Joni sarebbe arrivata presto e, nonostante la sua eccitazione, lui era determinato a mantenere un'assoluta compostezza. Con tutto il tempo che aveva trascorso in quel luogo, teso e addolorato perché Joni sfregava le sue tette nude, artificiali, sulla faccia di qualcun altro, aveva finalmente compreso e adottato il comportamento che si richiede al cliente di un pub. La richiesta di Harteveld di raccogliere informazioni sulle ragazze era stata facile da soddisfare. Bliss non faceva mai una mossa, si limitava a offrire da bere e ad ascoltare. Innocuo com'era, le donne si fidavano e gli rivelavano, incuranti, tutti i loro segreti preziosi, finché lui non giungeva a sapere tutto, nei minimi particolari, da quanto fosse fastidiosa la sindrome premestruale a quando sarebbe stata denunciata una loro eventuale scomparsa.
Avrebbero riso se lui avesse fatto qualche avance, magari strizzando le loro cosce morbide. Pertanto rimaneva calmo, aspettando il giorno in cui le ragazze sarebbero andate da lui, molto più dolci da morte di quanto lo fossero mai state da vive.
Un fascio di luce penetrò nel pub da una porta aperta. Joni. Eccitato, Bliss sollevò leggermente le natiche dalla sedia, facendo scorrere la lingua sui denti. Ma, subito dietro Joni, scorse la sua amica. Si risedette, in preda alla rabbia. Quella donna non gli piaceva, era una puttana arrogante che si definiva «un'artista» e si aggirava nei pub ritraendo le ragazze – neanche potesse elevarle grazie all'arte -, e i loro clienti. Lui stesso era stato ritratto parecchie volte. Ma ricordava bene il periodo in cui anche lei era una di loro. A quell'epoca il suo nome era Pinky. « Probabilmente perché la tua clitoride sporge dalla pelliccetta », aveva mormorato Bliss tra sé. Pinky la Clitoride. Si mise a giocherellare con un pezzo di pelle secca sul naso e la guardò, pensieroso. La donna si diresse al bar senza curarsi di salutarlo.
Joni si avvicinò, l'aria annoiata. Lui sorrise, le mani delicatamente incrociate sul grembo. «Ciao, Joni.»
La ragazza sospirò, rassegnata. «Ciao, Malcolm. Sapevo di trovarti qui. Non cambia mai nulla, vero?» Lasciò cadere a terra la borsa e si accasciò sulla panca imbottita a qualche centimetro da lui, col sedere appoggiato al bordo e le gambe allungate. Indossava un paio di stivali in pelle fino al ginocchio e una gonna scamosciata che terminava a mezza coscia. I capelli biondi, fissati con due mollettine sopra la fronte, erano tagliati secondo la moda. Tutte le ragazze per strada sembravano portarli così. A Bliss non piacevano, e lo irritava il fatto che Joni avesse la mania di sistemare ciò che andava bene, così, per un semplice impulso a cambiare.
Si sforzò di sorridere. «Qualcosa da bere, Joni?»
«Credo di sì.» Sporgendo il labbro inferiore, la ragazza si guardò le unghie. Aveva sempre avuto un comportamento estremamente infantile. Non le si addiceva più, e lui avrebbe dovuto dirglielo. Dirle che non era più attraente, che lo infastidiva più di qualunque altra cosa. «Vino, suppongo.»
Al bancone, l'artista, che aspettava di essere servita, teneva la testa lievemente all'indietro e pareva un cavallo con le redini tirate. Sì, era sprecata per quel posto. Malcolm le si avvicinò, sorridendo gentilmente e pensando alla sua clitoride. «Buonasera.»
La donna gli rivolse uno sguardo divertito, un secco «buonasera», e poi, afferrando due bicchieri, si allontanò. Bliss sorrise tra sé. Puttana. Prese il drink che gli porgeva la tizia dietro il banco e pulì i lati del bicchiere di Joni lì dov'era stato toccato.
Joni non lo ringraziò quando lui le porse il drink, ma non gli importava, c'era abituato.
«State bene, ragazze?» domandò garbatamente. Per l'eccitazione aveva la bocca piena di saliva e dovette parlare con cautela, per non sbavare. «Tutto va liscio, eh?»
«No, per nulla. » Joni increspò le labbra, imbronciandosi. «Ne hanno presa una proprio vicino a casa nostra.»
