Fred Hoyle - La voce della cometa
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- Название:La voce della cometa
- Автор:
- Издательство:Longanesi & C.,
- Жанр:
- Год:1986
- Город:Milano
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Isaac Newton afferrò il suo pigiama e si trasferì impettito nel salotto dicendole: «Ne troverai uno nell’armadietto del bagno».
Newton impiegò un po’ di tempo per spogliarsi e infilare il pigiama. Sentiva che la situazione meritava di essere soppesata. Quando ritornò nella stanza da letto, trovò Frances Margaret già coricata nel letto a baldacchino.
«Ho scelto la parte sinistra», spiegò, «perché sono abituata a colpire con il sinistro. Inoltre so sferrare robusti calci con entrambe le gambe, il che può essere molto pericoloso dal punto di vista maschile, cosa di cui tu ti rendi indubbiamente conto. Te lo dico solo per l’eventualità che ti venisse qualche brutta idea.»
«Allora, se mi è permesso di chiedertelo, che cosa hai in mente, ammesso che tu abbia qualcosa in mente?»
«Non c’è alcun bisogno di essere scontrosi, visto che faccio di tutto per aiutarti. Pensavo che qui potessimo parlare.»
«Continua, allora.»
«Sei comodo, adesso? Una volta scomparsi i dolorini e le contrarietà della giornata, sarai meno risentito. Almeno lo spero. Benché non si possa mai dire, visto che tu non sei me. Mi capisci?»
«Sono «perfettamente» a mio agio, grazie. A proposito: esiste poi una persona chiamata Maisie?»
«Oh, sì. Maisie fa parte della realtà, come la sua macchina.»
Isaac Newton si soffermò per un attimo sull’orrore di quella situazione: una decappottabile rossa parcheggiata in sosta vietata fuori del Trinity College, parcheggiata in maniera tale che tutti potessero vederla.
«Immagina di trovarti su un’immensa distesa non illuminata dal sole», fece Frances Margaret con voce strascicata mentre spegneva la luce. «Una distesa priva di sole dove la temperatura non supera di molto lo zero assoluto. Immagina dei cubi di ghiaccio sparpagliati sulla distesa.»
«Hai detto cubi di ghiaccio?»
«Sì, ho detto così, e stai attento quando li tocchi, potresti congelarti. Perché i cubi di ghiaccio sono molto freddi e molto duri. Alcuni hanno le dimensioni dei cubetti che trovi nel frigorifero. Altri sono molto più grandi, un metro per lato. Ce n’è qualcuno persino con lati di dieci metri. Ce n’è anche con lati di cento metri, parecchi… hanno… lati di diecimila…» La voce di Frances Haroldsen si spense in una maniera che ricordava il ghiro di Alice nel Paese delle Meraviglie.
«Questo è impossibile», si costrinse a risponderle Isaac Newton. «Un cubo di ghiaccio con i lati di diecimila metri è impossibile, crollerebbe su se stesso.»
«Per questa osservazione, professore, le spettano tre note di merito. Ora, a quali dimensioni potrebbe arrivare un cubo di ghiaccio senza crollare su se stesso? Questo è il problema, Orazio.»
«Immagino che sarebbe una questione di scorrimento plastico.»
«Togliti subito dalla testa lo scorrimento plastico, Orazio. Niente di questa roba. Prova ad affrontare il problema in questa maniera. Immagina che io abbia un enorme bulldozer, e immagina che il mostro sia munito di enormi artigli. Quali dimensioni può avere un cubo di ghiaccio perché il bulldozer possa sollevarlo? Senza che il cubo perda la base, voglio dire?»
Ciò che lasciava interdetto Isaac Newton non era tanto l’ultima domanda quanto il mistero di dove mai la ragazza volesse arrivare. Dovevano parlare di comete, non di bulldozer con enormi artigli.
«Potrebbe essere provvisto di lati superiori ai dieci metri, penso», rispose.
«Superiori a cento metri?»
«Non saprei, può darsi.»
«Superiori a un chilometro?»
«No, i ghiacciai cominciano a crollare su se stessi quando raggiungono quello spessore. Ma che cosa c’entra tutto questo con le comete?»
