Sandy non aveva mai visto i propulsori principali della nave. Nessuno li aveva mai visti, a parte i tecnici specializzati appositamente generati, che erano gli unici in grado di sopravvivere (anche se non molto a lungo) alle radiazioni, che avrebbero ucciso chiunque altro, hakh’hli o umano che fosse, nel giro di poche ore. Sandy non aveva mai provato il desiderio di diventare un tecnico. Ciò che desiderava era di poter pilotare la grande nave interstellare personalmente. Naturalmente, non aveva la benché minima possibilità di poter fare una cosa del genere. E tantomeno gli sarebbe stata concessa la possibilità di pilotare la navetta, il modulo di atterraggio che lui e suoi compagni avrebbero dovuto condurre attraverso la fascia di relitti spaziali che circondava la Terra per atterrare sulla sua superficie. Il compito di pilotare la navetta spettava a Polly, anche se tutti gli altri componenti della coorte erano potenzialmente in grado di sostituirla. In quanto al simulatore di volo sul quale si addestravano tutti quanti loro… be’, quella era tutt’altra faccenda.
Il motivo principale per il quale Sandy riusciva qualche volta a inserirsi nelle lezioni al simulatore nonostante non fosse previsto un addestramento da parte sua in quel campo era che le simulazioni si tenevano sempre dopo il pasto principale di mezzogiorno, subito dopo il periodo di intontimento. E dato che Sandy era esentato dal periodo di intontimento, riusciva sempre ad arrivare sul posto prima di tutti gli altri. Inoltre, l’istruttore che si occupava delle simulazioni non era certo l’hakh’hli più furbo della nave. Occupava quella posizione solo perché aveva fatto parte dell’equipaggio che si era addestrato per l’atterraggio da qualche parte nel sistema Alfa Centauri. Alla fine non erano mai atterrati da nessuna parte, poiché non avevano trovato alcun luogo abbastanza grande per compiere un atterraggio, ma quell’istruttore rimaneva comunque l’elemento più competente che avessero gli hakh’hli per quanto riguardava il pilotaggio dei moduli di atterraggio. Non era mai stato autorizzato a permettere a Sandy di usare il simulatore, ma allo stesso tempo non gli era nemmeno mai stato ordinato di non lasciarglielo usare. Così, anche in questa occasione, dopo qualche moina, Sandy riuscì a prendere posto nella capsula del simulatore prima di tutti gli altri.
Il “sedile di pilotaggio” del simulatore non era stato costruito per un’anatomia umana, e di conseguenza Sandy si era portato dietro alcuni cuscini per sistemarsi a modo suo sull’inginocchiatoio hakh’hli che si trovava davanti ai comandi. Nel giro di un quarto di dodicesimo di giorno, o meglio, nel giro di circa trenta minuti secondo il suo nuovo orologio da polso terrestre, Sandy riuscì a portare a termine l’intera sequenza di volo, a partire dal “lancio” a repulsione magnetica con cui la navetta veniva sparata fuori dalla sua nicchia all’interno della grande nave interstellare, passando poi attraverso la correzione di rotta che l’avrebbe portata a sorvolare il Polo nord della Terra in una traiettoria discendente, schivando in seguito i vari relitti in orbita, sussultando per l’attrito all’entrata nell’atmosfera e giungendo infine a compiere un decente, o perlomeno non catastrofico, atterraggio su una piatta pianura ricoperta di neve circondata da alte montagne. Nel simulatore sembrava tutto vero. Quando la “navetta” si staccava dalla nave madre, si attivavano dei pistoni che facevano sussultare la capsula come se il lancio fosse realmente avvenuto. A quel punto gli schermi mostravano l’oscurità dello spazio, il pianeta verde sottostante e l’immagine della grande astronave che si allontanava sempre più. Quando Sandy la faceva “virare”, gli stessi pistoni inclinavano la capsula in modo tale da fornire esattamente le stesse sensazioni fisiche che si provavano in una vera virata, grazie anche alle immagini delle stelle sugli schermi che sfrecciavano via di lato. I pistoni agivano anche per suggerire i terribili scossoni dell’ingresso nell’atmosfera terrestre, e facevano altrettanto in fase di atterraggio. Una sessione con il simulatore corrispondeva più o meno a quello che poteva essere una buona partita di videogame terrestre per qualsiasi giovane adulto, solo che era molto meglio. Tuttavia, per Sandy non era sufficiente. Quando fu costretto a uscire per fare spazio al primo vero candidato al pilotaggio della sua coorte, era di pessimo umore. — Non capisco proprio perché io non possa pilotare la navetta — si lamentò con Polly… scioccamente, poiché questa gli rifilò subito un forte pizzicotto.