«Santo cielo», commentò Bliss, sorseggiando la birra. «Sanno chi è stato?»
«No.» Rivolgendogli un'occhiata sprezzante, Joni si alzò, si mise la borsa a tracolla, tracannò entrambi i drink e si avviò lungo le scale, scuotendo la chioma bionda.
Malcolm e «Clitoride» rimasero seduti in silenzio. La ragazza sorseggiò lentamente la sua birra, mentre un vago rossore le saliva al viso. Lui lasciò passare qualche attimo prima di parlare.
«Non ho mai visto Joni tanto sconvolta.»
«Clitoride» annuì. «È preoccupata», mormorò, rivolgendosi più al bicchiere che a lui, come facevano molte persone. «Dice che ha intenzione di andarsene da Greenwich. Vuole partire.»
Bliss sentì un formicolio invadere ogni centimetro della sua pelle. Attese che la tensione allo stomaco e al pene diminuisse, poi parlò. «Sa già dove?» chiese, scrutando le scale. Poi, a voce più bassa, aggiunse: «Mi chiedo dove andrà».
Tornato a Shrivermoor, Jack non riusciva a rilassarsi. Si aggirava per l'archivio rovistando tra le carte, fissando le lavagne bianche, poi si piazzò dietro le impiegate, guardando i monitor al di sopra delle loro spalle, finché Marilyn non protestò, sostenendo che, in quel modo, lei s'innervosiva. Allora Jack si diresse nella stanza del capo e chiamò Jane Amedure.
«Scoperto niente sul cemento?»
«Il diffrattogramma è stato spedito nel Maryland. Sapremo qualcosa domani mattina.»
Jack ripescò il fax dell'ufficio personale, quello mandato da Bliss dal St. Dunstan's la settimana precedente, e lo esaminò nella speranza che qualcosa lo illuminasse. Ma così non fu, perciò si sedette con la testa fra le mani finché non calò il buio e gli uffici non si svuotarono. Fu allora che apparve Maddox, con indosso la giacca e la valigetta in mano.
«È molto nobile da parte tua, ma siamo realisti, eh? So di aver usato la frusta stamattina, però questo non significa che ti debba ammazzare di lavoro.»
«Sì, va bene, va bene.»
«Vai a dormire, capito?»
«D'accordo.» Dopodiché richiamò la dottoressa Amedure.
«Dia loro un po' di tempo, detective Caffery. Le prometto che domattina le telefonerò subito. Ora stiamo chiudendo.»
Jack rimase seduto nell'ufficio ormai deserto – in realtà l'intero edificio era cupo e silenzioso -, e si mise a fumare guardando, fuori della finestra, il mondo che rincasava al termine di una lunga giornata. Il sole scialbo si abbassò dietro le casette ordinate; sul cartellone pubblicitario dall'altro lato della strada stavano affiggendo un nuovo poster. Era stato tanto rapido a incolpare Cook, tanto sicuro del suo istinto, e l'idea di aver sbagliato lo mandava su tutte le furie. Maddox aveva ragione, sarebbe dovuto tornare a casa, ma era troppo consapevole della presenza di Birdman, la avvertiva come qualcosa d'intenso e quasi a portata di mano: un grosso pesce che gli nuotava intorno alle gambe.
In strada, gli operai della Maiden Signs srotolavano e incollavano, srotolavano e incollavano, spostavano gli attrezzi di qualche centimetro e ricominciavano daccapo. Ai piedi del cartellone apparvero le parole ESTÉE LAUDER; sopra di esse, la curva scintillante del collo di una modella. Jack osservò con sguardo assente, pensando al capello che era stato ritrovato in mezzo a quelli della Jackson. Avevano supposto che appartenesse a un'altra vittima, a una donna con cui Birdman non aveva ancora terminato, o a qualcuna non ancora rinvenuta. Si strinse la sella del naso tra le dita, cercando di pensare.
Un'altra spiegazione?
Il colore e il taglio erano così uguali a quelli della parrucca che persino Krishnamurthi non aveva notato la differenza. Forse il capello non apparteneva a un'altra vittima, bensì alla persona che Birdman stava ricreando. Forse quella persona era stata a casa sua. O, comunque, gli era stata sufficientemente vicina da consentirgli di prendersi un trofeo.
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