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Gianni Rodari: La Freccia Azzurra

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Gianni Rodari La Freccia Azzurra

La Freccia Azzurra: краткое содержание, описание и аннотация

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La Freccia Azzurra è un treno elettrico, il più bel giocattolo della vetrina della Befana. Francesco, piccolo venditore di caramelle in un cinematografo cittadino, non avrà mai i soldi per comprarselo. Ma un cane di pezza e un saggio Capo Indiano hanno letto nei suoi occhi. La notte del 6 gennaio i giocattoli fuggono dalla bottega della Befana. Una folla di coloriti personaggi popola le splendenti vetture della Freccia Azzurra, la cui marcia è protetta ai fia.ichi da pellerossa e cow-boys, mentre vigila in ciclo il Pilota Seduto. Le cento avventure di Capitan Mezzabar-ba, della Bambola Nera, del cane Spìcciola, dello stesso Francesco troveranno solo all'alba la loro sorprendente conclusione. Il romanzo è apparso una dozzina d'anni or sono, nelle edizioni del CDS di Firenze. È stato già tradotto in varie lingue, mentre altre traduzioni sono in corso. Per questa nuova edizione l'autore lo ha completamente rivisto, senza tuttavia nulla aggiungere alla favola ispirata al mondo dei giocattoli e quasi suggerita da loro: dalle Tre Marionette prive di cuore, dall'Ingegnere Capo del Meccano, dagli intrepidi ferrovieri della Freccia Azzurra. Il libro e particolarmente adatto ai bambini fra i sette e i nove anni, ma può essere letto con divertimento ad ogni età, come capita spesso ai libri per ragazzi.

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E corse via. Roberto raccolse una bandierina rossa, che stava appoggiata alla porta, e si incamminò, affondando nella neve fino a mezza gamba.

Per fortuna il cielo si andava lentamente schiarendo. Roberto poteva vedere i solchi delle rotaie che nereggiavano fino alla prima curva. Ma appena passata la curva, le rotaie scomparivano sotto un enorme cumulo di neve e di terriccio franato dai fianchi scoscesi della collina.

Il primo pensiero di Roberto fu: — Meno male, il ponte non è crollato.

In quello stesso momento udì in lontananza il fischio del direttissimo numero «trentasette». La paura lo inchiodò al suolo. Chissà se il babbo dopo aver constatato che il ponte era salvo, avrebbe ugualmente pensato a fermare il treno. Le gambe gli tremavano e il cuore gli saltava in gola. Il «trentasette» lanciò un altro fischio. Allora Roberto si riscosse, si voltò e si mise a correre verso il casello, gridando: —Papà! Papà!

Cadde nella neve, si rialzò, cadde di nuovo e urtò il ginocchio nella rotaia. Gli sfuggì un lamento. Tentò di rialzarsi, ma non vi riuscì.

— Papà! Papà! —chiamò disperatamente.

Ma il padre non poteva udirlo: dalla sua parte avanzava il direttissimo, con impetuoso fragore.

Roberto gridava e piangeva, trascinandosi nella neve.

— Ferma! Ferma! — gridava, mentre il fragore del treno cresceva paurosamente. Ormai il «37» non distava che trecento metri da lui. Con un ultimo sforzo Roberto si alzò e agitò freneticamente la bandiera rossa, che non aveva abbandonato nella caduta.

— Ferma! Ferma! — urlava. Un fischio lacerante soffocò la sua voce. La locomotiva avanzava, sbarrando i due occhi luminosi davanti a sé. Non era ormai che a duecento metri, a cento…

Improvvisamente i freni stridettero sulle rotaie, con un brusco scossone il treno rallentò, si venne a fermare a pochi metri da Roberto.

Il macchinista scese dalla locomotiva, si precipitò incontro a Roberto.

— Che c'è? Cos'è successo?

— Una frana — mormorò Roberto — una frana… là…

Gli parve di affondare dolcemente nella neve soffice, ed era strano che fosse così calda e morbida. Poi non sentì più nulla.

Rinvenne nel suo letto, poco dopo

— La frana… — mormorava ancora — la frana…

— Zitto, zitto — disse con dolcezza una voce sconosciuta. — Non c'è più pericolo.

Roberto aprì faticosamente gli occhi.

La stanza era piena di gente, ed un signore con gli occhiali d'oro, curvo su di lui, gli teneva il polso fra le dita. Era un medico che viaggiava sul «trentasette» ed era stato chiamato per soccorrerlo.

— Papà — chiamò Roberto debolmente.

— Sono qui, sono qui!

Le persone che stavano nella stanza, ed avevano trattenuto il respiro fino a quel momento, cominciarono a parlare tutte insieme.

— Bravo, bravo, — dicevano — hai salvato la vita a centinaia di persone.

— Se non fosse stato per te, il direttissimo si sarebbe sfracellato contro la frana.

— Sei un ragazzo in gamba — disse un ferroviere, accarezzandogli la testa.