— Perché sei troppo piccolo, e troppo maldestro, e anche troppo stupido! — gli disse. — Ma ora fatti da parte che devo entrare io.
Sandy le rivolse uno sguardo di odio mentre entrava nella capsula. Obie gli toccò la base del collo in un gesto di solidarietà. — Se fosse per me — disse — te la farei pilotare. — Sandy scrollò le spalle. Sapevano benissimo entrambi che l’unico momento in cui Obie avrebbe potuto sperare di influenzare in qualsiasi modo il resto della coorte era ormai passato, assieme al suo breve periodo di fertilità. — Be’ — aggiunse Obie in tono amichevole — vuoi fare qualcos’altro? Io sono l’ultimo a provare; dovrò aspettare almeno un dodicesimo e mezzo prima che venga il mio turno.
— Fare che cosa? — domandò Sandy.
— Potremmo vederci un film terrestre — propose Obie. — C’è un episodio di Star Trek che vorrei rivedere. Mi piacciono quelle buffe astronavi.
— Niente da fare — ribatté Sandy con tono convinto. Non era assolutamente interessato a un film terrestre pieno di astronavi inesistenti; se doveva occupare il suo tempo libero guardando un film, doveva essere uno di quelli pieni di ragazze carine con abiti succinti. Oppure…
Si guardò attorno con aria pensierosa. Gli altri quattro in attesa avevano iniziato una partita al Gioco delle Domande (tutti i 53 stati degli Stati Uniti d’America, in ordine, da sinistra verso destra, a partire da Guam fino a Puerto Rico) ed era più che evidente che non ci tenevano a far entrare anche Sandy e Obie nella partita. Nessuno sembrava interessato allo schermo per le comunicazioni. — Be’ — disse infine Sandy — a dir la verità ci sarebbe un film che non mi dispiacerebbe rivedere. Solo che non è un film terrestre. È hakh’hli.
Obie dovette faticare non poco per trovare i vecchi nastri richiesti da Lisandro, ma quando infine le immagini apparvero sullo schermo, anche gli altri membri della coorte rinunciarono subito al loro gioco per farsi attorno. Sandy non gradì in modo particolare quest’ultimo fatto. Ciò che stavano per vedere era una sua faccenda personale, tanto che in altre occasioni aveva sempre guardato quel filmato in privato, senza nessuno attorno che potesse interferire nel suo personale e immancabile struggimento.
Si trattava della registrazione della scoperta dell’astronave terrestre alla deriva, avvenuta mezzo secolo prima. Il filmato iniziava mostrando il momento in cui l’oggetto era stato individuato, in orbita attorno al pianeta Marte. Poi le immagini della piccola nave crescevano gradatamente, man mano che l’enorme vascello hakh’hli si avvicinava per un’investigazione più dettagliata.
Invece di lanciare una navetta di ricognizione, in quell’occasione gli hakh’hli avevano deciso di mandare una semplice sonda telecomandata per capire esattamente di che cosa si trattasse. Le immagini captate dalla telecamera della sonda mostrarono la nave terrestre che si ingrandiva fino a riempire completamente lo schermo, fornendo finalmente un’idea più chiara della forma del veicolo spaziale; si trattava di una specie di siluro, con un grosso tubo di scarico a un estremità e un cono trasparente all’altra. E al di là della superficie trasparente del cono…
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