Alleo Steele - Le Fasi del Caos

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Una delle ultime invenzioni di Asimov è l’universo immaginario (ma non troppo) in cui si svolgono le avventure narrate in Le fasi del caos. Dopo aver passato una vita a raccontare le vicende di una galassia popolata soltanto da uomini e robot, Asimov immagina qui un intrigo che vede coinvolte, oltre a quella umana, altre cinque razze che conoscono il volo interstellare: razze spesso ostili e sospettose l’una dell’altra, fra cui l’uomo non fa certo brutta figura. Stabilite questo premesse, che presto daranno luogo a una serie di rapide quanto pericolose avventure, Asimov passa la mano ad alcuni brillanti scrittori; suoi allievi ideali, che svolgono la vicenda all’insegna della suspense, ma senza dimenticare una punta di ironia in omaggio al loro ispiratore.

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Con un’asprezza che andava oltre le sue intenzioni, disse: — Permettimi di ricordarti che le razze galattiche sono d’accordo sul fatto che non si dovrebbe favorire la conquista del volo stellare degli indigeni.

— Lo so — disse Richter. — Eppure, mi chiedo cosa avrebbe fatto il Popolo Misterioso in questo caso…

Bortha fece guizzare la lingua tra i denti, manifestando esasperazione. Per quello che erano in grado di dire le sei specie stellari presenti, il Popolo Misterioso si era tuffato in un buco nero milioni di anni prima e lo aveva richiuso alle proprie spalle, lasciando dietro di sé solo alcuni manufatti enigmatici come quello accanto a cui erano accampati Bortha e Richter. Tutte le razze stellari erano convinte che il Popolo Misterioso fosse stato quasi onnisciente e di una benevolenza pressoché assoluta.

Secondo Bortha, però, la benevolenza pressoché assoluta non sarebbe bastata… ci sarebbe voluto qualcosa di più per decidersi ad aiutare i La Se Dani a espandersi. Disse: — Questi individui innervosirebbero perfino il Popolo Misterioso.

— Il Popolo Misterioso se la caverebbe in qualche modo. — Richter ne era più che sicuro; la sua radiazione emozionale parlava chiaro. — Dato che non è qui a guidarci, dobbiamo arrangiarci da soli. Credo che ce la faremo, in un modo o nell’altro.

Non si dovrebbe permettere agli Erthumoi di muoversi liberamente nella galassia, pensò Bortha. L’inglese standard possedeva un’espressione su cui Bortha si era scervellato-a a lungo: «cavarsela alla meno peggio». Nella lingua naxiana si traduceva come una contraddizione in termini evidente: procedere a casaccio, irriflessivamente, senza un programma definito, con forti sottintesi della mancanza di trasmissione generazionale d’esperienza tipica degli animali. Ma nel linguaggio erthuma, le connotazioni di quell’espressione erano tutte positive. La trascuratezza era una strana virtù di cui vantarsi… una virtù dimostrata ripetutamente nella storia erthuma, però.

— Guardando voi Erthumoi — disse Bortha — mi chiedo come abbiate fatto a non seguire la strada distruttiva dei La Se Dani.

— Me lo chiedo anch’io, a volte — ammise Richter. — Io…

S’interruppe di colpo, perché a breve distanza risuonò un crepitio serrato di armi da fuoco leggere. Insieme a Bortha, si affrettò a raggiungere la tenda che dividevano; era a prova di armi più pesanti dei fucili. Su La Se Da, un equipaggiamento del genere era indispensabile.

Molti altri fucili cominciarono a sparare ai margini dell’area protetta creata dai La Se Dani di Fa Na Ye attorno al manufatto del Popolo Misterioso. — Vorrei che imparassero che non tutti quelli non della loro fazione sono nemici — disse Bortha.

Richter corrugò la fronte. Bortha sapeva leggere le espressioni facciali erthuma; erano utili quando l’argomento discusso non suscitava forti reazioni emozionali negli Erthumoi. Richter disse: — Bortha, hai imparato l’inglese standard così bene che quando lo parli riesci a confondere. — Mentre Bortha cercava di capire se fosse un complimento o un’offesa, Richter proseguì: — Comunque, penso sempre che la tua severità nei confronti di questa gente sia eccessiva. Tutte le razze stellari preferiscono trattare con i loro simili. Tu non preferiresti essere qui con un altro Naxiano invece che con me?

Dato che la risposta a quella domanda era sì, Bortha non rispose. Disse: — La preferenza è una cosa, il massacro è una cosa diversa. — Richter bofonchiò. Dalle sue emozioni, Bortha capì di avere colpito nel segno, però percepì che fondamentalmente l’atteggiamento del rappresentante erthuma verso i La Se Dani non era cambiato.

