Frederik Pohl - Il lungo ritorno

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Sono gli Hakh’hli. Sono alieni. Si nutrono di carne umana. Il lungo viaggio nello spazio era alla fine. Sandy, l’umano cresciuto su un’astronave degli extraterrestri Hakh’hli, era pronto al ritorno sulla Terra. Gli alieni erano animati dalle migliori intenzioni.. Solo la scienza Hakh’hli poteva risolvere il problema di trasformare i pianeti. I terrestri avevano bisogno di quel contatto. Ma c’era da fidarsi?

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— Per quale motivo? Tanto queste immagini sono già state registrate nei vostri schedari, e al momento ho cose ben più importanti di cui parlare. Questo è il vostro sole, e qui potete vedere alcuni dei vostri pianeti…

— Sandy sbatté le palpebre. Le immagini sostavano alternando a una velocità tale da non permettergli di recepirle, e naturalmente la gente che lo circondava stava iniziando a lamentarsi per questo. Ma Polly non vi fece assolutamente caso. — Terra, Venere, Mercurio, Giove, Saturno, Nettuno, Marte. L’aspetto interessante per voi, immagino, è che si tratta soprattutto di immagini prese dai poli, scattate da un punto a nord dell’eclittica nel corso del nostro ritorno da Gamma Cefeo e da sud nel corso del nostro viaggio verso Alfa Centauri. Naturalmente abbiamo molte altre fotografie in archivio, che metteremo a vostra disposizione in seguito. Ma adesso basta con questo argomento. Luci! — ordinò con tono, perentorio. Mentre la sala tornava gradualmente a illuminarsi, Polly rivolse uno sguardo compiaciuto verso il pubblico che continuava a borbottare.

— E ora — disse-passerò alla parte più importante del mio discorso odierno. — Si interruppe rivolgendo lo sguardo verso un uomo seduto vicino a Sandy che aveva alzato una mano. — Desidera qualcosa? — gli domandò.

— Volevo solo sapere se ci verrà concessa la possibilità di porle qualche domanda — disse l’astronomo.

— Immagino di sì, ma non prima che abbia terminato il mio discorso. Vi prego di prestare la massima attenzione a ciò che vi dirò ora. Il mio diretto superiore, ChinTekki-tho, mi ha ordinato di informarvi del fatto che dovrete iniziare a intraprendere la costruzione di un acceleratore elettromagnetico, ciò che voi chiamate un “trampolino orbitale”, immediatamente. Abbiamo già identificato due luoghi ottimali per la costruzione sulla superficie del vostro pianeta. Uno si trova sull’isola che chiamate Bora Bora, l’altro sulla cima di ciò che chiamate il Monte Kilimanjaro, nel continente africano. I nostri specialisti stanno portando a termine i piani dettagliati per la costruzione, che vi verranno trasmessi entro breve tempo, e ci stiamo preparando per far scendere sulla Terra due squadre di specialisti, una per ogni trampolino, affinché possano soprintendere inizialmente alla costruzione e in seguito al funzionamento di suddetti apparecchi. Lo scopo principale dei trampolini sarà quello di lanciare in orbita la quantità necessaria di materie prime per rifornire la nostra nave interstellare, ma ChinTekki-tho ha deciso di concedervi un favore speciale, e di conseguenza alcuni fra i primi lanci serviranno per inserire determinati oggetti a propulsione autonoma nell’orbita terrestre. Questi ultimi verranno indirizzati in modo tale da entrare in collisione con gli oggetti che sono già in orbita attorno al vostro pianeta e che hanno maggiori probabilità di staccarsi dalle loro orbite nel prossimo futuro. In questo modo, sarete in grado di eliminarli a vostro piacimento facendoli cadere nei punti della superficie del pianeta in cui riterrete che potranno causare meno danni alla popolazione o alle installazioni umane. Così facendo — concluse con tono trionfante — abbiamo risolto per voi uno dei vostri problemi più pressanti. Ora potete farmi alcune domande se lo desiderate, ma vi prego — rivolse lo sguardo verso il suo orologio da polso — non molte, perché è quasi l’ora del mio pasto di mezzogiorno.

Con grande sorpresa da parte di Sandy, non vi fu alcuna domanda immediata. Il pubblico rimase in silenzio. Anche Polly rimase piuttosto sorpresa, tanto che si mise subito a contorcersi tutta per l’irritazione. Dopo un po’, indicò un uomo che si trovava qualche fila più indietro rispetto a Sandy, in posizione centrale. — Domanda — ordinò.

