Fred Hoyle - La voce della cometa

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Fred Hoyle, nato nel 1915 nello Yorkshire, astronomo e matematico, è autore di romanzi di fantascienza basati su ipotesi rigorose. Tra essi «La nuvola nera» (1957), «A per Andromeda» (1962), «Inferno» (1974).

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«Se qualcuno mi chiedesse quante probabilità ha la teoria di Howarth di essere giusta, risponderei: una su cento, ma questo non significa che è «completamente» priva di senso», rispose in tono ancora pacato.

Clamperdown respinse il ramoscello d’ulivo che Isaac Newton gli offriva, e andò avanti come un elefante in un negozio di cristalleria.

«Come CERC non siamo interessati a iniziative con così scarse possibilità di successo», disse in tono asciutto.

«Invece dovreste esserlo», ribatté Isaac Newton, riuscendo ancora a dominarsi. «Quando esiste la possibilità che da una spesa piuttosto modesta venga fuori qualcosa di grosso, dovreste correre il rischio perché una di queste scommesse si rivelerà prima o poi redditizia.»

«Dobbiamo tenere conto del comitato di controllo amministrativo, professor Newton. Quello non la pensa come lei.»

«Proprio per questo, i fondi riservati al finanziamento delle scienze sono un disastro in piena regola», replicò Isaac Newton, schiacciando un po’ l’acceleratore. «Come sarebbe stato un vero disastro se le ricerche petrolifere fossero state finanziate dal governo. Poiché nove pozzi su dieci trivellati non danno petrolio, voialtri evitereste qualsiasi trivellazione.»

«Credo che ben pochi sarebbero d’accordo con lei», disse Clamperdown, in tono ancora più asciutto, sollevandosi dalla poltrona. «Spero che lei non insisterà in proposito.»

«Perché? Il CERC non mi concede il diritto di appello?»

«Naturalmente sì, ma non credo che avrebbe successo, visto il tempo che è già stato sprecato per questa faccenda. Non stavo pensando al CERC ma agli interessi di maggiore portata del suo laboratorio.»

Isaac Newton si mise a picchiettare con la matita sulla scrivania.

«Lei pensa probabilmente al fatto che io ho delle relazioni che vanno al di là dei canali normali. Beh, si tolga di mente ogni preoccupazione in questo senso. Non corro rischi quando ho solo una probabilità su cento di riuscita.»

«In questo lei è molto ragionevole.»

«Ma se le probabilità dovessero aumentare, come potrebbero, il mio punto di vista potrebbe cambiare. E per quanto riguarda il ricatto nei confronti di questo laboratorio, mi lasci dirle a tutte lettere che le future richieste di finanziamento inoltrate da questo laboratorio saranno ben ponderate, ben documentate e debitamente precise per quanto riguarda i costi. Se le domande di finanziamento dovessero essere trattate dal CERC in base a pregiudizi e respinte, non esiterei a servirmi di ogni mezzo a mia disposizione per controbattere il CERC. Ma siccome lei questo lo sa molto bene, signor Clamperdown, l’esame della domanda di finanziamento non sarà basato su alcun pregiudizio. Anzi: è probabile che accada il contrario. E siccome più che la scienza vi preme di sopravvivere, starete certo molto attenti e assumerete un atteggiamento benevolo nei confronti delle richieste di finanziamento inoltrate da questo laboratorio. Questa secondo me è stata la parte utile della nostra discussione. Forse ci incontreremo ancora, signor Clamperdown, in circostanze più felici per bere insieme un bicchiere di «Orangensaft».»

9

Isaac Newton sentì l’assoluta necessità di respirare una boccata di aria fresca dopo l’incontro con Clamperdown. Gli venne in mente di esplorare le palazzine all’altra estremità della Madingley Road dov’era alloggiato, lui lo sapeva, l’istituto di astronomia. E già che c’era sarebbe stata una buona idea farsi prestare un trattato o due sulle comete. Così si diresse verso la strada e fu sul punto di arrivarci quando sentì qualcuno che lo chiamava.

«Signore! Ci dà una mano?»

Tre giovani stavano spingendo un furgone in salita sulla strada costringendo i veicoli di passaggio a descrivere un’ampia curva. Poiché non gli sembrava bello rifiutare, Isaac Newton si affiancò a uno dei giovani che stava spingendo da dietro, mentre gli altri due erano davanti, ai due lati.

«Dove siete diretti? Saint Neots?» chiese Newton.