Era il capotreno del «trentasette». Roberto gli sorrise e continuò a sorridere, solo con la bocca un po' storta, anche quando ricominciò a sentire il dolore al ginocchio.

Allo spuntar del sole la frana era stata sgombrata e il treno potè ripartire.

Roberto e il babbo rimasero soli.

Soltanto allora si accorsero che qualcuno era rimasto nella stanza con loro. Qualcuno o qualcosa? Era la Freccia Azzurra, che aveva approfittato della confusione per infilarsi nel casello. I suoi tre ferrovieri, emozionatissimi, stavano ai loro posti e tenevano gli occhi fissi sul ragazzo che aveva salvato un treno vero.

— Toh — disse il casellante. — E questo?

— Un treno elettrico, papà! È un treno elettrico! Non mi avevi detto che me lo volevi comperare. È magnifico, guarda. Ci sono le rotaie nei carri merci. Scommetto che a stenderle tutte faranno il giro della stanza.

— Ma io non l'ho comperato — disse il babbo, confuso — non l'ho mai visto prima d'ora.

Roberto lo guardò incredulo.

— Dai, non mi imbrogliare… Hai voluto farmi una sorpresa per la Befana.

— No, no, ti assicuro che non è come tu dici. Sai cosa penso? Forse qualcuno dei viaggiatori del direttissimo lo portava in regalo ai suoi figli, ed ha voluto lasciarlo a te. Dopotutto, tu hai fatto a quei bambini il regalo più bello: hai salvato la vita del loro papà. Io non avrei mai potuto comperarti un giocattolo così costoso.

Roberto sorrise.

— Già — disse — sarà stato un signore che viaggiava sul «trentasette».

La Befana ci sa fare A quellora Spìcciola il cagnolino fedele se ne stava - фото 30

La Befana ci sa fare

A quell'ora Spìcciola, il cagnolino fedele, se ne stava accoccolato sulla coda, davanti alla casa vuota di Francesco. Un timido sole allungava rabbrividendo i suoi raggi sulla neve gelata. Anche la coda di Spìcciola era mezzo gelata. Ma Spìcciola non si muoveva. Non voleva andare da nessuna parte. Voleva soltanto restar lì, e magari morire lì, pensando a Francesco.

A quell'ora Francesco dormiva sulla dura panca, nel corridoio del commissariato, con la testa appoggiata al muro. Che duro cuscino, una parete di mattoni! Ma Francesco dormiva lo stesso, di un sonno senza sogni.

E a quella stessa ora la Befana, povera vecchia, da poco rincasata, stava bevendo il caffè che Teresa le aveva preparato per fare la pace.

— Mi ficcherò sotto le coperte — borbottava — e dormirò fino a dopodomani.

— Sì, signora baronessa.

— E guai a chi mi sveglia.

— Guai, signora baronessa.

— È stata una gran brutta nottata.

— La peggiore degli ultimi cinquant'anni, signora baronessa.

Ma qualcuno scelse proprio quel momento per bussare alla saracinesca del negozio.

— Chi è? — gridò Teresa, con voce sgarbata. — Che cosa volete? La signora baronessa non può ricevere nessuno.

— Sono una guardia notturna, ho un caso urgente da sottoporre alla signora.

Teresa sbirciò da un buco nella saracinesca, vide la guardia notturna e vide anche, appesa al manubrio della sua bicicletta, una piccola gabbia nella quale un canarino a molla trillava ad ogni scossa.

— Come avete avuto quella gabbia? — domandò Teresa, brusca brusca.

— L'ho trovata stanotte, mezzo sepolta dalla neve.

— Ah, ecco. Debbono averla perduta i ladri. Siete venuto a riportarla, dunque. Va bene, date qua e grazie tante. La consegnerò io alla signora baronessa.

— No, no, un momento. Non si tratta del canarino. Si tratta di Francesco.

Per un caso strano, ma non troppo, quella guardia notturna conosceva Francesco. Molte volte l'aveva incontrato, mentre tornava dal suo lavoro nel cinematografo, e l'aveva accompagnato per un tratto di strada.

— Perché non prendi il tram? — gli domandava la guardia notturna.

— Perché costa troppo — rispondeva Francesco.

— Già — approvava la guardia, crollando il capo.

— Io devo portare a casa tutti i soldi che guadagno: sono tanto pochini anche così.

— Già — borbottava la guardia. — Non è allegro lavorare alla tua età, vero?

— Io non mi lamento, — diceva Francesco — anzi, sono abbastanza contento. È vero che non ho tempo per giocare, ma poi con che cosa giocherei? Non ho giocattoli.

— Sicuro — diceva la guardia notturna — sicuro.

Francesco chiacchierava, e l'uomo l'ascoltava. Gli voleva bene,

a quel ragazzo, che lavorava come un grande, e che attraversava tutta la città a piedi, di notte, solo, con i suoi magri guadagni in tasca.

Questa guardia notturna, dunque, aveva udito l'allarme, aveva visto arrestare i ladri e, con sua grande sorpresa, aveva visto anche Francesco ammanettato come un delinquente e portato via tra due angeli custodi.

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