Fred Hoyle - La voce della cometa

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La voce della cometa: краткое содержание, описание и аннотация

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Fred Hoyle, nato nel 1915 nello Yorkshire, astronomo e matematico, è autore di romanzi di fantascienza basati su ipotesi rigorose. Tra essi «La nuvola nera» (1957), «A per Andromeda» (1962), «Inferno» (1974).

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«E’ il rettore con la campanella, la Bibbia e la candela. E gli altri professori con la toga e il cappuccio. Stanno picchiando sul battente di quercia con un ariete», fu la disperata risposta della ragazza.

«Una storia molto verosimile», brontolò Isaac Newton. «La tua fertile fantasia non poteva proprio aspettare fino a domattina?»

Il picchiare sulla porta continuava con insistenza.

«Qualcuno è venuto a farsi prestare una bustina di tè o una bottiglia di latte o qualcosa del genere», disse Isaac Newton con aria rassegnata, infilando la vestaglia e dirigendosi verso l’interruttore della luce. Mentre stava per raggiungere la porta del salotto, notò che erano quasi le due meno un quarto. Sbadigliò e aprì la porta esterna.

Ciò che vide era davvero una scena strana, come, del resto, Frances aveva in linea di massima predetto. Ma in luogo dei fantasmi incappucciati del suo incubo c’erano due uomini, uno con il cappello a cilindro e l’altro con la bombetta, e un professore, il decano niente po’ po’ di meno, la cui preoccupazione principale era quella di assicurare la moralità dei membri del College. Nella figura con la bombetta in testa, Isaac Newton riconobbe il portiere di notte, mentre non aveva mai visto prima quello con il cappello a cilindro. Il quarto uomo era un sergente della polizia.

«Chiedo scusa se la disturbo, signore», disse il sergente, «ma si è verificato un fatto molto grave.»

Mentre i visitatori s’inoltravano con una certa decisione nel salotto, Isaac Newton notò un particolare molto imbarazzante. Frances Margaret aveva lasciato la borsetta sul divano, esattamente nel punto dove lui avrebbe dovuto invitare il decano ad accomodarsi.

La porta che dava sul pianerottolo rimase aperta. Arrivò un altro agente di polizia seguito da un uomo dall’aspetto giovanile con il colletto da prete. Isaac Newton si domandò se gli convenisse togliere semplicemente la borsetta, cavarsi d’impiccio con un’osservazione azzeccata come: «Oh, mia zia ha dimenticato la borsetta quando è venuta a trovarmi la scorsa settimana», oppure fingere che la borsetta non esisteva.

Siccome non seppe decidersi, disse: «Dev’essere senz’altro una cosa grave».

Il sergente annuì e annunciò in tono compassato: «Abbiamo per le mani un morto».

Isaac Newton soppresse l’impulso di dire: «E io, che c’entro?» e attese che il sergente si spiegasse.

«Secondo noi potrebbe essere un suo collaboratore, professore.»

Poi, l’uomo con il cappello a cilindro, che Isaac Newton non conosceva, fece: «Io sono il portiere di notte del Saint John, signore. Sembra che il morto sia uno dei nostri professori, anche se rimane un mistero perché si trovi qui, al Trinity College.»

«Chi sarebbe lo sfortunato?» chiese Isaac Newton.

«Il dottor Michael Howarth.»

«Il buffo è, Newton», disse il decano con aria perplessa, «che è stato trovato morto nella «nostra» cappella. Siccome immagino che sia uno dei suoi uomini, ho pensato bene di venire da lei e chiederle aiuto.»

«Per identificare la salma?»

«Beh, sì…»

«Sarebbe più facile domattina, alla luce del giorno.»

«Capisco la sua osservazione», s’intromise il sergente, «ma per essere sincero, professore, vorrei che lei stesso vedesse il cadavere — come testimone — perché è una situazione molto strana.»