«Ma no!» rispose con una risata il giovane al suo fianco. «Si tratta solo di qualche centinaio di metri, ma è già abbastanza. Sono proprio sfinito.»

Mentre Isaac Newton spingeva, appoggiato alla parte posteriore del furgone, udì un orribile rumore proveniente dall’interno del veicolo, un rumore che non riusciva a identificare, un brontolio che da prima gli parve il ringhiare di un grosso cane, ma dopo un po’ si rese conto che non poteva essere questa la fonte. A un certo punto attraversarono la strada per imboccare un viottolo lastricato in cemento sullo stesso lato dove sorgeva il laboratorio. Il ringhiare continuò. Isaac Newton stava giusto pensando di chiedere agli altri una breve sosta per riposare quando dall’interno del furgone si udì un formidabile ruggito, seguito da un violento colpo sullo sportello posteriore sopra la sua testa.

«Susie si sta scocciando», spiegò il giovane che aveva al fianco.

«Chi è Susie?» riuscì a borbottare Isaac Newton.

«La nostra leonessa», spiegò il ragazzo. «Deve farsi curare i denti.»

Poi, Isaac Newton si rese conto che il viottolo portava naturalmente alla facoltà di veterinaria.

A questo punto furono raggiunti da vari altri giovani e ragazze per cui la fatica di colpo si alleggerì, permettendo a Isaac Newton di leggere un cartello sul quale stava scritto: ALL’OSPEDALE DEGLI ANIMALI GROSSI. Davanti alla palazzina della facoltà si radunò una piccola folla, e apparve un uomo che doveva essere evidentemente il capo. Aveva la bocca incurvata in un largo sorriso e occhi di un azzurro intenso. Quando notò Isaac Newton, un po’ defilato, si avvicinò e disse: «Sono Featherstone, professore di scienze veterinarie».

«Io sono Newton. Sono appena arrivato al Cavendish.»

«Già, ho visto la tua fotografia», fece l’uomo dagli occhi azzurri, annuendo. Poi gridò: «E ora tutti indietro, un bel po’ indietro».

Lo sportello posteriore del furgone si aprì. Isaac Newton si aspettava di vederne uscire con un balzo la leonessa, ma l’animale esitò per un attimo, e proprio in quello si udirono vari leggeri sibili. Isaac Newton rimase sorpreso dalla rapidità con cui i tranquillanti fecero effetto. Susie si accasciò e i ragazzi la misero in un baleno su una barella portandola poi all’interno della palazzina.

«Dobbiamo essere molto svelti», spiegò Featherstone, «altrimenti è un casino senza fine.»

«Non sapevo che aveste animali del genere da queste parti.»

«Oh, abbiamo un po’ di tutto. Elefanti, giraffe, lama. Nominane uno e lo abbiamo. E’ un vero giardino zoologico.»

«Un po’ come al Cavendish. A proposito, dove potrei trovare uno di questi tranquillanti? Potrebbe venir comodo.»

«Ti credo senz’altro», rispose ridendo Featherstone, «ma le autorità controllano con occhio di lince i tranquillanti. Son più difficili da ottenere delle armi da fuoco. Ma nel nostro lavoro sono indispensabili.»

«Sarei disposto a darti in cambio due o tre grosse bombe.»

«Sarà meglio che tu mi dia l’elenco dei bersagli da colpire, e vedremo che cosa si può fare», rispose Featherstone con un ghigno. «Magari vengo a trovarti uno di questi giorni.»

Poi si strinsero la mano e un istante dopo tutti, all’infuori di Isaac Newton, scomparvero all’interno della palazzina. Newton, che non desiderava assistere all’incontro di Susie con il dentista degli animali, anche se l’idea in certo modo lo attirava, prese la scorciatoia per ritornare al laboratorio. Quando passò accanto al cartello indicatore, lo guardò per un po’ pensando di farne piazzare da Scrooge uno simile davanti al laboratorio, con la scritta ALL’OSPEDALE DEGLI ANIMALI ANCORA PIU’ GROSSI.

Salì di corsa la scala per tornare in ufficio rendendosi conto di aver dimenticato completamente Clamperdown dal momento in cui aveva cominciato a spingere il furgone. Lo stava aspettando una ragazza, una ragazza con la gradevole figura menzionata da Jocelyn Scuby. Questa non poteva essere che la signorina Haroldsen, pensò immediatamente Isaac Newton. Inoltre accantonò immediatamente la sconcertante questione di come una novella Mata Hari potesse vantare le prodezze accademiche di Frances Haroldsen, perché in lei non c’era proprio niente di torbido.

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