Alleo Steele - Le Fasi del Caos

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Una delle ultime invenzioni di Asimov è l’universo immaginario (ma non troppo) in cui si svolgono le avventure narrate in Le fasi del caos. Dopo aver passato una vita a raccontare le vicende di una galassia popolata soltanto da uomini e robot, Asimov immagina qui un intrigo che vede coinvolte, oltre a quella umana, altre cinque razze che conoscono il volo interstellare: razze spesso ostili e sospettose l’una dell’altra, fra cui l’uomo non fa certo brutta figura. Stabilite questo premesse, che presto daranno luogo a una serie di rapide quanto pericolose avventure, Asimov passa la mano ad alcuni brillanti scrittori; suoi allievi ideali, che svolgono la vicenda all’insegna della suspense, ma senza dimenticare una punta di ironia in omaggio al loro ispiratore.

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Colyns: Ma i Locriani che l’hanno riportata da noi, signor Beynes, non hanno detto nulla riguardo… Beynes: Perché la città è di nuovo com’era.

Colyns: Ma io… ma lei ha appena detto che… che Francisco si è schiantato con la navetta da sbarco sull’insediamento e…

Beynes: La loro religione gli proibisce di uccidere, a parte in caso di legittima difesa. Questo non ha impedito ai Pellegrini Lontani di trovare un modo creativo di farci fare penitenza…

Durante tutta la lunga notte di Mecca i Pellegrini Lontani rimasero seduti ai margini della colonia distrutta, apparentemente insensibili al freddo sceso sul deserto dopo il calar del sole, mentre gli Erthumoi stavano addossati l’un l’altro per scaldarsi, costretti al silenzio dalle instancabili guardie locriane. Ai superstiti della squadra da sbarco del Capital Explorer venne data dell’acqua, e chi aveva qualche bisogno fisiologico ebbe il permesso di allontanarsi per un breve tratto dal cerchio; ma non mangiarono nulla, e non potevano neppure parlare sottovoce tra loro. A uno a uno gli Erthumoi si addormentarono, raggomitolati, tremando nella notte gelida.

Tutti tranne Beynes, che rimase ben sveglio. Mentre la notte trascorreva lenta, osservò i Pellegrini Lontani, chiedendosi che visioni stessero contemplando i loro grandi occhi, chiedendosi di cosa stessero discutendo in quella lingua aliena. Di una sola cosa era certo: l’indomani mattina lui e i suoi compagni sarebbero stati giustiziati sommariamente. Adesso si rendeva conto della gravità del loro sconfinamento su quel mondo, dell’enormità del sacrilegio commesso distruggendo la città santa.

Provava addirittura una specie di senso di vergogna mai provato in precedenza. Sedric il cieco gli aveva detto che avrebbe potuto vedere il Vecchio Sole da Mecca; mentre scrutava il cielo stellato cercando di decidere quale punto luminoso rappresentasse il sistema che ospitava la Vecchia Terra, Beynes si ritrovò a ricordare lezioni di storia apprese a scuola e dimenticate da un pezzo. A causa della sua avidità, un antico diritto era stato violato, la reliquia di una cultura remota era stata distrutta stupidamente, proprio come il naso della Sfinge nell’antico Egitto sulla Vecchia Terra era stato mozzato dallo sparo di un soldato dal grilletto facile.

Per tale trasgressione — Beynes ne era certo — lui e i suoi uomini sarebbero morti. Nonostante quello che aveva letto nel libro locriano, non riusciva a concepire altra pena confacente al loro atto sacrilego.

Quando Epsilon Indi spuntò all’orizzonte, i Pellegrini Lontani si mossero, interrompendo la lunga meditazione. Senza mettere il casco, si girarono e tornarono lentamente dagli Erthumoi prigionieri, che erano già stati svegliati dalle prime luci dell’alba. Mentre gli altri Pellegrini Lontani attendevano all’esterno del cerchio di guardie, Portavoce-con-gli-Erthumoi avanzò e si avvicinò a Beynes.

Mentre il primo ufficiale osservava, Portavoce-con-gli-Erthumoi spinse indietro il cappuccio del mantello. Poi, inaspettatamente, la membrana esterna scagliosa dell’unico occhio del Locriano si ritrasse, mostrando il globo a Beynes. Una vista sgradevole; Beynes ebbe un brivido di disgusto interiore, e lottò contro l’impulso di distogliere lo sguardo. Sapeva, naturalmente, che i Locriani erano molto vulnerabili quando i loro occhi erano esposti.

Volendo, avrebbe potuto uccidere Portavoce-con-gli-Erthumoi sferrandogli un pugno in faccia. Ma intuì che sarebbe morto ancor prima di riuscire ad alzare la mano. Così, rimase immobile e si sforzò di fissare quell’occhio orrendo.

