Fred Hoyle - La voce della cometa
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- Название:La voce della cometa
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- Издательство:Longanesi & C.,
- Жанр:
- Год:1986
- Город:Milano
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La macchina riuscì a salire finalmente, seppure con molta lentezza, fino alla sommità dell’altura, e Frances Margaret esclamò, mentre cominciavano a scendere a rotta di collo il versante opposto: «Tienti stretto se ti è cara la vita!» Schiacciò a tavoletta l’acceleratore, e un grande sorriso sul suo volto eccitato rivelò una chiostra di denti perfetta.
«Comincia a mancarmi il fiato», brontolò Isaac Newton. «Ti andrebbe di rallentare un po’? Dove stiamo andando, a proposito?»
«Pensavo di cominciare all’Old Mitre, a Babraham.»
Il parcheggio dell’Old Mitre era gremito di grosse automobili lussuose.
«Poveri coltivatori diretti, ridotti in miseria dalla Comunità Europea», disse Frances Margaret, infilando con accorte manovre la vecchia macchina sportiva in uno spazio ristretto, disdegnato dalle auto lussuose arrivate in precedenza. E mentre Isaac Newton scendeva, sempre a furia di contorsioni, dall’automobile, la ragazza soggiunse: «Temo di aver preso una piccola cantonata: immaginavo che si trattasse di un posticino tranquillo, e così ho prenotato un tavolo».
Il rumore proveniente dal bar si diffondeva in ogni angolo del locale, e fu proprio al bar che vennero avvertiti che dovevano aspettare finché il tavolo per loro fosse pronto.
«Hanno avuto tempo tutto il giorno per preparare i tavoli. Sì, grazie, un succo di pomodoro va bene; con parecchia Worcester sauce, tanto per darmi un po’ di grinta», fece Frances Margaret con un’espressione che non prometteva nulla di buono per gli uomini schierati lungo il bancone che si stavano contorcendo sugli alti sgabelli con gli occhi puntati su di lei. Rivolta a Isaac Newton in maniera all’apparenza confidenziale, ma con un tono di voce che si sarebbe potuto sentire dall’altra parte del villaggio, continuò: «Bere durante il «pasto» fa bene alle «coronarie», sai. Ma bere seduti sullo «sgabello del bar è micidiale». Secondo i «medici», la formazione di «emboli nel sangue» si accorda perfettamente con lo stare seduti su uno «sgabello del bar». Questo vale specialmente per gli «uomini», e specialmente se in «eccesso di peso». Gli «emboli» esercitano la loro opera «mortale» in ogni parte del «corpo». Decine di casi vengono registrate «ogni ora». I locali come questo sono tutti provvisti di «barelle», pronte ad «accogliere» questi poveracci quando «cadono» dagli sgabelli come tante mosche…»
Isaac Newton, frastornato, ebbe la sensazione che un cameriere e il barista sollevassero con un unico movimento Frances Margaret e lui per portarli nella sala da pranzo.
«Bene», annui Frances Margaret, «fin qui tutto bene. E scommetto che anche il servizio sarà altrettanto rapido.»
«Era necessario comportarsi così?»
«L’arma migliore, nella vita, è il menefreghismo. Da un pezzo ho scoperto che riesce a comandare chi non si cura minimamente di ciò che pensa la gente», rispose Frances Margaret, sgranocchiando voracemente un panino.
Mentre la sala da pranzo cominciava a riempirsi, le occhiate furtive nella loro direzione diventavano sempre più frequenti, al punto da dare a Isaac Newton la sensazione che stesse per succedere ancora qualcosa.
Riuscendo a conferire un tono stranamente intimo alla propria voce, peraltro udibile quanto prima, Frances Margaret chiese improvvisamente: «Immagina di avere un «uovo». Fuori, nello «spazio cosmico»».
«Un uovo sodo, vuoi dire?» chiese Isaac Newton, cercando di mascherare il proprio stupore.
«No, un «uovo» fresco, appena deposto dalla «gallina». Credi che l’uovo «si raffredderebbe»?»
«E’ presumibile», rispose ancora Isaac Newton, notando che la conversazione intorno a loro era cessata del tutto.
Silenzio o no, Frances Margaret continuò sullo stesso tono: «Diventerebbe «duro» come una «pietra», ti pare?»
«Anche più duro.»
«Esattamente. Questo è «molto» importante. Non potrebbe essere più importante, sai?»
