Fred Hoyle - La voce della cometa
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- Название:La voce della cometa
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- Издательство:Longanesi & C.,
- Жанр:
- Год:1986
- Город:Milano
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«Potrei farlo fare al CERN. Saresti disposto a passarmeli?»
Mike Howarth rifletté per un po’ e disse poi in tono estremamente serio: «Sì, penso di sì. Soprattutto perché tu hai fatto qualcosa di importante nel campo della fisica. Tuttavia ti chiederei di non dire a nessuno che cosa significano».
Isaac Newton annuì e chiese: «Hai qui tutti i dischi?»
Quando Mike Howarth annuì a sua volta, Newton continuò: «Devo andare a Ginevra in settimana. Li porterò con me e darò inizio al lavoro. Devo ancora mettere a posto varie cose al CERN per cui dovrò fare più di qualche viaggetto. Mi assicurerò che il lavoro venga portato a termine senza perdite di tempo. Scegli i dischi che ci vogliono, etichettali con cura e io li chiuderò a chiave in questa scrivania».
Isaac Newton aveva comprensione per la riluttanza di Mike Howarth a cedergli i dati, ma non si aspettava la risposta che Howarth gli diede.
«Se non ti dispiace, non lascerei i dischi qui. Li terrò io e te li porterò quando mi avvertirai che stai per partire per la Svizzera.»
«Non ne possiedi delle copie?»
«Sì, ma non è questo il motivo.»
«Temi che qui non sarebbero al sicuro?»
«No, non lo sarebbero. Quest’ufficio è stato usato da ogni sorta di gente negli ultimi diciotto mesi. Non ho la minima idea di quante persone potrebbero avere le chiavi della tua scrivania.»
Incuriosito per quella che considerava una preoccupazione paranoica di Howarth, Isaac Newton si sporse dalla poltrona.
«Ma perché, allora, li tieni nel laboratorio?»
«Non li tengo qui. Non mi sognerei nemmeno. Ho portato il materiale per farlo vedere a te.»
«Non capisco per quale motivo qualcuno dovrebbe rubare il materiale.»
«Ecco!» esclamò Mike Howarth. «Parli così perché pensi che siano tutte balle, perché cerchi di tenermi buono. Ma se tu ammettessi che ho ragione, capiresti perché molta gente vorrebbe rubare i dischi. Qualcuno al CERC, tanto per cominciare. I funzionari dell’amministrazione statale non lasciano mai in giro prove, ti pare? Gli argomenti delicati vengono trattati per telefono, non per iscritto, non è così? Poi, quando accade il disastro, non c’è nulla di scritto, all’infuori, forse, di poche frasi ambigue che dovrebbero avere un certo significato, ma che in realtà non dicono nulla se uno le pondera bene. Sono sicuro che tu conosci meglio l’andazzo di quanto possa spiegartelo io.»
«Immagino che sarebbero nelle peste se dovesse saltare fuori che hai ragione», rispose ridendo Isaac Newton. «Per conto mio spero che questo sia l’esito, ma vedremo. Ciò che non riesco a immaginare è come al CERC potrebbe venire l’idea di scassinare il Cavendish Laboratory.»
«Non lo farebbe. Incaricherebbe una talpa all’interno, naturalmente. Come ho già detto, c’è un mucchio di gente che tenta di ingraziarsi il CERC.»
«Non esiste qui una sola persona di cui ti fidi?»
«Beh, mi fido di te, e poi c’è qualcun altro, naturalmente. Frances Haroldsen, tanto per citarne una.»
Isaac Newton d’improvviso ricordò le conversazioni con Boulton e con il Drago. Si rese conto che l’aspetto tecnico della sua discussione con Howarth aveva placato per un attimo in lui il sospetto che le traversie finanziarie degli ultimi tredici anni avessero spinto in qualche modo l’università verso uno stato di demenza. Deciso a ragionare su basi solide e mettere al bando le bubbole, chiese in tono deciso: «Immagino che tu abbia un conto in banca?»
«Sì, naturalmente.»
«Dove?»
«Alla Barclays.»
«Quale filiale?»
«Nella sede di Bennet Street. Ma perché?»