«Parecchio, come ti accorgerai, professore, una volta che avrai snebbiato il cervello. Per ora ti meriti solo un voto scadente per questa risposta, anche se bisogna dire che ci sei arrivato stando a letto con l’esaminatrice. In realtà, la risposta giusta è che riusciresti a sollevare appena un cubo di ghiaccio con lati di trecento metri. Qualsiasi cubo di dimensioni maggiori crollerebbe su se stesso.»
Frances Haroldsen fece un grosso sbadiglio, dicendo a bocca spalancata: «L’agitazione della giornata comincia a farsi sentire».
«Come hai fatto a scoprire questi sorprendenti dati sui cubi di ghiaccio, Frances Margaret?»
«Sono le misurazioni», continuò la ragazza, sempre sbadigliando, «effettuate dalla South Manchurian Ice Company… nel 1908… quando la cometa precipitò sulla Siberia.»
«In che cosa consiste il nesso con le comete?»
Non ebbe risposta. Frances Haroldsen si era addormentata. Isaac Newton rimase ad ascoltare il suo respiro regolare. La serata aveva contribuito ben poco a dissipare il sospetto, ormai ben preciso, che le cose a Cambridge non erano più come una volta.
12
Il chiaro di luna illuminava a giorno l’atrio della cappella del Trinity College, circondando con un delicato alone la statua del grande Isaac Newton, e l’orologio della torre di Edoardo Terzo batté la una. Dall’interno della cappella proveniva il sommesso rumore di gente che si avviava lentamente verso l’uscita; l’incedere era accompagnato da un suono lamentoso simile a quello del vento invernale tra i rami degli alberi. Una figura incappucciata apparve nell’ingresso ad arco che separa la cappella dall’atrio. Il personaggio vi s’inoltrò tenendo in mano una campanella e un libro. Altre figure incappucciate, ognuna con una grossa candela accesa in mano, sbucarono man mano dal portale, cosicché una lenta processione di figure in toga scura, appaiate, prese ad attraversare l’atrio. La figura in testa raggiunse la porta esterna che dà sulla Great Square. Appena posto piede sul piazzale, il capo della processione cominciò a suonare la campanella. Un raggio di luce lunare rivelò per un attimo le sue fattezze celate dal cappuccio. Era il rettore del Trinity.
Le figure seguirono a due a due il rettore all’aria aperta, continuando a cantare con voce monotona la nenia funebre. Era una processione di professori, una processione con tanto di campanello, Bibbie e candele, che seguiva il rettore con passo lento, deciso, inesorabile attraverso i sentieri e i prati del grande piazzale, dirigendosi verso il breve passaggio tra le cucine e la Hall. Sempre accoppiati, gli incappucciati del Trinity College superarono con le candele il passaggio. Il canto funebre si affievolì per un po’ grazie alla brezza che soffiava attraverso il varco, aumentando di nuovo di volume quando la processione raggiunse il chiostro.
Il rettore continuò a scampanellare finché non raggiunse la scala che portava alla vecchia foresteria. Poi, dopo essersi soffermato per permettere all’ultima delle figure incappucciate di arrivare al chiostro, cominciò a salire con passo deciso la scala. Arrivato alla foresteria, sollevò il braccio che reggeva la Bibbia e diede un colpo all’apparenza delicato sul battente di quercia. Un rumore simile al tuono riempì l’aria. Le coppie di figure salite lungo la scala dietro al rettore si divisero per permettere ad altre, che reggevano una grossa trave lunga circa sei metri, di passare tra di loro. La trave colpì il battente di quercia, e il rumor di tuono fu superato da un suono simile agli stridenti cembali di un’orchestra infernale. Questa, per lo meno, fu la sensazione che provò Frances Haroldsen quando si svegliò dall’incubo.
Qualcuno stava effettivamente picchiando con insistenza sul battente di quercia della porta esterna della foresteria. Sopraffatta dall’orrore, Frances Margaret allungò il braccio e afferrò Isaac Newton con tale impeto che il professore si svegliò con un grido.
«Sono qui!» fece la ragazza, e sembrava quasi un urlo.
«Chi è qui?» brontolò Isaac Newton, sperando che Frances Margaret la smettesse di gridare e si riaddormentasse.
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