Ben Bova - La vendetta di Orion

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La vendetta di Orion: краткое содержание, описание и аннотация

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Ormai non ci sono dubbi: sotto le spoglie umane di John O’Ryan si nasconde una figura mitica, il leggendario cacciatore Orion. A crearlo è stato l’essere di un lontanissimo futuro che ha scelto di farsi chiamare Ormazd, e che con il suo aiuto intende condurre nel tempo e nello spazio una guerra spietata contro il più acerrimo nemico dell’umanità, Ahriman. Il primo scontro (in Orion, Urania 1038) sembra essersi concluso vittoriosamente, ma in realtà l’intervento di Orion ha causato una frattura nel continuum spazio-temporale, concedendo ad Ahriman e ai suoi neandertaliani un cosmo tutto per loro. Ormazd non ha affatto gradito la cosa e ha deciso di punire Orion strappandogli ciò che ha di più caro, per costringere il cacciatore a riprendere la sua battuta. Questa volta lo scenario-sarà il passato e la posta in gioco il salvataggio di Troia… perché Ormazd è deciso a cambiare addirittura la trama del tempo pur di distruggere definitivamente il suo nemico.

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Al calar del sole, gli Israeliti erano di nuovo riuniti nelle loro unità tribali e familiari, ognuna raccolta intorno al suo fuoco, e i canti erano meno solenni, più allegri: canzoni di casa, canzoni della gente comune. Si cominciò a ballare, qua e là, uomini e donne in gruppi separati, e ridevano e giravano intorno ai fuochi mentre battevano i piedi sul terreno polveroso.

Beniamino mandò un ragazzo per invitarmi alla tenda della sua famiglia, ma io declinai educatamente l’invito, dal momento che non includeva Elena. Uomini e donne d’Israele non solo mangiavano ma anche ballavano separati. Naturalmente.

Aspettavo una convocazione da parte di Giosuè e, neanche a dirlo, avevamo appena finito la cena quando un giovane con una corazza di bronzo appena rubata mi si avvicinò e mi disse che Giosuè desiderava scambiare qualche parola con me.

Dissi ad Elena e a Lukka di tenersi pronti a partire, poi seguii l’Israelita alla tenda del suo capo.

La tenda era stracolma delle spoglie di Gerico: belle casse di cipresso intarsiate d’osso, d’avorio, piene sino all’orlo di fini indumenti, mucchi di drappi e coperte, tavoli che si curvavano sotto il peso di piatti e calici dorati, daghe dai complicati intagli, spade e armature, oggetti di smalto, terrecotte e brocche per il vino, cumuli di gioielli e sculture.

Memorizzai tutto con un solo rapido sguardo, poi guardai Giosuè. Sedeva su una pila di cuscini all’estremità della tenda con indosso splendide vesti, in tutto simile a un sovrano orientale. Con un gesto della mano congedò le tre ragazze che lo servivano, che mi oltrepassarono correndo, scalze, lasciandoci soli.

— Prendi quello che vuoi — disse lui indicando con grandiosità il bottino. — Qualunque cosa tu voglia, è tua. E prendi qualche gioiello per la tua bella compagna.

Ignorai quei tesori e andai direttamente verso di lui, e mi sedetti sui tappeti ai suoi piedi.

— Giosuè, non ho bisogno di niente, né lo voglio. Voglio che tu mantenga la tua promessa e ci lasci andare in pace, ora che vi abbiamo aiutato a conquistare Gerico.

Non c’era vino in vista. Le sue mani erano vuote, gli occhi limpidi. Ma sembrava quasi ubriaco. Forse di vittoria. Forse della visione di conquiste future.

— Dio ti ha messo nelle mie mani, Orion — disse. — Gli dispiacerebbe se ti lasciassi andare.

— Parli con il tuo dio, adesso?

Nei suoi occhi passò un lampo d’ira. Ma rispose abbastanza gentilmente: — Il nostro prossimo obiettivo saranno gli Amalekiti. Ci premono addosso e devono essere distrutti completamente.

— No — dissi io.

— Tu e i tuoi guerrieri ittiti valete troppo per lasciarvi andare — disse Giosuè. — Non mentre ci sono così tanti nemici intorno a noi.

— Dobbiamo partire.

Sollevò una mano conciliante. — Quando avremo pacificato la regione. Quando i Figli di Israele potranno vivere qui al sicuro, senza essere minacciati dai loro vicini. Allora potrete partire.

— Potrebbero volerci parecchi anni — dissi.

Lui si strinse nelle spalle. — È nelle mani di Dio, non nelle mie.

Io riuscii a sorridergli. — Giosuè, certamente tu, più di chiunque altro, puoi capire il desiderio di un uomo di essere libero. Io non intendo essere schiavo, né tuo né del tuo dio.

— Schiavo? — Indicò di nuovo il bottino. — Uno schiavo viene ricompensato così splendidamente?