Nel frattempo, Frances Margaret si era vestita. Si rendeva conto che il salotto si stava riempendo di gente per cui c’era il pericolo che qualcuno sconfinasse in camera da letto. C’erano due posti dove avrebbe potuto ovviamente nascondersi: sotto il letto o all’interno dell’enorme guardaroba. Dopo aver deciso che nascondersi sotto il letto sarebbe stato davvero il colmo, esaminò il guardaroba. Ma constatò che l’interno del mobile puzzava di muffa, e che pertanto anche in questo caso si ponevano certi limiti. A parte il fatto che farsi scoprire nascosta in un guardaroba avrebbe reso talmente ridicola la storia della supposta «liaison» con Isaac Newton da inserire a piè pari l’episodio tra le leggende di Cambridge, in maniera che il ricordo non si sarebbe mai più spento. Ai turisti americani avrebbero raccontato che se Isaac Newton il vecchio aveva misurato la velocità del suono nel chiostro al pianterreno, Isaac Newton il giovane aveva nascosto la sua amante in un guardaroba al primo piano. Frances Haroldsen era inoltre dotata di un sicuro istinto, che le suggeriva che in qualsiasi situazione la migliore politica consiste nel prendere l’iniziativa, il che significava uscire semplicemente dalla stanza con la massima indifferenza per mettersi al corrente di una faccenda che, a giudicare dai brani di conversazione uditi, sembrava davvero strana.

«E che cosa c’è di tanto strano nella situazione?» chiese quindi Frances Margaret in tono chiaro e deciso uscendo dalla stanza da letto per dominare subito la scena.

Il sergente rimase per un attimo sbalordito dalla sicurezza della ragazza alle prese con una situazione all’apparenza compromettente. Poi, riprendendosi, spiegò: «Beh, il signor Kant, il portiere di notte qui presente, stava facendo i suoi giri quando ha sentito uno strano rumore».

«Un sottile suono lamentoso», intervenne la figura con la bombetta che Isaac Newton aveva riconosciuto. «Proveniva dalla cappella. Così sono entrato e l’ho trovato seduto all’organo.»

«Che ora poteva essere?» chiese Isaac Newton.

«Lo so con precisione, signore, perché l’orologio della torre aveva appena suonato la una.»

«E il suono lamentoso proveniva dall’organo?» domandò Isaac Newton con aria incredula.

«Proprio così, signore», annuì il sergente.

«Il problema, Newton, consiste nel capire come un professore del College si trovasse nella nostra cappella all’una del mattino, morto, con il dito premuto su un tasto dell’organo, e con l’organo in funzione», spiegò in maniera succinta il decano.

«Perché il suono lamentoso non è stato udito prima?»

«C’era un po’ di vento», spiegò il portiere, «e il suono era quello di una nota con la chiave piano, o come meglio la chiamano, signore.»

«Probabilmente è stato il diminuire del rumore del traffico a metterlo in rilievo.»

«Proprio così, professore!» esclamò il portiere, contento che esistesse una spiegazione razionale al perché nessuno avesse udito l’organo prima.

L’organo era ormai spento. «Faceva rizzare i capelli in testa quando era acceso», disse il portiere mentre la comitiva entrava nell’atrio. S’inoltrarono nella penombra sul pavimento a lastre di pietra. Le scarpe dei due poliziotti, provviste di suole di cuoio, producevano un rumore forte e fastidioso. Un terzo agente di polizia era di guardia immediatamente dietro il portale ad arco della cappella, un giovanotto senz’altro contento di rivedere i colleghi, dopo essere rimasto lì per mezz’ora completamente solo.

Frances Haroldsen seguiva la comitiva. Aveva conosciuto Mike Howarth troppo bene per provare il desiderio di vedere il suo corpo scomposto nella morte, per di più in circostanze così atroci e misteriose, per cui rimase nell’atrio mentre gli altri entravano nella cappella. Si voltò e guardò la statua del grande Isaac Newton. La statua, dapprima avvolta dall’ombra, si schiarì quando un raggio di luna ne illuminò il piedestallo. Frances Margaret continuò a guardarla, in preda a una strana premonizione. Come a conferma delle sue aspettative, la statua cominciò a risplendere in maniera innaturale. Improvvisamente splendette di una luce rosso-arancione, alta tre metri, con una faccia da maschera tragica greca. Frances Haroldsen, con un piccolo urlo soffocato, si precipitò verso l’ingresso che dava sulla Great Square e sulla soglia si accasciò.

Nel frattempo, all’interno della cappella, il poliziotto che era rimasto di guardia raccontò al sergente: «Mentre lei era via, il corpo si è rovesciato. Per un attimo ho pensato che stesse ritornando in vita».

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