Isaac Newton si rendeva conto ormai che l’affermazione all’apparenza sballata di Frances Haroldsen era in realtà basata su una certa logica e aveva un suo significato. Per tutto il resto della cena continuò a pensarci senza riuscire a capire perché un uovo appena deposto e diventato più duro di una pietra nello spazio fosse importante. Quando arrivarono al caffè si strinse nelle spalle e rinunciò a risolvere l’enigma. Gli sarebbe piaciuto che qualcuno lo avesse proposto al grande Isaac Newton il cui genio lo avrebbe risolto — immaginarsi! — in un baleno.
Ritornati a Cambridge, Frances Haroldsen infilò la macchina nello spazio tra due pilastri di cemento davanti al Trinity College. Dopo che Isaac Newton si fu di nuovo districato dalla macchina, lei alzò rapidamente la capote e chiuse a chiave le portiere della macchina.
«La lasciamo qui», disse Frances Margaret.
«Noi «non» la lasceremo qui. I portieri bloccherebbero le ruote.»
«Che le blocchino», lo sfidò Frances Margaret. «Questo fa parte di un piano studiato con molta cura. Posso assicurartelo. Su, vieni, abbiamo ancora molte cose da discutere, a proposito delle uova nello spazio, di cavoli e merende e perché le uova rimangono bollenti e se le comete hanno le ali.»
«Ma quella dannata macchina richiama l’attenzione di tutti.»
«E’ proprio quello che voglio. Guarda, se tu continui a discutere così, tutti se ne accorgeranno, e allora sì che saremo nelle peste. Su, cerca di ricordare. La macchina è di Maisie, non mia. Lei sarà contenta di discutere con i portieri.»
«Davvero?» chiese Isaac Newton con aria scontrosa mentre attraversavano il piazzale.
«Ma certo, è tutto molto semplice», disse Frances Haroldsen. «Vedi, Maisie ha compagnia al King’s College stasera. Ma con la sua macchina parcheggiata davanti al Trinity College, nessuno sospetterà nulla perché tutti penseranno che lei si trovi qui, al Trinity College, non ti pare?»
«Il guaio di questo semplicistico punto di vista è che tutti assoceranno «me» con la macchina di Maisie.»
«Così, la gente penserà che Maisie si trova in compagnia del nuovo cattedratico di Cavendish, deciso a bruciare le tappe. Ma questo non è vero, e poiché la verità viene a galla prima o poi, come dice la gente, tutti resteranno delusi per aver pensato male senza motivo.»
Ormai erano arrivati al chiostro. «E’ qui che stai, no?» chiese Frances Haroldsen senza rallentare praticamente l’andatura mentre lo precedeva sulla scala verso la vecchia foresteria. Isaac Newton la seguiva come in sogno. Quando ebbero superato la porta interna del salotto, Frances Margaret la chiuse, ma solo dopo aver sbattuto con un formidabile «bang», chiudendola, la porta esterna di quercia. Il tonfo sembrava destinato a essere registrato dai lontani sismografi dell’istituto di geofisica sulla Madingley Rise.
«Questo per impedire che a qualcuno venga l’idea di venirci a chiedere una bustina di tè o una bottiglia di latte o qualcosa del genere», spiegò la ragazza.
Un rapido giro di ricognizione effettuato da Frances Margaret rivelò ben presto la presenza del letto a baldacchino.
«Oh!» esclamò. «Ho sempre sognato di dormire in un letto con il baldacchino.»
Poi si lasciò andare sul materasso, rimbalzando due o tre volte, e soggiunse: «Questo va «proprio» bene, come disse Ranuncolo nella favola quando vide il letto dell’orsacchiotto. Tu non hai niente in contrario, eh? Tu non saresti capace di buttarmi fuori, nel freddo, tra i cumuli di neve, eh? Sarebbe una cosa davvero crudele, che verrebbe condannata da tutti. Naturalmente puoi dormire su quel divano dall’aria scomoda nel salotto, se vuoi».
«Io «non» mi lascio espellere così dal mio letto», ribatté Isaac Newton in tono risentito.
«Posso comprendere i tuoi sentimenti a questo proposito perché neppure a me piacerebbe essere sloggiata se mi trovassi nella tua posizione, con tutti i problemi e tutte le difficoltà connesse. Non avresti per caso uno spazzolino da denti di riserva?»
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