— Un uomo che non è libero di andare dove vuole è uno schiavo, non importa quanti gingilli il suo padrone gli offre.

Si passò il dito tra i riccioli della barba. — Allora ho paura che sarai schiavo ancora per un po’, Orion. Tu e i tuoi soldati.

— Impossibile — insistetti.

— Se resisti — minacciò Giosuè con voce calma come se stesse discutendo del tempo — i tuoi uomini pagheranno per la tua testardaggine. E la tua bella donna.

Me l’ero aspettato con tanta sicurezza che non ero nemmeno un po’ sorpreso. Nemmeno adirato. Mi alzai semplicemente in piedi e lo guardai.

— Beniamino mi ha detto che il tuo dio ha colpito gli Egiziani con molte calamità, prima che il loro re vi permettesse di lasciare il territorio. Io non posso prometterti nessuna calamità, ma ti dispiacerà di averci costretto a restare.

Il viso di Giosuè si fece rosso scuro, se d’ira o di vergogna non lo sapevo. Lo lasciai lì seduto e tornai alla mia tenda.

Sia Lukka sia Elena mi chiesero ansiosi se stavamo per partire.

— All’alba — risposi. — Ora dormite un po’. Domani sarà una giornata faticosa.

33

Elena aveva ragione sulla trascuratezza degli Israeliti, per quella notte. Gli uomini di Gerico erano stati uccisi; le donne e i bambini superstiti erano rannicchiati nei resti anneriti delle loro case bruciate e saccheggiate. Non c’era bisogno di guardie o di sentinelle. Gli Israeliti dormivano profondamente dopo una giornata di cerimonie e celebrazioni.

Mi diressi silenziosamente, nel buio, verso la tenda di Giosuè. La sola luce proveniva dalle braci morenti dei fuochi da campo e dallo splendore delle stelle sopra di me. Il bagliore nebuloso della Via Lattea divideva il cielo a metà, e quando guardai in alto mi chiesi ancora una volta verso quale di quelle stelle io e il mio amore ci stessimo dirigendo quando eravamo morti.

Non c’era tempo per i ricordi. Né per le amarezze. Raggiunsi la tenda di Giosuè e scavalcai i corpi dei servi che dormivano proprio davanti all’entrata.

Dentro la tenda era buio pesto. Compresi facilmente dove Giosuè dormiva, grazie al debole calore emanato dal suo corpo. Come una vipera, risi tra me. Anche se la mia capacità era niente in confronto alla raffinata sensibilità di un serpente a sonagli. In ogni caso, percepivo una debole emanazione dall’estremità della tenda, e mi ci diressi a tentoni.

Individuai la forma di Giosuè addormentato già a pochi metri da lui. Giaceva su un fianco, abbandonato sui cuscini dove l’avevo visto qualche ora prima, indossando ancora le sue splendide vesti.

Era solo. Bene.

Allungai il braccio e gli misi la mano sulla bocca. Si svegliò immediatamente e cominciò ad agitare le braccia e le gambe. Io gli posi fermamente l’avambraccio sulla trachea e sussurrai: — Vuoi che l’angelo della morte visiti la tua tenda?

I suoi occhi si spalancarono. Mi riconobbe e si fermò.

Senza togliergli la mano dalla bocca, lo tirai in piedi e dissi: — Tu ed io faremo un piccolo viaggio.

Poi mi concentrai per passare nel mondo dei Creatori. Chiusi gli occhi e sentii un istante di freddo pungente, poi un’ondata di calore. Giosuè era bloccato nella mia stretta, con la mia mano sinistra sulla sua bocca, e la destra che gli stringeva la spalla.

Ci trovavamo su un’altura dalla quale si vedeva una grande città. Tutto il paesaggio era immerso in un fulgore dorato, e mi accorsi che per la prima volta potevo cogliere i dettagli di quel mondo, con una certa chiarezza. La città che si stendeva sotto di noi era una meraviglia di torri e guglie aggraziate, ed era chiusa nella curva protettiva di una cupola trasparente.

Giosuè aveva gli occhi che gli schizzavano dalla testa. Gli tolsi la mano dalla bocca, ma lui non disse una parola. Si limitò a guardare giù, con la bocca spalancata.

— Davvero, Orion! Questo è troppo!

Mi voltai e vidi il bruno Ermes.

— Adesso porti altre creature insieme a te — mi rimproverò. — Se lo vede qualcuno degli altri…

— Vuoi dire che non gli dici tutto? — lo rimproverai anch’io.

Lui sorrise. — Non immediatamente. Naturalmente, non ci sono segreti tra noi; le informazioni vengono scambiate, che lo vogliamo o no. Ma se fossi in te, me ne andrei prima che gli altri decidano che stai diventando troppo invadente.

— Grazie. Lo farò.

— Sbrigati — disse, e scomparve.

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