spazio-tempo nel quale tutti esistiamo.
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