Pensò di continuare a discutere, poi decise di rinunciare. Gli Erthumoi erano individui ostinati, troppo propensi ad andare nella direzione opposta a quella in cui si sperava di spingerli. Certe volte Bortha pensava che fossero ancor più strani dei Crotoniti. Forse c’entrava la loro anatomia, che presentava arti permanenti. Gli psicologi naxiani speculavano spesso su quel punto; i più ritenevano che la loro mutabilità fisica li rendesse più flessibili mentalmente, meno intransigenti di altre razze.

E questo cosa significava? Che era più probabile che Richter facesse cambiare parere a Bortha che non viceversa? Bortha si augurava di no. Gli spari ai margini dell’area protetta erano cessati, ma un La Se Dano ferito continuò a urlare. Infine echeggiò un altro colpo. Poi, il silenzio.

— Chiedo scusa per il frastuono di ieri — disse Jo Ka Le quando si unì ai galattici il mattino dopo. — Solo qualche razziatore di Vu Te Mi. Li abbiamo massacrati. — Sprizzava una soddisfazione evidentissima… almeno per Bortha.

— Perché uno ha gridato così a lungo? — chiese Bortha.

— Perché soffriva, e per permetterci di godere della sua sofferenza — rispose Jo Ka Le. La crudeltà era un vizio La Se Dano; l’ipocrisia, no. Ma la crudeltà sincera non era meno crudele di qualsiasi altro tipo di crudeltà. Bortha non trovava nulla di ammirevole in tale atteggiamento, e tornò a domandarsi come Richter potesse comprendere e giustificare quella gente. Una volta tanto, il suo senso empatico non gli-le fu di grande aiuto. Sapeva cosa provava l’Erthuma, ma non il perché.

— Dobbiamo procedere con il programma odierno? — disse Richter. — Oggi tocca a voi, Jo Ka Le.

— È tutto pronto — disse Jo Ka Le. Da quando era stato rinvenuto quel nuovo manufatto del Popolo Misterioso, galattici e La Se Dani si erano avvicendati nel tentativo di capirne la funzione. Il metodo La Se Dano — come prevedibile, secondo Bortha — consisteva nel cercare di saggiarne la resistenza. Gli indigeni avevano provato a segarlo, lo avevano bombardato con raggi x, microonde, laser militari, gas corrosivi… tutto tranne le armi nucleari, e forse avrebbero usato anche quelle se il manufatto si fosse trovato più lontano da uno dei loro centri urbani.

Con il loro approccio aggressivo non avevano scoperto nulla. Le razze stellari disponevano di sistemi d’indagine più raffinati ma, al pari dei La Se Dani, non avevano ottenuto alcun risultato. La maggior parte dei congegni lasciati nella galassia dal Popolo Misterioso erano e rimanevano incomprensibili. Ma i pochi che si riusciva ad attivare, o che funzionavano spontaneamente, facevano cose così sorprendenti e così al di là della tecnologia dei galattici che tutti i manufatti dovevano essere esaminati a fondo.

Jo Ka Le disse: — Forse dei fasci di particelle concentrati ci daranno un’idea della struttura interna del manufatto.

— Forse — disse Bortha. Non ci credeva, ma doveva ammettere di non essere completamente sicuro-a. L’energia che i La Se Dani avrebbero riversato nei fasci di particelle avrebbe provocato disturbi elettromagnetici avvertibili sulla superficie della loro luna più vicina. Gli approcci brutali alla tecnologia avevano dei limiti, però a volte consentivano di ottenere risultati importanti e impensati aprendo nuove vie quando gli sperimentatori erano sul punto di arrendersi.

Sotto la direzione di Jo Ka Le, la squadra scientifica di indigeni trascorse la mattinata installando l’apparecchiatura del raggio di particelle. A circa metà dell’operazione, qualcosa andò storto. Jo Ka Le inveì contro lo sfortunato ricercatore responsabile del settore in cui era sorto il problema. Invece di provare la rabbia che Bortha avrebbe provato per un trattamento simile, lo scienziato tremò di paura… una paura intensissima che lo paralizzò, gli impedì di sistemare le cose, e fece venire i brividi a Bortha.

Non annoverando la pazienza tra le sue doti, Jo Ka Le ignorò le spiegazioni farfugliate dal ricercatore, e lanciò un ultimo urlo di collera, chiamando due La Se Dani armati che portarono via lo sventurato subalterno.

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