«Detective Caffery. Mi chiedevo se potessi concedermi due minuti.» Un attimo di silenzio. La donna non rispose, e lui ripeté: «Sono Jack Caffery…»
«Sì, ho sentito. Aspetta lì. Scendo giù tra un minuto.»
Passò molto tempo prima che lei scendesse, e l'agitazione di Jack aumentava. Ma, proprio quando stava per suonare nuovamente il citofono, udì alcuni passi sulle scale e il catenaccio che si apriva. Lei era scalza e indossava un vestito ampio, color tulipano.
«Posso entrare?»
La ragazza non rispose.
«Rebecca?»
«Sì», sospirò lei. «Entra pure.» Arretrò di un passo nel corridoio per farlo passare. Poi chiuse la porta col chiavistello e indicò le scale. «Ho appena aperto del Fitou. Credo ti piaccia.»
L'appartamento era freddo. Le persiane erano semichiuse e una mosca ronzava pigramente intorno a un ventaglio di pennelli infilati in un recipiente di vetro. «Siediti, vado a prenderlo. Scusami per il disordine», disse lei, prima di scomparire in cucina. Jack gironzolò per lo studio, osservando le pile di disegni e di schizzi sparsi ovunque. Il ritratto incompleto di Joni giaceva ancora sul cavalietto. I capelli erano così biondi da farla sembrare albina.
«Lei non c'è?» chiese Jack.
«È ancora al pub.»
«A che ora pensi che tornerà?» Sentiva l'odore stantio del deodorante di Joni.
«Per chi sei venuto, detective? Per me o per Joni?»
«Per te, naturalmente.»
In cucina lei scoppiò in una risata ironica. «Sì, certo.»
« Sì, certo », ripeté fra sé Jack, tornando in corridoio. Il bagno era proprio di fronte e, accanto a esso, c'era la scala che portava alla camera di Joni. Alla sua destra, la porta della cucina era chiusa, ma udiva Rebecca dall'altra parte che lavava i bicchieri. Andò in bagno e chiuse la porta a chiave dietro di sé.
Faceva caldo, là dentro, e i colori avevano le tipiche tonalità tropicali dei dépliant delle vacanze: asciugamani fucsia e pareti color acquamarina. Alcuni collant neri erano immersi in un catino nella vasca da bagno e sul tappetino vi erano varie impronte di talco. Jack aprì il rubinetto, poi guardò nell'armadietto dei medicinali. Trovò subito ciò che cercava. Estrasse una cartina per sigarette dalla tasca e l'avvolse intorno alle setole di una spazzola per capelli dal manico rosso. Quando la tolse, vi rimasero attaccati quattro o cinque capelli argentei. Ripose quindi la cartina nel piccolo contenitore di cartone, chiuse il rubinetto e tornò nello studio.
Senza parlare, Rebecca gli porse un bicchiere. Poi si voltò, raccolse una pila di disegni dal pavimento e li mise sul tavolo.
«Rebecca?»
«Sì?» rispose lei, senza voltarsi.
«Hai ricevuto il mio messaggio? Hai sentito quello che ho detto in segreteria?»
Sulle prime, lei non rispose. Fece finta di essere assorta a dividere il mucchio in due pile più piccole. Poi ripose i disegni, abbassò le spalle e si protese sul tavolo. «Sì», mormorò, scuotendo il capo. «Sì, scusami. È anche su tutti i giornali. Dicono che… Be', credono che quella donna di Malpens Street…» Fece un vago gesto con la mano, come per sdrammatizzare. «Quanto amano gonfiare i fatti…»
«Non scherzavo: devi stare davvero attenta.»
Lei si voltò lentamente verso di lui. Incrociò le braccia, si ritrasse e lo guardò con la testa inclinata di lato. «Lui è morto, vero? Toby è morto, no? Non ci sono stati errori.»
«Nessun errore.»
«E allora perché?» domandò in tono sommesso. «E da chi ? Da chi dovrei stare in guardia?»
«Se lo sapessi, te lo direi.» Quando vide la sua espressione, Jack sospirò e aggiunse: «Sinceramente, Rebecca, te lo direi. Nessuno di noi sa con precisione che cosa sta succedendo».