— Mi stavo semplicemente domandando per quale motivo non avete fotografato Urano e Plutone? — disse questi ad alta voce.

Polly emise uno sbuffo di delusione. — Perché non mi fate piuttosto qualche domanda sui punti più importanti del mio discorso? Semplicemente, non abbiamo osservato né Urano né Plutone.

— Ma se vi siete persi Urano e Plutone — insistette l’astronomo — come potete essere sicuri di non aver perso qualche pianeta anche negli altri sistemi che avete visitato?

— Noi non ci “perdiamo” i pianeti — lo corresse Polly con tono glaciale. — Semplicemente, non ci interessiamo di oggetti che non risulterebbero di alcuna utilità per noi, soprattutto per via della grande distanza dal loro sole. Naturalmente, abbiamo molte altre fotografie in archivio. Nel corso di questo viaggio, noi hakh’hli abbiamo visitato oltre 65 sistemi solari, e naturalmente abbiamo anche a disposizione dati relativi ad altri viaggi compiuti da altre navi.

— E ne ricevete tutt’ora? — domandò un altro astronomo del pubblico.

— Intende rapporti da altre navi hakh’hli? — domandò a sua volta Polly. Ebbe un attimo di esitazione, poi rispose un po’ controvoglia. — No, attualmente non ne riceviamo.

— E riguardo ai pianeti del vostro sistema originario?

— Non abbiamo alcuna immagine da mostrarvi dei nostri pianeti. I nostri antenati li conoscevano molto bene, e di conseguenza non avevano bisogno di fotografie per ricordarseli.

— Potreste almeno identificare la vostra stella d’origine sui nostri cataloghi stellari? Avete detto che si trova a soli 850 anni luce di distanza, e se è luminosa come il nostro sole, dovrebbe trattarsi di un oggetto di quattordicesima o quindicesima magnitudine almeno, e sui nostri atlanti sono segnati tutti gli oggetti di quelle dimensioni.

Polly ebbe ancora un attimo di esitazione. — Penso che possa essere identificata — disse.

— Da lei stessa?

— Non necessariamente da me in persona — rispose controvoglia. — Non al momento, almeno.

— In pratica, vi siete persi, giusto?

— Non ci siamo affatto persi! Semplicemente, non siamo più riusciti a stabilire un contatto con la nostra stella madre per via della grande distanza che ci separa. Come dovreste ben sapere anche voi, mandare un segnale e ricevere una risposta attraverso ottocento anni luce di spazio richiede un tempo pari a 1.600 dei vostri anni. Quando avremo portato a termine la nostra missione, lo comunicheremo ai nostri pianeti natii.

— Ma quale sarebbe, allora, esattamente la vostra missione?

Polly rimase in silenzio per qualche secondo, poi proruppe in un impeto di rabbia. — La nostra missione consiste nell’esplorare e apprendere! Possibile che non abbiate delle domande migliori da farmi?

— Possibile che voi non abbiate immagini migliori da proporci? — ribatté un altro astronomo. — Queste sono semplici fotografie ottiche! Non avete immagini in infrarosso, ultravioletto, raggi X o raggi gamma per accompagnarle?

— Una cosa del genere non rientra nelle nostre abitudini — rispose Polly con tono secco. A quanto pareva, stava iniziando ad arrabbiarsi sul serio. — Nessuno di voi ha intenzione di porre qualche domanda a proposito dei trampolini orbitali?

Seguì una pausa, poi Hamilton Boyle si protese in avanti verso il microfono. — Io ne avrei una — disse. — A proposito di questi progetti di costruzione che ci consegnerete, volevo sapere se li avete mai usati per costruire un simile trampolino di lancio in passato.

— Io personalmente? Certo che no.

— Magari qualcuno sulla vostra nave?

— No, ultimamente no — ammise Polly.

— Allora come potete essere tanto sicuri del fatto che funzioneranno?

Polly gli rivolse uno sguardo glaciale, a metà fra lo sconcertato e l’infuriato. — Si tratta di progetti hakh’hli — spiegò con rabbia. — Sono stati approvati dai Grandi Anziani! È naturale che funzioneranno. Non c’è nessuno che abbia qualche domanda ragionevole in proposito?

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