Dopo un po’, Portavoce-con-gli-Erthumoi parlò. — Abbiamo deciso la vostra penitenza — disse. — Non morirete, nonostante quel che pensate, primo ufficiale Arne Beynes. Noi non uccidiamo, tranne quando siamo costretti a sopprimere altre vite per proteggere le nostre.

Beynes rimase scosso, invece di sentirsi sollevato. Sembrava che il Locriano fosse riuscito a leggergli nell’animo. Dimenticando la proibizione di parlare, chiese: — Allora cosa ci succederà?

— A tempo debito — continuò Portavoce — tu e i tuoi compagni tornerete tra i vostri simili, con una spiegazione di quel che è accaduto su questo mondo. Anche se la vostra colpa è grave, lo è anche il fatto che noi abbiamo distrutto la vostra nave e gli Erthumoi a bordo. Tuttavia questo è un evento isolato, e non gioverà né agli Erthumoi né ai Locriani se permetteremo che degeneri in una guerra tra le nostre razze. Abbiamo già versato abbastanza sangue.

Il Pellegrino Lontano fece una pausa. — Naturalmente, a patto che sia fatta penitenza.

Beynes trasse un profondo respiro, che parve stridergli nel petto. — Che tipo di penitenza, Portavoce?

— Avete letto la nostra storia — disse il Locriano. Tese un arto, e Beynes restituì il libro ricevuto la sera prima. Portavoce-con-gli-Erthumoi lo ripose nella tasca interna del mantello. — Quindi, adesso sapete com’è stata costruita questa città e perché. I Pellegrini Lontani vengono in pellegrinaggio qui da centinaia di anni standard. È fondamentale per la nostra fede che questo luogo rimanga intatto per via dei sacrifici fatti. Dovrà continuare a essere com’era, anche se il sacro lavoro dovrà essere svolto da degli Erthumoi questa volta.

Beynes era confuso. — Non capisco… — iniziò.

— No — disse Portavoce — ma alla fine capirete, quando avrete fatto quei sacrifici voi stessi.

E fu allora che Beynes intuì quale fosse la penitenza decisa dai Pellegrini Lontani.

Colyns: Avete… avete ricostruito la città locriana?

Beynes: Noi cinque siamo stati abbandonati su Mecca per ricostruire la città. I Locriani ci hanno risparmiato la vita… ma in cambio hanno preteso il nostro lavoro. Ci hanno lasciato cibo e acqua a sufficienza per sopravvivere, più tutto il materiale recuperabile dai rottami della navetta. Ma hanno distrutto i nostri robot per impedirci di usarli, e hanno portato via tutti gli attrezzi che avrebbero potuto aiutarci nella ricostruzione della città, e tutti i nostri comunicatori perché non potessimo mettere insieme un radiofaro e lanciare dei segnali. Proprio come i Pellegrini Lontani naufragati su Mecca, anche noi abbiamo dovuto costruire la città con le nostre mani, se non altro perché avevamo bisogno di un riparo.

Colyns: E i Locriani… non hanno mai controllato l’andamento del vostro lavoro?

Beynes: Nel nono mese di ogni anno siderale, un gruppo di Pellegrini Lontani veniva in pellegrinaggio su Mecca. Quando arrivavano, ci portavano cibo, acqua, medicinali, tutto quello che ci occorreva.. tranne degli attrezzi o la libertà. ogni volta che venivano, noi avevamo ricostruito un’altra piccola parte della loro città, e ogni volta i superstiti del nostro gruppo pensavano che i Locriani finalmente avrebbero avuto pietà. Li abbiamo implorati, Colyns, li abbiamo supplicati… ma solo la morte è stata misericordiosa con noi. Colyns: Il suo equipaggio…

Beynes: Tutti morti… a uno a uno, nei sette anni successivi, ricostruendo quella maledetta città. Una morte lenta… anche se ci avessero dato l’attrezzatura necessaria, non sarebbe cambiato nulla. Per via dell’atmosfera rarefatta ci stancavamo facilmente, e sembrava sempre che non avessimo la forza di continuare. Ci sentivamo come ubriachi, quasi perennemente… era l’aria a ridurci in quello stato… L’aria… e il caldo… o il freddo in inverno. Non so quale fosse la cosa peggiore. C’è voluto più di un anno solo per togliere i rottami della navetta dalle rovine e trascinarli fino alla discarica. Abbiamo potuto utilizzare una parte dei rottami per costruire le cupole, ma perlopiù abbiamo usato terra e sudore. Sudore, sputo, piscia, sangue… qualunque cosa potesse servire a compattare la terra… Colyns: Non…

Beynes: Abbiamo usato la nostra saliva e la nostra piscia per cementare i muri, e quando uno di noi moriva gli cavavamo il sangue e lo usavamo per costruire le cupole… Colyns: Io… io…

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