«Ah», esclamò lei, con un brivido. «Sono tanto stanca. Sono stanca di vivere continuamente nella paura. Stanca di vivere in una serra perché non posso aprire la finestra.» Tornò al tavolo e riprese a dividere i disegni. «Le gallerie continuano a chiamare. I miei lavori vanno a ruba, c'è sempre più richiesta e ora anche Time Out vuole un'intervista. Time Out, nientemeno! E tu sai perché, vero?» Non lo guardò, e lui capì che non si aspettava una risposta. «Per la qualità del mio lavoro? Perché sono una promessa dell'arte? Perché ho aggiunto qualcosa al lessico dell'interpretazione artistica?» Scosse il capo. «Ovviamente no. Nulla di tutto questo. S'interessano a me solo per via di lui. Sciacalli, sono un branco di fottuti sciacalli. Ma credi che mi faccia scrupoli? Assolutamente no. Per niente. Sono un'opportunista, come tutti. Ho intenzione di specularci sopra. Anzi probabilmente dovrei sentirmi eccitata dato che la faccenda non è ancora chiusa.»
Mentre sfogava la sua ansia, la tensione di Jack, a poco a poco, svanì. Per quella sera non avrebbe fatto in tempo ad andare in nessun luogo: il mattino seguente, all'apertura, si sarebbe recato ai laboratori della Scientifica, ma fino ad allora non aveva nulla da fare. Era ora di mettere la parola fine alla giornata. Sorseggiò il vino e lasciò che Becky parlasse.
Bliss si era ripreso dalla lotta. Trascorse la serata attendendo che Joni riacquistasse conoscenza e, nel frattempo, andò due volte in bagno per scaricarsi, eiaculando in un preservativo. Si congratulò con se stesso per la sua prudenza: voleva aspettare finché Joni non fosse adeguatamente pronta. Erano le dieci di sera quando entrò nella stanza. Le infilò le mani sotto le natiche, e, piegando le ginocchia per evitare problemi alla schiena, la sollevò e la mise sul letto. La ragazza vi cadde a peso morto. Soltanto allora Bliss notò che le aveva fatto male all'occhio sinistro. Anche con quel gonfiore capì che qualcosa non andava. Le prese la testa fra le mani e si chinò per vedere meglio. Vi era una protuberanza innaturale, e l'iride era rivolta verso il basso. Le tastò l'occhio. Più tardi avrebbe cercato la spiegazione di quel fatto in uno dei suoi libri. In quel momento, si limitò a inumidire il dito con la saliva e a pulire il sangue coagulato dalla narice.
Le tolse gli stivali e li ripose in un angolo. Le tolse la gonna scamosciata. Le tagliò la T-shirt, lasciando fuoriuscire i seni grandi e gonfi.
Provò a schiacciarle un capezzolo turgido. Si era chiesto come sarebbero state quelle cose nuove e innaturali: con una certa sorpresa, le sentì piuttosto calde ed elastiche. Prese il capezzolo destro fra il pollice e l'indice e sollevò l'intero seno, allungandolo fin dov'era possibile, una decina di centimetri sopra le costole. Rimase affascinato dalla calda duttilità della carne e del silicone. «Hmm…» Si avvicinò per osservare la cicatrice lucida, lievemente in rilievo, nel punto in cui avevano inserito il silicone. Bene. Non sarebbe stato necessario tagliarla troppo.
«Quindi…» Rebecca aveva finito di dividere i disegni. Sembrava più calma. Frugò sotto i fogli e i colori e trovò una cornice; poi l'appoggiò su uno degli schizzi e ne studiò l'effetto. «Veronica, vero?»
Jack sollevò lo sguardo. «Prego?»
«Veronica. Vive con te?»
«Oh…» Lui scosse il capo e si appoggiò allo stipite della porta. «Sì, sì. Suppongo che pensasse di sì.»
«Che cosa è andato storto?»
«Sinceramente?»
«Sinceramente.»
«Io», mormorò lui con un sorriso. «Sai, sono un vero fallimento umano.»
«Hmm…» Lei tacque per qualche istante, studiandolo. «Non si vede.»
«Non si vede dall'esterno; non è visibile all'occhio nudo. Ma è così.»
«Perché?»
«Per via di un'ossessione.»
«Ah. Cioè di una donna», commentò lei, voltandosi verso il dipinto. «Allora non posso biasimare Veronica.»
«No. Non si tratta di una donna.»
«Allora presumo si tratti di Ewan.»
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