«Perché adesso andiamo a trovare subito il direttore e tu gli chiederai di mettere nella sua cassaforte questi dischi. Inoltre dirai al direttore che l’unica persona autorizzata a portare via i dischi sono io. Sono stato chiaro? Altrimenti non se ne fa niente.»
7
Isaac Newton era ritornato da poco dalla visita alla Barclays Bank quando il Drago si affacciò sulla porta per annunciare, come se stesse scagliando una freccia nell’ufficio:
«E’ arrivato il «Geist»!»
Un ometto con gli occhiali e la testa piuttosto grossa entrò dicendo: «Noi non ci conosciamo ancora, professor Newton. Sono John Jocelyn Scuby, segretario delle facoltà».
Per antica tradizione, una grande poltrona di cuoio nero era riservata esclusivamente ai visitatori speciali del professore in carica. Jocelyn Scuby si calò nella poltrona con un sospiro di sollievo. Poi, improvvisamente, si spostò con una mossa impacciata verso l’orlo del sedile, come se la sua soffice comodità lo avesse messo a disagio.
«Devo spiegare», cominciò Scuby a mezza voce, quasi con il fiato corto, «che in tempi più felici il General Board (5) permetteva ai singoli istituti di badare alla propria contabilità senza alcuna interferenza.
«La contabilità veniva naturalmente esaminata dai revisori dell’Università, ma questa era una procedura, a voler essere sinceri e pur evitando ogni critica, che non si è mai rivelata soddisfacente», continuò Scuby.
«So quello che lei vuol dire. Quando un revisore non è un revisore, e roba del genere.»
«Esattamente. Sono contento che lei comprenda ciò che voglio dire senza che io debba spiegarle tante cose. Questa faccenda, una volta arrivata alla fase della discussione, impegnava per molto tempo il General Board.»
«Lo immagino.»
«Beh, è andata a finire che io stesso faccio il giro degli istituti. Prima che la contabilità sia già pronta, per essere precisi. Lo faccio in parte per sincerarmi che tutto è in ordine e in parte perché così ho la possibilità di suggerire qualche piccolo risparmio. Spero che lei comprenda anche questo, professor Newton.»
«A dir il vero, capisco benissimo queste cose», rispose Isaac Newton. «Ecco, vede, signor Scuby, ho fatto la mia prima esperienza amministrativa al CERN — il Consiglio Europeo delle Ricerche Nucleari — quando mi chiamarono a far parte del comitato del laboratorio per le piccole spese, il «Conseil pour quelque chose restreint», come lo chiamavamo. A quell’epoca avevo venticinque anni. Ero appena venuto da Cambridge e quindi ancora da dirozzare. Il nostro compito era quello di evitare sprechi nel laboratorio. E’ stato allora che mi sono reso conto del numero veramente stragrande degli sprechi, tutte cose che altrimenti non avrei notato.»
John Jocelyn Scuby unì ancora più strettamente le mani e si avvicinò ancora di più all’orlo della poltrona.
«Lei mi vuol dire che vi sorvegliavate da soli?» Isaac Newton annuì e Scuby continuò: «Beh, ecco una notizia che non mi sarei aspettato. Non ho mai conosciuto degli scienziati capaci di mostrarsi molto disciplinati. Per essere più preciso: non ho mai trovato un istituto capace di molta autodisciplina».
«E’ un po’ una questione di ordini di grandezza. Quando un’iniziativa assume le proporzioni di un CERN, o si è disciplinati oppure si va in fallimento. Nel nostro caso avevamo molti motivi per rispettare la disciplina. Fino a quando ci mantenevamo entro i limiti del bilancio — cioè entro i limiti delle stime convenute a livello internazionale — eravamo padroni di noi stessi. Nessuna interferenza da fuori. Se invece uscivamo dai limiti del bilancio, le varie burocrazie cominciavano a fare ogni sorta di domande. Ora, chi ha dovuto subire questa specie di intervento è capace di grossi sacrifici per evitare che il fatto si ripeta. Inoltre, questa esperienza con il Comitato per le piccole spese mi è stata molto utile quando, più tardi, io stesso ho cominciato a spendere somme notevoli.»
Jocelyn Scuby era molto compiaciuto per la piega presa dalla conversazione, tuttavia rabbrividì visibilmente quando Isaac Newton si definì uno che spendeva molto.
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